Al di là delle forze umane
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Bjørnstjerne Bjørnson (Kvikne 1832 - Parigi 1910), premio Nobel nel 1903, è insieme a Ibsen il padre del teatro norvegese moderno. Figlio di un pastore protestante, dopo gli studi viaggia e soggiorna in America, Francia, Germania e Italia. Di formazione romantica e ideali sociali, si avvicina poi a posizioni radical-liberali. In occasione del centenario della morte, Iperborea, in collaborazione con l’Ambasciata Norvegese in Italia, pubblica il suo dramma più noto e attuale,un classico del teatro norvegese.
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Capolavoro, ah sì?
Una brevissima pièce teatrale da leggere e rileggere innumerevoli volte fintanto che non si è certi di averne compreso ogni più sottile significato. Pur essendo inferiore alle settanta pagine Al di là delle Forze Umane è infatti un’opera universale che tocca con incisiva semplicità ogni aspetto della vita umana ed è anche un testo emblematico di ogni scontro interiore tra ciò in cui crediamo e ciò in cui vorremmo credere. Uno scritto breve insomma, intenso e soprattutto ermetico.
Attenzione però, qui Bjornson fa sì dell’ermetismo il suo punto di forza ma ne fa anche il suo punto debole: se è vero infatti che l'opera è apprezzabile su diversi piani di lettura, che variano dalla piatta comprensione della vicenda così per come è fino alla interpretazione esclusivamente simbolica (che vuole per esempio i rintocchi della campana come una sorta di deus ex machina che scandisce i vari tempi del dramma o una sorta di fulcro di una bilancia che deve reggere l’equilibrio tra religione e scienza), se è vero tutto ciò, è altrettanto vero che senza l’indispensabile postfazione a questa edizione è praticamente impossibile coglierne tutte le sfumature, le sottigliezze e i rimandi.
Brevemente, per non copiare il lavoro di altri, mi limiterò a dire che quest’opera ha talmente tante probabili (e sottolineo: "probabili") chiavi di lettura che è impossibile contemplarle tutte e riuscire ad avere contemporaneamente un idea organica del suo significato. C’è una chiave di lettura per ogni ripensamento che l’autore ha avuto nell’arco della sua vita, e se alcune di queste sono lampanti (leggasi per esempio il dramma familiare dell’uomo che abbandona i suoi cari per dedicarsi a scopi più elevati, così simile a quello del Dr. Faust, o quello molto più popolare e tragico della frana in paese) altre, senza una conoscenza della biografia dello scrittore e della trasformazione che negli anni ha subito la sua linea di pensiero, passano senza dubbio inosservate, o peggio rischiano di apparire solo come frutto di brevi accenni a tematiche affrontate esclusivamente per dovere letterario in un’opera comunque incompleta, poco approfondita, se non addirittura superficiale (leggasi il conflitto tra religione e scienza, e l'appena introdotta e mal approfondita idea che l'illusione della prima conduca alla amara presa di coscienza della seconda.)
Bjornson dunque in questa sua opera va sì lodato per le indubbie capacità di sintesi con le quali è riuscito a contemplare in poche pagine tutta una serie di episodi e casistiche umane talvolta comuni, talvolta fuori dal comune, va si lodato per la sincerità, l'obbiettività e l'audacia (soprattutto considerata l’epoca) con cui ci illustra la sua opinione su chi abbia le risposte giuste alle domande esistenziali che da sempre attanagliano la mente dei filosofi, e va forse ancora più lodato per lo stupendo e sorprendentemente attuale umorismo con cui tratta l’intera vicenda; va sì lodato per tutto ciò ma va anche redarguito (termine ammetto piuttosto ridicolo da utilizzare nei confronti di uno scrittore di questa portata), redarguito proprio per quella sinteticità che inopinabilmente in certi passaggi è oltremodo eccessiva, per la sua tendenza al sottrarre che a tratti prevarica in maniera determinante la comprensione delle sue idee, e in fine per la superiorità implicita con cui si approccia all' intera vicenda, sottintendendo fin dalla partenza dei presupposti che, vuoi per il divario temporale tra la prima stesura dell’opera e i giorni nostri, vuoi perchè nessuno riesce ad entrare fin da subito nella mente di un altro, vuoi per la scontata ignoranza del sottoscritto, sono tutt’altro che ovvi.
E iI risultato finale è quello di un lavoro che salvo ulteriori approfondimenti appare niente più che apprezzabile, interessante, innocuo e un po’ superfluo. Certo una volta che te lo spiegano, una volta che ne apprendi i significati reconditi, capisci quanto in realtà sia stato ingenuo considerarlo tale, quanto sia superficiale limitarsi ad una singola chiave di lettura e quanto sia presuntuoso pensare di trovarsi di fronte un dramma inutile per raggiunti limiti d’età, ma appunto te lo devono spiegare, occorre fare una ricerca, inserire il lavoro nel contesto biografico in cui è stato creato, altrimenti è impossibile intuirlo.
Un' opera che si definisce universale, che tratta di temi universali, non dovrebbe parlare a tutti? Se la comprensione di quest' opera, lasciata a se stessa, è limitata a pochi eletti, magari addirittura ai soli pochi edotti critici che hanno fatto della loro passione un lavoro, che senso ha scrivere di argomenti che riguardano l’intero genere umano? Se si descrivono i problemi del popolo, per esortare, per insegnare al popolo, non bisognerebbe parlare il linguaggio del popolo?
In sostanza, sì, quanto disse nel 1899 Georg Brandes in riferimento ad Al di là delle forze umane ( cit. "Bjornson non ha scritto dramma più bello. Ibsen nemmeno.”,) è vero, assolutamente vero! Ma... finché non te lo fanno notare non te ne accorgi proprio.