Narrativa straniera Avventura Sette anni nel Tibet
 

Sette anni nel Tibet Sette anni nel Tibet

Sette anni nel Tibet

Letteratura straniera

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Al principio del 1939 Heinrich Harrer, ex campione di sci e famoso alpinista austriaco, viene scelto per partecipare alla spedizione sul Nanga Parbat. Tornerà in patria solo dopo incredibili eventi: sarà internato in un campo di concentramento, evaderà più volte, riuscendo a penetrare in terre mai visitate da un occidentale e a fare amicizia con il giovane Dalai Lama; ma soprattutto conoscerà e sarà conquistato da una cultura antica e affascinante, di cui diventerà il paladino. Sette anni in Tibet è non soltanto il racconto appassionante di questa straordinaria esperienza - un'avventura al limite dell'incredibile - ma anche una testimonianza storica e umana sugli ultimi anni del Tibet indipendente, alla vigilia della drammatica invasione delle truppe cinesi.



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Sette anni nel Tibet 2017-01-17 11:30:01 C.U.B.
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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    17 Gennaio, 2017
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C'era una volta il Tibet

“Sette anni in Tibet” e’ il sogno Himalayano di ogni alpinista, e’ il buon esito di una fuga, e’ il racconto certosino di una lunga avventura ma soprattutto l’appassionante biglietto d’ingresso sul blindatissimo tetto del mondo.

Heinrich Harrer, alpinista austriaco, racconta quanto avvenne a partire dal 1939, anno in cui ottenne l’accesso ad una spedizione sull’Himalaya. Sorpreso in India dallo scoppio della seconda guerra mondiale, venne arrestato ed inviato in un campo di prigionia. Riuscito a fuggire, tra ingenti fatiche e privazioni, riusci’ a raggiungere non solo il Tibet, ma addirittura l’inaccessibile citta’ sacra di Lhasa instaurando un rapporto di amicizia con il quattordicesimo Dalai Lama.
Se questo oggi si potrebbe risolvere con un timbro sul passaporto o una poltrona all’apice della diplomazia, a quei tempi e per quell’antico popolo, era un po’ come essere invitati da Noe’ sull’Arca della salvezza, o alla deriva oceanica essere raccolti dal Capitano Nemo sul Nautilus.
Tra la perplessita’ d’esordio, dove la penna mi pareva privasse la narrazione di impeto emotivo, mi sono presto dovuta ricredere scoprendo un testo assai pregevole.
Il lavoro autobiografico di Harrer e’ certo orfano di una stesura sentimentale, la scrittura prevalentemente descrittiva e asciutta trae pero’ un beneficio abominevole dai contenuti.
E’ un volume prezioso, che concentra il suo fervore su minuziose descrizioni di luoghi, usi e costumi in un’epoca ancora virginea del Tibet. Un grande paese a due passi dalle nuvole, arretrato tecnologicamente ma fortemente spirituale. E’ la palpitante essenza di una popolazione povera ma felice, confortata dalla religione buddista e assuefatta a superstizioni millenarie.
Sette anni in un luogo precluso agli occidentali, poi l’occupazione cinese. Harrer dovette lasciare il Tibet, così come successivamente il Dalai Lama dovette abbandonare la sua terra.
Leggere questo libro e’ un’esperienza unica, i templi ed i luoghi sacri esistenti negli anni qui descritti sono stati per la maggiore distrutti dagli invasori.
Lhasa pare sia ormai una citta’ moderna, cinese, salvo qualche importante sito tutelato come patrimonio artistico tibetano. Consigliato anche a chi progetta un viaggio in Tibet, per vedere con gli occhi della consapevolezza passata oltre cio’ che oggi resta, questa lettura e’ un’invito goloso a recarvisi presto.
Nel frattempo, buona lettura.

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Sette anni nel Tibet 2014-09-08 18:10:42 silvia71
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    08 Settembre, 2014
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Il Tibet di Harrer

Una storia di vita davvero incredibile quella dell'austriaco Heinrich Harrer, da lui immortalata nelle pagine di “Sette anni nel Tibet” edito nel lontano 1953.
Nella prefazione Harrer si scusa con i lettori per non possedere le doti di uno scrittore, ma considerando l'immenso valore del contenuto che ha tramandato con il suo racconto, riceverà solamente “un grazie”, perchè questo non è terreno adatto per critiche allo stile di scrittura.

La storia del giovane alpinista internato nel 1939 in un campo di prigionia britannico ai piedi dell'Himalaya è oramai nota a tanti a seguito della trasposizione cinematografica, ma la lettura del diario di Harrer possiede il valore aggiunto di descrizioni vivide e accurate di paesaggi, consuetudini, usanze di un popolo dalle tradizioni millenarie.
Uno spaccato del Tibet antecedente all'occupazione cinese estremamente esaustivo, colto con gli occhi ed il cuore di chi ha avuto la fortuna di viverci e di riuscire ad integrarsi ed interagire con la popolazione.
Il pregio storico ed antropologico del racconto di Harrer è incontrovertibile, minuzioso e dettagliato,
tanto da essere destinato a divenire testimonianza del Tibet ai tempi della libertà.

Ci si perde tra le pagine di Harrer, rapiti dagli spazi immensi del territorio tibetano, dai silenzi, dai colori candidi delle nevi e accesi degli alberi da frutto, inebriati dai profumi, catturati dalle usanze ataviche di un popolo.
Ritornando allo stile con cui l'opera è scritta, pur avvicinandosi ad un genere reportistico-diaristico, tuttavia mantiene una buona intensità; la presenza di Harrer tra le righe è forte, infondendo alla narrazione emozioni e sensazioni percepibili da parte del pubblico.

Una lettura ricca ed interessante, per nulla tediosa, capace di trasmettere al lettore tutta la passione e l'amore per il Tibet di uomo coinvolto in una avventura-disavventura straordinaria.

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Sette anni nel Tibet 2014-08-14 16:45:14 giada78
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giada78 Opinione inserita da giada78    14 Agosto, 2014
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Importante testimonianza storoca

Penso che Sette anni nel Tibet di H. Harrer sia uno dei libri che vada assolutamente letto nella vita. In questo libro autobiografico, Harrer racconta la propria incredibile avventura che lo ha portato a lasciare la sua patria e la moglia incinta, poca prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, con lo scopo di raggiungere le vette più alte del mondo. Tuttavia il destino riservò ad Harrer qualcosa di diverso e assolutamente non previso: prima la prigionia in un campo di concentramento inglese (anche se come precisa Harrer la prigionia non era male: molto tempo per leggere, per praticare sport, pranzi abbondanti e anche la possibilità di brevi escursioni sotto sorveglianza nei dintorni), quindi innumerevoli tentativi di evasione, poi finalmente l’evasione e l’attraversamento di terreni inospitali sia per la natura ostile, per gli animali pericolosi e per i banditi, infine l’arrivo nel Tibet –allora libero- e l’amicizia con un giovanissimo Dalai Lama. Ma quello che rende prezioso questo libro non è il racconto, l’avventura narrata dallo scrittore. E’ la testimonianza storica che esso offre, il racconto degli ultimi momenti di vita di “un piccolo popolo pacifico” –come viene definito nel libro- prima dell’invasione cinese nel 1951. Quello che mi ha colpito in particolar modo è il rapporto tra Harrer ed il Dalai Lama: Harrer descrive infatti il giovanissimo Dio-Re come un giovane estremamente colto che lo faceva vergognare al pensiero di come era lui stesso alla stessa età. Durante l’invasione cinese, il comportamento e le scelte del Dalai Lama, descritte da Harrer, non furono assolutamente quelle di un ragazzino ma piuttosto quelle di un uomo saggio di grande esperienza. Leggendo il libro mi sono chiesta più volte se questa profonda saggezza non potesse realmente provenire da tutte le precedenti reincarnazioni (anche se sono cattolica…). Vorrei solo concludere questa recensione facendo presente che il libro è stato tradotto anche in tibetano e che Harrer fu proclamato “Persona non gradita” dal governo cinese.

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