Il segno della croce
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Chi vivrà vedrà
Nonostante il mio scetticismo sono molto attratto dal tema religioso poiché lo ritengo sempre molto stimolante soprattutto dal punto di vista storico. Dopo quello che ho ritenuto un flop, la trilogia dei Dannati, Glenn Cooper ci propone un romanzo molto interessante e dal tema delicato. Cooper mi spinge a cercare una convergenza tra fede spirituale e credenze scientifiche e mi conforta il fatto che l'autore ricorda quanto scetticismo c'è stato da parte della Chiesa nei confronti di Padre Pio per le Sue stigmate.
La trama è ben sviluppata e sovrappone diversi piani temporali facendo sì che il passato si intersechi con il presente nell’arco dell’intero romanzo. Il ritmo non è proprio incalzante come speravo.
Adoro il fatto che sia ambientata in Italia e che l'ispirazione di Cooper sia nata proprio da una vicenda raccontatagli da un arcivescovo di Lecce.
Ottimo il finale a sorpresa. Non voglio sbilanciarmi troppo su Cal Donovan poiché è un personaggio ancora da scoprire. Infatti, nonostante questo sia un romanzo autoconclusivo, Cooper ha promesso una nuova serie con Cal Donovan come protagonista (almeno 5 libri ha dichiarato in un intervista).
Se le premesse sono queste, c'è da sperare bene.
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La solita sbobba di Glenn Cooper
Questo libro è la solita accozzaglia di svastiche, croci, salti temporali, ricerca del potere eccetera a cui ci ha ormai abituato Glenn Cooper.
Uno scrittore sopravvalutato, forse il più sopravvalutato di tutti, il cui stile (se di stile stiamo parlando) è talmente scarso ed elementare da riuscire solo ad imbastire dialoghi ridicoli e banali, senza un minimo di ricercatezza sia nelle descrizioni dei fatti che delle persone, senza un minimo di accortezza nella ricerca lessicale, con le stesse parole che si ripetono in tutte le pagine, senza un minimo di accuratezza.
Le sue storie sono sempre banali, il solito pastrocchio dal cui esito dipende la fine o la continuazione del mondo, e l'eroe di turno è sempre la solita figura che si muove all'interno delle pagine in modo sconclusionato, senza un minimo di narrativa nelle sue azioni, senza una logica: ad esempio, per descrivere un pestaggio, parte col primo pugno e la riga dopo è già finito tutto.
Glenn Cooper è uno scrittore che non sa scrivere, un bambino di 10 anni saprebbe essere meno scontato di lui. Ha avuto fortuna con i suoi primi due libri della serie della Biblioteca, poi sarebbe stato meglio che avesse smesso.
Lettura inutile, non perdeteci il vostro tempo.
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Il segno dello scrittore
Il romanzo di Cooper non delude le aspettative, è avvolgente, prima ancora che coinvolgente e questa è la sua caratteristica più incentivante.
In un mondo in cui tutti scrivono, ci sono ancora scrittori, Cooper è uno di questi. I personaggi, tutti quanti: Cal Donovan, Lambret, Giovanni, perfino Himmler (che Cooper osa rievocare narrativamente) sono convincenti, ben tratteggiati e accattivanti, nel bene e nel male.
La trama, che ogni tanto suggestiona con le atmosfere anni trenta e poi viaggia in diverse epoche in flashback ottimamente costruiti, per tornare sempre all'oggi protagonista spazio temporale della storia, è costruita con lo scalpello di uno scultore.
Niente è lasciato al caso, tutti i nodi tornano al pettine e la soddisfazione leggendo è proprio quella di ritrovare riannodati tutti i fili.
Il ritmo un po' lento nella fondazione, si slancia nello sviluppo e schizza nello scioglimento, diventando adrenalinico.
È un romanzo scritto da manuale. Perfino i cliché, come l'investigatore americano affascinante e donnaiolo o il neonazista torturatore e cattivone, risultano accattivanti e avvincenti, perché lo scrittore, consapevolmente, li utilizza certo di suscitare sentimenti ed emozioni già note.
Non ci sono le solite scene di erotismo esplicito, anche in questo Cooper rischia, rispetto alla narrativa oggi in piazza, e lo fa con stile eccellente, lasciando sentimenti, desideri, passioni in sospeso, alimentando così la tensione emotiva della lettura e dimostrando che si può "vendere" anche senza svendere il mestiere di scrittore.
Nonostante questo, ci sono delle fragilità:
- i dialoghi, sebbene realistici, sono macchiati dal ripetersi di espressioni reiterate e fastidiose come i continui "be'" gli "un po'" e le forme tipiche del colloquiale americano, perfette per il protagonista Cal Donovan, un po' meno se a pronunciarle sono Himmler o i cardinali italiani;
- le relative spuntano come funghi, (forse un problema legato alla traduzione) ma ci sono passaggi in cui si contano anche cinque "che" di fila e questo rende la prosa saltellante e poco fluida;
- il co-protagonista Cal Donovan, esperto di miti e religioni, ne sa perfino più degli italiani su certe faccende di storia e religione, come per esempio quando fa una lezione di storia a una giovane docente italiana sull'eresia catara. Perdonabile, ma poco credibile;
Al di là di queste piccolezze di stile, la pecca più grande, secondo me, è il finale segnato da troppi colpi di scena. Cooper da' ritmo e sa farlo molto bene, ma infila 4/5 colpi di scena in poche pagine. Alla fine chi legge rischia di non capire nemmeno cosa stia succedendo, soffocato dagli accadimenti e questo è un peccato.
Un ultimo pensiero va al "papa nascosto" mi riferisco a papa Francesco, celato dietro il nome di Celestino. Cooper lo fa per rispetto o per timore? Dettaglio curioso in un libro tutto da leggere.