Voragine
Letteratura italiana
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Una fine che non finisce
Non credo di essere in grado di parlare di questo libro, ma posso dire cosa ho provato nel leggerlo: malessere, disagio, freddo, solitudine, fame, disgusto, disperazione...
Ho trovato gli echi apocalittici della strada di McCarthy, la fame avvolgente di Knut, la bestialità del condominio di Ballard, la disperazione dei ciechi di Saramago, la voracità dei Cariolanti di Naspini...
Tutto condensato in un paio di centinaia di pagine.
Troppo carico, troppo disperato, troppo cupo, troppo tutto.
O forse io non ero preparata a dover incassare così tanta violenza.
Esposito ha voluto raccontare la fine di un mondo che non finisce, un tempo fermo che va avanti all'infinito, un inverno senza fine che inghiotte tutto ciò che prima era "umano".
E lo ha fatto attraverso una narrazione fredda come la morte, priva di pathos, dove tutto accade perché deve accadere, senza spiegazioni, senza stupore.
Ma c'è anche della poesia in tutta questa drammaticità.
Ci presenta Giovanni, che, dopo aver perso un fratello (morto di freddo) e il padre (impazzito), inizia a vagabondare, solo e sperduto, in una terra spettrale, con la sola compagnia di un'ombra e di una voce proveniente dal buio, che pronuncia parole a lui incomprensibili, parole di silenzio che lo conducono verso il vuoto, il nulla...
Giovanni non è portatore di nessun messaggio, di nessun fuoco...sarà soltanto chiamato ad essere testimone della fine dell'umanità.
Non c'è una collocazione temporale, né geografica...tutto è sospeso, anzi...tutto è in caduta libera, fagocitato dal vuoto.
"ANCHE QUESTA FINE NON FINISCE E NON FINENDO FINISCE.
UN TEMPO SMASCHERATO TORNA A FLUIRE."
Un libro disperato e disperante, terribilmente duro.
Un esordio potentissimo, feroce e incisivo, ma che, secondo me, risente troppo del confronto con chi lo ha preceduto.
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E dopo quei giorni altri giorni
A metà tra La Strada di Cormac e uno dei deliranti testi di Moresco, la scrittura di Voragine è molto interessante: magnetica, ipnotica, più vicina alla poesia che alla prosa, una poesia che è quasi una cantilena con frasi brevi e ripetizioni che aumentano e potenziano il senso di solitudine, di delirio e alienazione. L’ambiente descritto è metafisico e la situazione è a metà tra realtà, allucinazione e delirio. Si suppone una situazione apocalittica con piaghe di gravità crescente e orrore di vivere crescente, con la follia che prende il sopravvento su ogni elemento di umanità. Non si riconosce il confine tra sogno, allucinazione e realtà: gente che sparisce come fatta d’ombre ma cadaveri reali e corpi smembrati, cani e automobili vuote e abbandonate. I cani (o forse i lupi), che come ombre invadono le città, sono meno feroci degli uomini che si squartano, mutilano e sbranano tra loro. Non è tanto la solitudine, la fame o il freddo e nemmeno la malattia la cosa peggiore. La cosa peggiore è la perdita di ogni barlume di razionalità, sentimento e di umanità.
Molto bella la voce e la figura del protagonista Giovanni che cammina per questo mondo imbastardito muovendosi come un veggente che però non vorrebbe vedere. Bellissime le (rare) incursioni dello scrittore nel testo che suggeriscono contemporaneamente la presenza di una coscienza più vasta di quella di Giovanni ma anche uno sdoppiamento della stessa coscienza di Giovanni e forse un principio di follia. Interessante è la traslazione di coscienza con Io che vede Giovanni come in un rovesciamento di ruoli o di identità dominante. La scrittura è bellissima, senza cedimenti. Anzi andando avanti si fa sempre più intensa. Le prime pagine mi erano sembrate un pochino monotone. Bisogna prendere il ritmo della scrittura, lasciarsi ipnotizzare e trascinare dal fiume di parole. Nel finale la scrittura rende il massimo. Molto bello il tocco di verde sul finale.