Vivida mon amour
Letteratura italiana
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Pene d'amore di un neodottore.
Dimenticate l’Andrea Vitali cantastorie di Bellano, accantonate (per poco, naturalmente) il maresciallo Maccadò, i suoi carabinieri, la burbera suora dell’Ospedale, i personaggi che animano la cittadina lacuale: lo scrittore cambia registro e ci propone una languida storia d’amore, la cronaca puntuale e particolareggiata di un vero e proprio colpo di fulmine. Certo, le persone interessate non potevano essere più diverse l’uno dall’altra. Lui, giovanotto di buona famiglia, timido, neolaureato in medicina, qualche supplenza qua e là, sempre a corto di soldi e sempre in cerca di un’auto in prestito, lei, una strana ed eccentrica ragazza, bella e sicura di sè, ma poco acculturata, famiglia di agricoltori e vivaisti di fiori e piante. Anni ’70-’80, gli amori si coltivavano nel cuore e con gli sguardi, il primo bacio era una conquista. Il fatale incontro avviene ad una festa, lui incrocia una sua occhiata, lo colpiscono il vestito ed i malleoli (sic!) di lei: ne esce stracotto, un’infatuazione bella e buona che spinge il nostro baldo e romantico giovane a mettersi alla ricerca di lei attraverso peripezie varie. La trova, iniziano le telefonate ed il corteggiamento. Le uscite serali mettono a dura prova il rapporto tra i due. Capita che lei, alla prima uscita, emani uno sgradevole olezzo di aglio, costringendo l’accompagnatore a tirar giù discretamente il finestrino, e che poi incontri un amico in un locale e si perda in chiacchiere con lui trascurando il suo spasimante. Capita anche che , alla seconda uscita, lei non sopporti, offesa, di essere considerata dalla padrona del ristorante la sua fidanzata: abbandonano il locale, si buca la gomma della macchina ( di bene in meglio!), finiscono la serata in un altro locale ( il “Papillom”, proprio così, si pronuncia come si legge!) che però sta per chiudere. Ma non basta: per far colpo, lui la invita una terza volta in un rinomato ristorante, il “Douce France”, che però ha chiuso i battenti per ferie. Ma il colpo di grazia arriva quando, finalmente, il nostro Romeo rivela il suo amore e le sue intenzioni alla bella scontrosa: la risposta è un netto NO, e qui sembra finire tutto. Disperazione, rassegnazione, silenzi, il tempo passa. Ma l’imprevedibile fanciulla (lui non sa ancora pronunciarne il nome, se Vìvina o Vivìna, questione di accenti: alla fine lei si rivelerà come Vivida) si rifà viva, rimprovera il suo silenzio e gli confessa di averlo messo alla prova. Vai a capire le donne!
Il finale non riserva l’attesa sorpresa che ci si sarebbe potuto attendere, dato l’andazzo degli eventi: anzi, invece di un colpo di scena (che so io, l’apparizione di un vecchio spasimante, un figlio altrui in arrivo, o simili), i due coronano con un bel matrimonio il faticoso e costante corteggiamento del neo dottore.
Ma, ecco la sorpresina finale, che lascio ai lettori il piacere di scoprire. Vivida è ormai la padrona dell’azienda di famiglia (piante e fiori), e lo sposino diventa, suo malgrado…
Come si suol dire, la bella Vivida ha acchiappato due piccioni con una fava.
Il romanzo si legge con curiosità e con piacere. Lo stile è forbito, tipo romanzo fine ottocento, con divagazioni curiose e sospiri amorosi: ogni tanto, qualche imprecazione (e non solo) ci riporta al Vitali della plaga di Bellano e dintorni, così, per farci capire che è sempre lui che scrive e che sa anche deliziare il suo pubblico con altri tipi di storie.