Verderame
Letteratura italiana
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Unico nel suo... genere?
Prima di imbattermi in questo autore, avevo un’idea concreta del fatto che non sarebbe stata una lettura comune. Questa idea non è stata disattesa, per diversi motivi, ma andiamo con ordine.
Lo stile di Michele Mari è di altissimo livello, prodotto di una persona evidentemente acculturata, ma anche molto capace e appassionata nel mestiere dello scrivere. Il suo vocabolario è sconfinato, e non capiterà di rado di imbattersi in termini mai sentiti prima che ci permetteranno di arricchire il nostro, di vocabolario. Pur risultando difficoltoso in certi tratti, soprattutto nei dialoghi che coinvolgono Felice, il quale parla soltanto in dialetto strettissimo, credo che il valore della scrittura di Mari sia un dato oggettivo.
Ma di cosa parla questo libro? "Verderame" è un viaggio nella mente di un uomo dal passato e dai natali misteriosi, resi ancor più oscuri dalla sua recente perdita di memoria; un viaggio che verrà condotto dal nostro protagonista: Michelino, probabilmente un piccolo alter ego dell'autore. Nella sua indagine sul passato di questo agricoltore (Felice, che lavora per i suoi nonni), Michelino mostrerà le abilità deduttive di un investigatore già navigato, con una cultura e delle nozioni ampie e già consolidate. Questo aspetto tuttavia è, per quanto mi riguarda, una pecca: Michelino non ha neanche quattordici anni e sembra avere qualità e conoscenze che molti adulti si sognerebbero. Mi è parsa una forzatura e, anche se non me la sento di definirla grave, toglie il racconto dallo spettro della perfezione. Tenendo da parte questo aspetto, il racconto prosegue come fosse un indagine giallistica che appassiona il lettore e lo invoglia a proseguire. Tuttavia, nonostante le peculiarità appartenenti al genere, non può assolutamente esservi confinato.
Felice è un uomo che ha vissuto una vita traumatica, pregna di tragedie personali e attraversata da avvenimenti storici incresciosi. Il periodo della vita di Felice su cui Michelino cerca di fare luce, infatti, comprende anche quello delle lotte partigiane contro i nazisti. Che ruolo ha avuto quell’agricoltore, nella Storia che ha travolto il suo paese? chi erano suo padre e sua madre? cosa ci fanno i cadaveri di tre nazisti dietro una porta del fienile? e perché ce l'ha a morte con le “lumache francesi”?
Questo di Michele Mari è un racconto inusuale, in cui non mancano punti oscuri e inspiegabili; soprattutto in un finale che, in tutta onestà, non credo di aver afferrato appieno, ma che è perfettamente in riga col tono palesemente influenzato dai vari Stevenson, Lovecraft e Poe, che permea un po' tutto il romanzo.
“È già insostenibile sapere di essere amati, ma scoprirlo di nascosto è più osceno che fare il voyeur nascosto dietro ai cespugli…”
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Ah...le lumache francesi...
Eccomi qui...confusa (e felice???).
Felice di aver letto questo libro sicuramente, ma il livello di confusione e perplessità scaturiti dal finale del romanzo, raggiunge vette altissime.
Mi trovo di fronte ad un'opera che mi ha spiazzato sotto tanti punti di vista: ero molto intimorita da Mari, temevo un linguaggio ed una comprensione del testo al di sopra della mia portata, ed invece pur trovandomi di fronte ad una scrittura altissima, colta, raffinata, che fa delle parole ciò che vuole, ci gioca, le modella, le anagramma, nonostante tutta la cultura che si manifesta in ogni parola pronunciata dal protagonista, le pagine volano via che è un piacere, tutto è chiaro ( sono riuscita persino a venire a capo delle parti in dialetto varesotto!!!), coinvolgente e affascinante.
È un romanzo di formazione, ma anche di avventura, un giallo tendente al gotico, pieno di atmosfere in bilico tra il magico, il surreale e l'horror.
Abbiamo il mito adolescenziale del "mostro", cantine piene di segreti, cadaveri sotterrati in giardino, lumache fameliche...e l'inquietante concetto del "doppio".
Questo "doppio" che, nel finale, ti lascia di marmo.
Non credo di averlo capito.
Anzi, non l'ho capito di sicuro, ma questo non toglie niente alla bellezza e alla forza del romanzo.
Leggendo Mari ho percepito in tutta la sua potenza la mia "inadeguatezza" (io posso dirlo, non lui), in quanto il personaggio di Michelino rimanda a tutta una letteratura che a me manca (Stevenson, Melville, Poe, Lovecraft...), ad una formazione classica che non possiedo e quindi, ahimè, sento di aver perso per strada molte, moltissime, troppe cose.
Ma il piacere di lasciarsi cullare da una scrittura meravigliosa, ricca e trascinante come la sua mi ha ripagato di tutto, anche della presa di coscienza di tutti i miei limiti e della mia ignoranza.
E quindi...Mari, avanti tutta.
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Ecco un esempio di vera letteratura
Come spesso mi capita, leggo un incipit di Mari e mi allontano infastidito. Il motivo? Ostentatamente “barocco” e “artificioso”, molto simile a un gomitolo di filo narrativo che si attorciglia sempre più, sino al punto che viene voglia di tagliarlo e proseguire. E’ quello che faccio con i romanzi di Mari e che in genere – ovviamente vale per me – funziona. Tagliato l’incipit si precipita letteralmente nella storia e non se ne esce più. Verderame è semplicemente un pezzo di vera letteratura. Partiamo dai protagonisti: Michélin e Felice. Michélin non è altri che l’alter ego di Mari, l’eterno fanciullo... ma che non ha nulla a che vedere con il fanciullino pascoliano… qui l’infanzia è riempita di mostri. Felice, che lavora come contadino presso i nonni di Michélin, è uno di questi mostri. Felice, nel suo incantevole dialetto, sta perdendo pezzi di memoria e Michélin decide di aiutarlo. Una ricerca nel passato che si trasforma in una ricerca nel subconscio. Lo strumento principe è la parola e la sua incredibile forza di rompere gli schemi “razionali” e attraverso un’apparente insensatezza giungere all’essenza delle cose, ma che non appena cerchi di afferrare-rinchiudere-catalogare-definire ecco che ti sfugge ancora.
Il solo aspetto debole è a mio avviso nelle “rivelazioni” dei fatti passati che compaiono nel dialogo tra Michélin e Carmen piazzato verso la fine. Sinceramente come lettore non ne sentivo il bisogno. Per un po’ l’atmosfera favolistica, misteriosa e maledetta di Verderame s’interrompe. Tolto questo “peccato veniale di razionalità narrativa”, il resto è grande letteratura.