Vapore
Letteratura italiana
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I giochi della memoria
D'improvviso il silenzio di anni – edificato dalla volontà granitica di tenersi tutto dentro – si sbriciola come un edificio che le fondamenta non ce la fanno più a reggere. E dai detriti del crollo, esce fuori il racconto di una vita.
Maria Salviati – la ragazza piccola e mite che tutti in città ricordavano come “la professoressa” – sottrae la sua storia al pericolo di dimenticarla (a 72 anni la memoria comincia a mostrare crepe), e di punto in bianco decide di raccontarla al giovane Gabriele, il collaboratore dell'agenzia immobiliare cui ha affidato il compito di vendere la vecchia casa di campagna alle porte di Roma. Una casa che per Maria ha significato tanto, quasi tutto. E che ancora nasconde il segreto più grande di quella vita vissuta nell'amore per due uomini diversissimi tra loro, il marito Augusto e il figlio Pietro.
Un segreto non facile da svelare, da tirare fuori dalle cantine della propria anima.
Il tratto distintivo di “Vapore” è senza dubbio la delicatezza.
Delicata è l'idea che l'ex professoressa decida di raccontare la sua vita al giovane agente immobiliare che siede con lei sulle scale della casa di campagna, mentre aspettano quel compratore che (come in un libro di Buzzati) sembra lì lì per arrivare e non arriva mai.
Delicato è il modo in cui la donna tratteggia la figura dell'amato marito Augusto, quell'uomo idealista e “fuori moda” al tempo stesso, che ama “trasformarsi” nel mago Vapore e sparire per giorni all'inseguimento della sua vera natura.
Delicato è il loro innamoramento di ragazzi, la fiducia di Maria nelle qualità di un uomo che sembra non avere nulla da offrire se non la capacità di improvvisare.
Delicato il modo in cui si faranno compagnia nel tempo, fino a quando tutto non dovrà finire.
Marco Lodoli lega un'amaca tra la poesia e l'inquietudine degli anni '70 (impersonata dal figlio della "professoressa", Pietro): invita il lettore a cullarsi in una piccola storia, di quelle che portano per mano ad incrociare le vite di altri, a conoscerle per il tempo che serve a conservarne il ricordo.
E riprendere il filo della propria storia... magari per raccontarla ad altri, un giorno, senza la presunzione che possa insegnare qualcosa, ma soltanto perché non si perda del tutto...