Vangelo secondo Maria
Letteratura italiana
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Una rivisitazione dignitosa
Nel Vangelo – quello vero – Maria è una ragazza inondata dallo Spirito Santo che partorisce Gesù Bambino. Punto. Non è dato sapere il ‘prima’ né tantomeno il ‘dopo’.
Sarà Barbara Alberti, circa duemila anni dopo, a darci la sua versione della crescita spirituale e morale della ragazza grazie alla quale il mondo intero è cambiato (o avrebbe potuto, visti i risvolti).
L’affresco offertoci dalla scrittrice umbra può sembrare audace, e lo è se si legge nella versione latina della parola, proveniente dal verbo ‘audeo’ (cioè ‘voler risolversi ad un’azione’). Non è, perlomeno non per me, un libro irriverente o insolente. E’ un libro che smuove, ma che lo fa in maniera intelligente e con un ritmo incalzante e a tratti soave.
Un libro fatto più di poesia che di prosa: è molto musicale, ci sono parecchie rime e manca in alcuni passaggi la punteggiatura che avrebbe rotto il flusso del racconto.
C’è un critico letterario – non chiedetemi il nome, non me lo ricordo – che ha studiato l’importanza della frequenza della congiunzione ‘e’ nell’opera leopardiana e ne ha spiegato il vitale valore ne “L’infinito”. Ora, non è che sia ammattita tutto d’un colpo e voglio paragonare l’Alberti a Leopardi… ma c’è un brano, precisamente quello dell’Annunciazione, in cui v’è ripetuta costantemente la congiunzione ‘e’. Ed è in questa anafora che è contenuta la forza della Alberti e di questo ‘Vangelo secondo Maria’, che si articola su più dimensioni: quella del reale, della visione onirica, del piano simbolico e di quello profetico.
A me questo vangelo moderno m’è piaciuto, e non per il semplice gusto di voler andare contro, ma perché ho notato più sostanza qua che in tanti altri libri pubblicati al giorno d’oggi tutti messi insieme.
La promozione del libero arbitrio e dell’indipendenza femminile sono affrontati in maniera diversa, e sinceramente non ho ancora capito perché il diverso fa così paura. Che la Alberti continui per la sua strada e i bigotti se ne stiano a casa loro, grazie.
“Ho quattordici anni. Il mio corpo e la mia capacità di capire crescono ogni giorno in armonia, ma devo stare attenta: a non farmi contagiare dal dolore impresso su ogni volto, come il marchio di una colpa indimenticata. Alle fanciulle non si addice far domande; ma io, a tutti quelli che incontro vorrei chiedere se hanno scelto il loro destino, o se una strada come questa del villaggio li ha inghiottiti senza lotta”.