Una famiglia bellissima
Letteratura italiana
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Solo per salvare una vita
"Pinzimonio per mamma. Formaggi misti e miele per papà, Culatello, prosciutto di Parma e olive all'ascolana per me."
Una famiglia di punti fermi, di infine distanze, nel labirinto edificato da una logica che sa affettare senza lasciar sanguinare, a conquistare metri di tranquillità anche sul terreno neutro della cucina. La paura rende stupidi, decanta negli anfratti del pensiero, avvelena e annebbia la mente. L'intelligenza può essere un dono sprecato, una gabbia dorata. La purezza ha la stessa consistenza della morte, d'altronde HITLER IS DEAD. I segreti si nutrono di silenzi, di accondiscendenza, si ingigantiscono d'ombra, ologrammi e narcisi, bolle d'aria, gonfiate di spazi vuoti e di ignoranza. A volte basta una parola, Max.
Massimiliano Oderico ha tredici anni, "le pupille rivolte in alto, a inseguire pensieri troppo complicati, troppo dolorosi per la sua età", respira il vapore gelido di una quotidianità costruita tra i lacci del superfluo e la nenia ingannevole di un acume inutile. Inutile, perché la vita è più complicata, insidiosa, l'animo umano un grumo d'ombra, l'ingenuità un punto di luce. Uscire dalla gabbia ha un prezzo, un mito crollato, un'amputazione. Perdere un braccio per salvare la vita, la scelta migliore, ma la mente collassa, si incarta, spera di ricucire le distanze, fallisce.
Un libro scritto con intelligenza, registri e stili che si rispondono, peculiarmente disomogenei fra loro, calibrati ai personaggi, dissonanti e assurdi, come l'impero di cristallo che si consuma in un pulviscolo di cenere. Una famiglia bellissima è la storia di una difficile riscoperta, di una fragilità che condanna alla contraddizione, la leggerezza di un prato sotto la lente di una serra disinfettata e lucida. È la storia di una maturazione che procede a colpi di ascia, conficcati nella carne, soldatini di latta nauseati di apparenza.
Forse tutti siamo stati qui, di fronte al Minotauro, nel cuore del labirinto. Tra uccidere e morire, si può scegliere di vita. Forse.
Ma chi salvare: la madre o il bambino?
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Disagio della civiltà
Sigmund Freud definì “ disagio della civiltà” la sensazione angosciosa di essere circondati da pericoli ignoti, insondabili, indefinibili: è quanto ci ricorda Arnold Hauser nella sua “Storia sociale dell’arte”. Una definizione, questa, che si attaglia benissimo al problematico personaggio del padre nel romanzo “Una famiglia bellissima” di Antonella Di Martino, un libro coraggioso e intelligente che vuole denunciare le ipocrisie e la superficialità di gran parte della società contemporanea.
Ed è proprio la famiglia che nella sua apparente armoniosa e felice esistenza, nasconde le tensioni più laceranti: la famiglia diviene la sede degli inganni più spietati e della sopraffazione.
Il racconto è affidato al giovane Max, depositario di un segreto imbarazzante, del quale si viene a poco a poco a conoscenza, e con il quale Max ha imparato a convivere. Il segreto è costituito dalla “scimmia”, vergogna della famiglia, testimonianza inconfessabile della degenerazione familiare, oggetto e causa della sopraffazione paterna.
Eppure Max, giovane puro nell’animo, scopre la vera dimensione dell’amore fraterno e compie un atto di ribellione rivoluzionaria: priva la scimmia, sua sorella, del suo pelo mostruoso e le restituisce dignità umana. È l’onestà di Max che ci apre uno spiraglio verso un futuro meno ipocrita e più coraggioso. È Max l’unico portatore di quei sani valori dei quali la nostra società si vanta ma che disattende quotidianamente.
Può apparire spietato e amaro il romanzo di Antonella Di Martino e certamente non è un inno alla famiglia così come essa si è radicata nel nostro immaginario. I tempi difficili che viviamo hanno indubbiamente contribuito a generare opere di un realismo a volte agghiacciante. Si pensi a un Franzen o a un Piperno, per citarne solo due, che raccontano storie di famiglie dilaniate da incomprensioni, competizioni e a volte odi profondi. Il nostro è indubbiamente il tempo del realismo, del realismo più spietato, il solo forse in grado di restituirci una coscienza e una consapevolezza che stiamo perdendo del tutto. Eppure in questo quadro realistico dissacrante c’è uno sguardo ottimistico verso il futuro, un futuro costituito da giovani privi di fatui orpelli, portatori di sentimenti sinceri e spontanei, non contaminati da principi opportunistici facili veicoli verso la corruzione.