Narrativa italiana Romanzi Un solo paradiso
 

Un solo paradiso Un solo paradiso

Un solo paradiso

Letteratura italiana

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Una storia d’amore: ma anche il resoconto di quanto tale sentimento possa condurre alla distruzione di sé. Il racconto di una passione assoluta, forse troppo grande per tempi così precari, di cinismo e paura: ma che restituisce ad essa tutta la sua dignità, il suo pudore, e insieme il suo peso tragico. Due vecchi amici si incontrano per caso nel bar che era stato un tempo il covo della loro tribù urbana. Si erano persi di vista e uno dei due, il protagonista, comincia a raccontare all’altro: che prima resta interlocutorio, poi stizzito, e infine folgorato dall’impeto inattuale della storia. Alessio, sul finire dei vent’anni, un lavoro normale, originario di una famiglia delle montagne lombarde con un padre autoritario e un fratello sbandato, trombettista in una piccola jazz band, coltiva una mediocrità esistenziale: un «dolceamaro contentarsi», lo chiama. Martina invece è magra e dal corpo agile e nervoso; viene da una famiglia di professionisti meridionali, non dice molto di se stessa, e i suoi gusti sono spesso poco originali. Due ragazzi qualunque: ma da questo «qualunque» si genera di colpo una strana forza tempestosa, una divina mania. Un fuoco breve che esplode per le strade di Milano – evocata limpidamente, quartiere dopo quartiere – e si consuma al suono di una musica febbrile. I piccoli sadismi per misurare quanto l’altro ci appartenga. Le fitte di sofferenza per la felicità provata dall’altra prima o senza di lui. Le fughe dalla troppa intensità. I silenzi pieni di domande e di risposte mute. L’insana speranza di una sofferenza maggiore in chi si allontana. Fino a quando, così com’era venuto l’amore se ne va all’improvviso. Sconvolto dalla perdita e incapace di decifrare l’ossessione che essa genera, Alessio reagisce annichilendosi. Gli amici lo respingono senza comprenderlo, come se parlasse una lingua da tempo dimenticata. Così si perde fra interminabili camminate nella periferia milanese – ora accesa da una bellezza lacerante, ora invece cupa e fredda – e sprofonda lentamente nell’alcolismo e nella solitudine. Fino a trasformare la perdita in destino, fino a scomparire per sempre. E quello che resta all’amico, da ultimo testimone, è la vita che continua, piccola e insipida. Con la nostalgia di non avere mai provato né tanta felicità, né un dolore così grande: senza il privilegio di avere perso un paradiso.



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Un solo paradiso 2016-12-06 15:27:59 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    06 Dicembre, 2016
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"Dolceamaro contentarsi"



"Dolceamaro contentarsi"...ovvero aspettarsi il meno possibile dalla vita.
Alessio persegue scrupolosamente questo stile di vita, per non rischiare di affondare, perché convinto di non essere capace di amare, fino al giorno in cui incontra lei, Martina...e allora sente che non ha più bisogno di volare basso per paura di cadere, si lascia andare, prova il brivido di osare, di sperare in qualcosa di più.
Ma "si può sopravvivere a molti inferni e non a un solo Paradiso".
Quando provi quella sensazione di beatitudine, quando assaggi il sapore dolce della felicità, diventa difficile tornare indietro e ricominciare ad accontentarsi.
Mai far dipendere la propria salvezza da un altro.
Le persone possono fare tante cose, ma mai "salvare" qualcuno da se stesso.
La felicità si mostra quando, finalmente, ci trova inermi, ma poi si prende tutto e ci lascia lì, indifesi, esausti, senza più l'energia, né la voglia di tornare in posizione di difesa.

"Per la prima volta voleva assolutamente vivere, e per la prima volta si scoprì oscenamente mortale".
 
La storia in sé non brilla per originalità, ma è il modo in cui Fontana l'affronta che mi piace: è elegante, profondo, ricco di dettagli introspettivi.
Ti fa vivere l'inquietudine di Alessio e il suo dramma sentimentale senza essere sentimentale.
Riesce a fare di una storia apparentemente banale e comune a molti, una storia simbolo di tutti quei "Paradisi" che ognuno di noi ha vissuto e visto sfiorire.
Ma un Paradiso che sfiorisce non necessariamente si trasforma nel suo opposto.
Per Alessio però sí, e sprofonda nell'abisso.
Fontana ci dà l'immagine di un uomo, completamente solo, che imbocca con decisione, la strada dell'Inferno.
E se dall'inferno è possibile tornare, questo, non ci è dato sapere.
Un bel libro, ricco di tanti bei passaggi.
Se, invece, devo trovare dei difetti in questo romanzo, uno è sicuramente l'eccessiva nomenclatura di tutte le vie, viali, corsi, piazze e vicoli di Milano.
Non mi è dispiaciuta la descrizione di una Milano dai toni un po' spenti, sottotono, periferica, un po' squallida e degradata, anzi l'ho trovata perfettamente in linea con i pensieri del protagonista e con l'atmosfera psicologica che si respira durante tutta la lettura, come se il dolore del protagonista si estendesse su tutto cio che lo circonda, ma ritengo che si potesse evitare l'effetto "Tuttocittà".
D'altronde per chi non è di Milano, un nome vale l'altro...
La bravura di Fontana si manifesta nella capacità di fare appassionare ad una storia densa di jazz, alcool e Milano...una persona come me che non ama il jazz, odia l'alcool e non conosce Milano.
E tanto basta.
Sono stata indecisa fino all'ultimo se fare la conoscenza di questo autore da quest'ultimo lavoro o da "Morte di un uomo felice" (possedendoli entrambi), e non nascondo adesso la voglia e la curiosità di leggere subito l'altro.


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