Narrativa italiana Romanzi Un filo di fumo
 

Un filo di fumo Un filo di fumo

Un filo di fumo

Letteratura italiana

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Nel 1980 Livio Garzanti volle pubblicare questo mio romanzo risolvendo le perplessità di alcuni suoi eminenti collaboratori. Mi domandò però, quasi a guardarsi le spalle, un glossario. Comprendendo le sue taciute ragioni, principiai a compilarlo di malavoglia: poi, a poco a poco ci pigliai gusto e me la scialai. Il romanzo viene ora ristampato a distanza di diciassette anni e il glossario, nel frattempo, è diventato superfluo. Se ora lo ripubblichiamo è perché la cosa sottilmente ci diverte. Lo spunto di Un filo di fumo me lo diede un volantino anonimo, trovato tra le carte di mio nonno, che metteva in guardia contro i maneggi di un commerciante di zolfi disonesto. Per il resto, nomi e situazioni sono da addebitare alla mia fantasia. Andrea Camilleri



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Un filo di fumo 2012-08-31 08:16:15 antonelladimartino
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antonelladimartino Opinione inserita da antonelladimartino    31 Agosto, 2012
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U fumu!

Una breve tragedia comica, raccontata con brio. La narrazione è sapientemente condita dai termini dialettali, che aiutano a descrivere e a connotare con efficacia cinematografica personaggi, ambienti e tinte forti di un microcosmo con poche sfumature. Ho letto questo piccolo gioiello nel giro di una giornata, divertendomi a giocare con dialetto e relativo glossario. Mi sembra che il contesto sia in grado di fornire indizi più che sufficienti a una gustosa escursione nella profonda provincia siciliana, ma devo confessare che la lingua sicula non mi è del tutto sconosciuta: l’ho appresa dalla mia famiglia acquisita, di origini agrigentine.

La connotazione è senza dubbio uno dei punti più forti di questo romanzo, da leggere con attenzione anche tra le righe. L’autore offre la giusta chiave di lettura su un piatto d’argento: il torinese ingegner Lemonnier, che come l’occhio alieno della narrativa fantascientifica ci aiuta nella decodifica.
“Non erano le parole che dicevano, non erano i gesti che facevano, s’era persuaso l’ingegnere: bisognava stare attenti a come dicevano quelle parole, a come facevano quei gesti.”
Il lettore avvisato può cogliere e gustare ironia di ottima qualità, che come il companatico dei poveri aiuta a mandare giù l’amarissima riflessione antropologica, che traspare oltre semplicità della trama.

I personaggi di questo romanzo, ambientati in un paesino siciliano del fine dell’ottocento, sembrano nati oggi: il “fotte-made-man temuto” e odiato; la famiglia che si stringe compatta intorno a lui; i suoi simili pronti a gioire sulla sua tomba e a mangiare alla sua tavola; la massa dei più poveri esclusa dal gioco e unita nella miseria. Al di fuori della famiglia c’è il buio del cinismo più assoluto; solamente la vendetta è in grado di unire i simili in un’azione comune. Ma neanche la famiglia, unico baluardo in un ambiente altrettanto crudele ma molto più insidioso d’una jungla, si salva dal massacro.
“... qualche volta il sangue si ribella al proprio sangue senz’altra ragione perché l’uomo è l’uomo, e l’odio più forte e nascosto nasce tra fratello e fratello, tra padre e figlio.”

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