Un amore
Letteratura italiana
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Un turbinio di emozioni
Buzzati si rivela scrittore del tutto nuovo in questo romanzo pieno di vigore, intenso, coinvolgente, con un ritmo che colpisce con forza, in maniera quasi insolente, specie in alcuni capitoli, che si leggono senza prendere fiato, "risucchiati" nei profondi monologhi interiori del protagonista. Rispetto al più conosciuto "Il deserto dei Tartari", che ha tutt'altro ritmo, sembra davvero un racconto scritto da un altro autore. Mi ha sorpreso l'utilizzo di una prosa vibrante, che tralascia spesso la punteggiatura, ma lo fa volutamente, per rendere il ritmo ossessivo, come ossessivi sono i pensieri del protagonista. Un romanzo che scorre come un fiume in piena e sembra scandagliare il flusso dei pensieri più reconditi, ma anche di quelli improvvisi, del protagonista, per riversarli poi sulla carta come un pittore surrealista fa con i colori della sua tavolozza, gettandoli vigorosamente sulla tela, quasi volesse imbrattarla, renderla densa, corposa, astrusa, ma anche profonda, e certamente oscura. In questo senso il romanzo è quasi surreale, poiché vive attraverso le angosce di Antonio Dorigo, nutrendosi dei suoi contorti e macchinosi pensieri, nel contesto di una Milano malinconica e grigia, piovosa e sporca. L'ambiente nel quale vive, o meglio, sopravvive il protagonista, è simile ai suoi pensieri, alle sue angosce interiori, e sembra che l'uno si alimenti degli altri e viceversa. Sorprendenti gli immediati passaggi dalla prima alla terza persona, meravigliosi i dialoghi interiori pieni di dubbi di Antonio, che giorno dopo giorno rimane invischiato in un'amore morboso che gli toglie ogni energia, che lo tormenta e lo angustia, che lo fa diventare diffidente e geloso, ma anche incapace di reagire, di conservare la sua dignità, di ribellarsi definitivamente, di raggiungere un qualche punto fermo. Egli si divora interiormente senza capire i motivi che lo spingono a comportarsi in quel modo, si annienta, si lascia andare alla disperazione, distruggendo anche il suo amor proprio, senza capire cosa lo porti al tormento. Romanzo possente, denso, abbacinante, che racconta di un sentimento chiamato amore qui ridotto a puro stato morboso, a pura sofferenza interiore.
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Incomunicabilità
Che Buzzati mi abbia conquistato con i Sessanta racconti e Il deserto dei tartari non è più un segreto ormai. È che mi ha sorpreso ancor di più con questo romanzo, un classico intramontabile che mi chiamava da tempo.
È una relazione sbilanciata quella tra Laide e Antonio: lei prostituta sfuggente, misteriosa e mai cristallina; lui succube, in perenne tensione per le sue assenze, la cerca ovunque accecato dalla gelosia e la attende con infinita e dolorosa pazienza, credendo agli imbrogli e alle fandonie che lei racconta.
Straordinari sono i monologhi interiori di Antonio Donego, in cui salta la punteggiatura perché i pensieri corrono veloci in un turbinio di parole inarrestabili, una cascata di immagini che marcano la sua ossessione bruciante, il suo pensiero fisso, la sua dolce-amara sofferenza, il suo sperare 'esasperato'.
"L' attesa" (come ne "Il deserto dei Tartari") è un elemento integrante del romanzo: è salvifica per Antonio, poiché lo allontana dal pensiero della morte, nonostante l'attesa di incontrare Laide, per infinite volte, sia straziante e sofferta. L' attendere è il motore che lo tiene in vita, la sua áncora di salvezza in una vita fatta di solitudine (come quella di Laide, del resto).
L' amore che prova per Laide lo allontana da quell' immagine di 'torre nera' che pare lo sovrasti nuovamente dopo due anni: sembra proprio che la vita (la nuova maternità di Laide) chiami la morte (ecco riapparire la torre nera e la sua ossessione per la donna pare svanire), e si chiuda così un ciclo vitale: ritorna il discorso metafisico, tema caro all'autore.
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Laide e Antonio
«Antonio ebbe un presentimento: come se quell’incontro avesse importanza nella sua vita, come se il coincidere rapidissimo degli sguardi avesse stabilito fra loro due un legame che non si sarebbe spezzato mai più, a loro stessa insaputa. Già in passato, più di una volta, aveva constatato l’incredibile potenza dell’amore, capace di riannodare, con infinita sagacia e pazienza, attraverso vertiginose catene di apparenti casi, due sottilissimi fili che si erano persi nella confusione della vita, da un capo all’altro del mondo.»
Febbraio 1960, Milano. È una mattinata apparentemente come tante ma non nel concreto per l’Architetto quarantanovenne Antonio Dorigo. Il desiderio, quell’istinto irrefrenabile si è preso gioco di lui, pulsa nelle viscere senza sosta e senza possibilità di interruzione. Lui che sa controllarlo benissimo, lui che delle donne ha un timore reverenziale vedendole come creature irraggiungibili, quando è colto da questi istinti non riesce a trattenersi e deve reagire, rispondere. La chiamata alla signora Ermelina, l’appuntamento per le 15 – come arrivare alle 15, come! –, l’incontro con lei, Laide, diminutivo di Adelaide, minorenne al tempo, ballerina alla Scala e non solo (anche al Due ma non solo e non solo ancora) con i suoi seni piccoli e appuntiti e le sue gambe magre e slanciate. Tonino da sempre ha un atteggiamento particolare verso le donne. Le vede come creature irraggiungibili ma anche in un certo senso come pesi da tenere a debita distanza onde evitare di poter essere “contagiato” da loro, da poterne in qualche modo diventare dipendente. Ancora, sono dal suo punto di vista in un certo senso creature “inferiori”, non al pari a livello di istruzione almeno e di acume ancor più dell’uomo. Creature inconcepibili a maggior ragione dal punto di vista di quel concedersi che ha sempre immaginato come qualcosa di esclusivo, prezioso, Tuttavia, Laide non è come le altre. Si presenta all’incontro con le ascelle non rasate (cosa inconcepibile e lui lo sa bene), indossa un abito non particolarmente atto a metterla in mostra, non sembra essere nemmeno particolarmente bella con quei suoi tratti e capelli ordinari. Eppure ella esercita su di lui un fascino irresistibile. Da un incontro ne sussegue un secondo e da qui un terzo. Lo stesso Dorigo è sorpreso di se stesso. Cos’ha alla fine questa ragazza di così diverso dalle altre da trascinarlo in questo vortice dal quale sembra non riuscire a staccarsi? Vi è anche un cambio di scena in quanto i due, piano piano, iniziano a vedersi fuori dalle stanze della signora Ermelina ma sempre con il previo Dio denaro a far da padrone. Per Antonio, però, le cose cambiano. Stranamente, inaspettatamente si accorge di essere innamorato. Lui, innamorato. A quarantanove anni. Lui innamorato e di una ragazza con così tanti anni meno. Lui innamorato e di una ragazza che fa il mestiere anche se non vuole ammetterlo. Lui innamorato, geloso e pure “preso per il naso” da una ragazza che si approfitta della sua ingenuità.
«[…] Disarmato e solo. Nulla esiste oltre alla malattia che lo divora, è qui se mai l’unico suo scampo, di riuscire a liberarsi, oppure di sopportarla almeno, di tenerla a bada, di resistere fino a che l’infezione col tempo esaurisca il suo furore. Ma dall’istante della rivelazione egli si sente trascinare giù verso un buio ma immaginato se non per gli altri e d’ora in ora va precipitando.»
Una gelosia senza freni, una gelosia che lo mangia dall’interno. Un sentimento che non sa gestire, un modo di vivere che in alcun modo avrebbe mai prospettato di dover affrontare. Com’è possibile gestire o un siffatto sentimento d’amore che è una malattia che ti pervade dentro e ti mangia senza sosta e senza remore? Inizia da qui la lunga epopea di Dorigo che della giovane è innamorato e che dalla stessa è schiacciato. Ma inizia anche il viaggio di Laide perché la giovane, a sua volta, è costretta a una vita che forse è dovuta e non voluta, che forse semplicemente è piegata da una società che senza troppi fronzoli e senza troppe remore condanna, vive di apparenze e sfarzi e non accetta compromessi per chi non fa parte di quel contesto previsto.
Da qui la riflessione su quel che è la borghesia e la classe borghese, su quel che è la classe anni ’60 ma anche su quel che è la consuetudine sociale, la maschera, l’ipocrisia. Nell’opera di Buzzati ritornano vari aspetti ricorrenti, dalla solitudine all’introspezione, ai volti che abitano la consuetudine del vivere. Dorigo è l’emblema di questa. Per mezzo di Laide scopre e si rende conto di quelle che erano le sue paure, di quelle che erano e sono i timori del vivere quotidiano. Laide vive nella parte più oscura, nella parte più “condannata” da dettami della consuetudine sociale ma riempie la vita di Antonio e da qui subentra la consapevolezza di una vita precedente vuota e senza veri obiettivi, fatta di paura ma priva di emozioni. Una consapevolezza sul vivere e l’esistere, sulla società che ancora oggi abbiamo accanto, sul nostro quotidiano e su un tempo che forse non è così lontano nei suoi usi, nei suoi mezzi, nelle sue consuetudini e anche nei suoi pregiudizi e nelle sue ombre.
«Perché lui era stato come pietra legata a una corda e fatta girare più svelto sempre più svelto e a farla girare e fatta girare più svelto era la bufera d’autunno era la disperazione, l’amore. E così follemente girando non si distingueva più che forma aveva, era diventato una specie di anello fluido e palpitante. […] Come aveva potuto dimenticare una cosa così importante, la più importante di tutte le cose? Adesso era là di nuovo si ergeva terribile e misteriosa come sempre, anzi sembrava alquanto più grande e più vicina. Sì l’amore gli aveva fatto completamente dimenticare che esisteva la morte. Per quasi due anni non ci aveva pensato neppure una volta, sembrava una favola, proprio lui che ne aveva sempre avuto l’ossessione nel sangue. Tanta era la forza dell’amore. E adesso all’improvviso gli era ricomparsa dinanzi, dominava lui la casa il quartiere la città il mondo con la sua ombra avanzava lentamente. Ma intanto lei, portata via dal sonno, inconsapevole del male che ha fatto e che farà, si libra sotto i tetti i lucernari le terrazze le guglie di Milano, è una cosa giovane piccolissima e nuda, è un tenero bianco granellino sospeso pulviscolo di carne, o di anima forse, con dentro un adorato e impossibile sogno. […]»
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Laide e non Beatrice
Antonio Dorigo è un professionista affermato di quasi cinquant’anni, vive a Milano negli anni Sessanta del Novecento, è scapolo. Ha sempre considerato le donne come creature irraggiungibili e lontane; si è sempre considerato poco desiderabile, non attraente per le ragazze che veramente gli piacevano. Così per calmare il bisogno fisico dell’amore si concede di andare con le prostitute: spesso giovanissime, belle, disinibite e soprattutto sempre disponibili in cambio di denaro. Finché un giorno, proprio durante uno di questi incontri a pagamento, conosce una ragazzina dai lunghi capelli neri e dal nome certamente significativo a livello letterario: Laide.
E’ facile pensare all’esatto opposto della dantesca Beatrice: mentre la prima conduce il suo amante in Paradiso elevandolo dalla sua condizione terrestre di peccatore grazie alla purezza di un legame platonico, la seconda trascina il suo uomo, noioso borghese, nel vortice di una relazione carnale che gli procura tanta infelicità quanta vita. Laido infatti è qualcosa di sporco, sporco nel senso di immorale, osceno. Proprio quanto può esserci di più lontano dal Paradiso, dalla beatitudine e dall’esaltazione della donna che porta l’uomo su un livello spirituale più elevato. No, Laide trascina Dorigo in una specie di incubo fatto di bugie, gelosia e dolore: il problema è che il nostro ingenuo se ne innamora.
Lui stesso si meraviglia e si sbigottisce di fronte a questo inatteso avvenimento: proprio quando ormai ha un piede dentro la vecchiaia, proprio quando ormai è troppo tardi, anche lui viene travolto da quella sublime energia vitale che sembra muovere tutto l’universo, quella spinta che ci fa senza dubbio comprendere di essere vivi.
“Di colpo egli capì ciò che dicevano, capì il significato del mondo visibile allorché esso ci fa restare stupefatti e diciamo –che bello- e qualcosa di grande entra nell’animo nostro. Tutta la vita era vissuto senza sospettarne la causa. Tante volte era rimasto in ammirazione dinanzi a un paesaggio, a un monumento, a una piazza, a uno scorcio di strada, a un giardino, a un interno di chiesa, a una rupe, a un viottolo, a un deserto. Solo adesso, finalmente, si rendeva conto del segreto.
Un segreto semplice: l’amore. Tutto ciò che ci affascina nel mondo inanimato, i boschi, le pianure, le montagne, i mari, i palazzi, le pietre, di più, il cielo, i tramonti, le tempeste, di più, la neve, di più, la notte, le stelle, il vento, tutte queste cose, di per sé vuote e indifferenti, si caricano di significato umano perché, senza che noi lo sospettiamo, contengono un presentimento d’amore.
Quanto era stato stupido a non essersene mai accorto finora.”
Ma si tratta di una relazione malata, di una passione che, seguendo alla lettera il significato etimologico del termine, porta dolore e sofferenza.
Attenzione però, non è Laide che è oscena, sporca, indifferente alle sofferenze di lui e insensibile: è il loro legame che è sbagliato, fondato su rapporti di potere e soldi, interessi che non hanno niente in comune con il sentimento dell’amore.
Un romanzo, in conclusione, che ha la forza di raccontare una storia apparentemente banale e squallida con la potenza della Letteratura, che la fa quindi diventare universale, commovente, catartica.
Veramente è l’amore che muove il sole e le altre stelle, per quanto la sua realizzazione pratica in una determinata esistenza, in un dato periodo storico e condizione sociale sia così tremendamente difficile da risultare quasi impossibile
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L'amore? È’ una maledizione che piomba addosso.
A quale limite può un uomo assoggettarsi ad Amore? Svuotarsi di sé per lasciarsi impossessare da esso, cancellando ogni altra paura, ogni altra realtà se non quel tormento, quella maledizione che esso porta?
Questa è la storia di un uomo che l'amore fa riscoprire solo, mai cresciuto da un attimo di giovinezza mai gustato, alla ricerca di donne che possono solo intimorirlo, e può avere solo in superficie, nella loro carnalità.
E solo in Laida, nel suo malsano amore per la bella e sensuale Laide, si annida quell'amore che Antonio ha sempre desiderato e che non sa gestire, possessivo e intransigente ma anche umile e disposto a lasciare ogni dignità e amor proprio.
E a quale limite può una donna vendersi? Svuotare se stessa della sua libertà, sua stessa essenza, rinunciare a vivere per poter sopravvivere e racchiudere la sua poca vita in qualche lettera nascosta sul fondo di un armadio?
Questa è la storia di una donna che non ha altro destino se non quel presente a cui si adegua. Una donna amata per pochi piaceri effimeri e abbandonata per una migliore offerta, bramata da ogni uomo ma disdegnata e considerata inferiore da ognuno di essi.
Buzzati ci accompagna nel racconto attraverso il flusso di coscienza del protagonista che fa fremere il lettore, patteggiante ora per l'una ora per l'altra parte in un gioco senza vincitori né vinti, dove l'amore non è che una maledizione a cui non è possibile resistere.
Un libro che non pretende di raccontare l'amore ma semmai UN amore, con tutti i suoi indicibili
tormenti e i suoi vizi incurabili.
Consigliatissimo!
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Le lacerazioni di un amore borghese
Un Dino Buzzati apparentemente irriconoscibile si svela in questo romanzo dal sapore autobiografico ambientato sullo sfondo di “…una delle tante giornate grigie di Milano, però senza la pioggia, con quel cielo incomprensibile che non si capiva se fossero nubi o soltanto nebbia”. Si tratta di un’opera che mette a nudo senza alcuna ipocrisia quell’aspetto più viscerale dell’amore quando non risulta essere corrisposto, quando lacera la mente, il cuore e tutto il corpo senza soluzione di continuità. Antonio Dorigo, cinquantenne di professione architetto, prova tutto questo nei confronti della giovane Laide, una prostituta conosciuta all’interno di una casa di appuntamenti a Milano. Un colpo di fulmine che alimenta un desiderio, perché la Laide rappresenta l’essenza di “femmina, di capriccio, di giovinezza, di genuinità popolana, di malizia, di inverecondia, di sfrontatezza, di liberà, di mistero. Era il simbolo di un mondo plebeo, notturno, gaio, vizioso…che fermentava di insaziabile vita intorno alla noia e alla rispettabilità dei borghesi”.
L’amore di Dorigo viene sezionato dalla penna di Buzzati che ci mostra la parte meno nobile, il suo lato più oscuro fondato sulla gelosia soffocante, sul sospetto, sul desiderio di possesso, sulla necessità di controllo, che nascono dalla sfuggevolezza dell’amata, dalla comprensione di non essere ricambiati, dal sapersi “uno dei tanti”. Dorigo è cosciente di essere vittima del suo carnefice, di questa ragazzina che può possedere per alcune ore solamente comperandola per cinquantamila lire alla settimana, una ragazzina terribile che lo tiene in scacco e si diverte a prenderlo in giro, una ragazzina che balla il cha-cha-cha e che ai suoi occhi “si trasforma in disinteressato gesto di bellezza, diventa una rosa, una piccola nube, un innocente uccellino lontana da ogni bruttura”. Ma Buzzati si spinge oltre, e nel descrivere questa dicotomia tra amore/non amore intende parlare di un’epoca tutta, quegli anni sessanta del boom economico italiano in cui la borghesia spadroneggia con tutti i suoi limiti e le sue ipocrisie. Ecco che i ruoli tra Dorigo e la Laide si invertono allora ed il primo appare più come carnefice che come vittima, in quanto si intravvede in questo suo amore una forma di disprezzo nei confronti della Laide: lui, “schifosamente borghese, con la testa piena di pregiudizi borghesi”, la considera una donna da poco, una “puttanella dei quartieri popolari” da amare, da possedere, ma da nascondere allo stesso tempo. In questi tratti Buzzati ricorda un po’ il Moravia de “Gli indifferenti”, “Il disprezzo” e de “La noia” in cui la borghesia italiana si palesa nei suoi tratteggi più negativi.
Le pagine di Un amore, magistrali non solo per il contenuto ma anche per lo stile dell’autore che spesso racconta come si trattasse di un “flusso di coscienza ininterrotto” che scaturisce dalla mente innamorata di Dorigo ,vanno comunque ricordate anche per quelle tematiche così care a Buzzati sul tempo che passa e la fine che si avvicina inesorabile, già affrontate nel “Deserto dei tartari”. Questa volta a fare la differenza per Dorigo (che è quasi l’anagramma di Drogo) è proprio l’amore che “gli aveva fatto completamente dimenticare che esisteva la morte”.
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Un amore, non l'amore.
Dino Buzzati è una di quelle figure che hanno elevato la letteratura italiana, precursore per stile e originalità. E' autore di capolavori come "Il Deserto dei Tartari" ed i suoi racconti sono perle uniche ed emozionano ancor oggi dopo quasi cent'anni. La critica (soprattutto quella "colta") ha definito "Un amore" non positivamente, definendo l'opera un tentativo di Buzzati di affermazione globale, non più criptico o fantastico, teso a raggiungere un pubblico vasto per ragioni di "cassetta". Non concordo con queste tesi, sia per contenuti che per stile. La scrittura di Buzzati è si chiara e scorrevole, ma per leggere tra le righe del romanzo occorre dimestichezza con tutto il lavoro autoriale certamente patrimonio solo di lettori preparati e consapevoli del mondo metafisico, fantastico e immaginifico dello scrittore. Il protagonista del libro, Dorigo, non è solo figura borghese arricchita incapace di amare a pagamento. Laide non è solo la ballerina prostituta minorenne già segnata dalla vita, bugiarda e approfittatrice. Bisogna inserire il contesto, l'Italia che sta vivendo il boom economico, gli anni '60 con le prime avvisaglie di un movimento di liberazione sessuale e sociale agli albori ma ben presente. Buzzati espone la vita vuota e "inutile" di Dorigo, il suo innamoramento cieco verso la ragazza che diverrà ben presto la sua mantenuta. Ci racconta la testarda illusione di un uomo ormai maturo che ignora volutamente i tradimenti. Laide approfitta economicamente e sentimentalmente con spudorate menzogne di Dorigo. Il rapporto si basa su un cinico accordo che coinvolge sempre più soltanto la parte maschile , umiliata a fare d'autista alla ragazzina che palesemente si gode i frutti della sua bellezza con sfrontato egoismo. Dorigo quindi accetta il "cugino" di Adelaide, le paga vacanze in albergo ecc.. trasformandosi in uno "zio" che solo con regole precise può usufruire dell'amore nell'appartamento da egli stesso pagato. L'uomo nel confronto con se stesso più volte tenta di eliminare il sentimento, ripromettendosi di agire con forza e liberarsi di quell'amore che in momenti di lucidità riconosce come inesistente e a senso unico, basato solo su un contratto economico. I continui ripensamenti ci descrivono magistralmente il rapporto tra esseri umani, tra l'innamorato illuso ma per questo tenace, la donna giovane e sensuale unica meta, unica ragione di vita e quindi impossibile da lasciare. Dorigo si aggrappa a questo sentimento indeterminato (non l'Amore ma un amore) come un naufrago in vista della morte certa, che senza questo sentimento sarebbe ancora più terribile a chiusura di una vita inutile. Non svelo il finale anche se trattasi di un “classico”, anche se rappresenta l'unico motivo di dubbio e contraddittorio per la scelta dello stesso nell'economia generale del romanzo.
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Così mi sento
Ho letto questo libro il mese scorso e per un po' sono rimasta senza parole.
Prima di tutto, non sapevo della sua esistenza fino a quando non l'ho visto in libreria con una copertina mozzafiato: una ragazza con il capello rosso e l'occhio chiaro che mi ha fissato suggerendomi "Sceglimi". E l'ho scelto senza aver prestato la dovuta attenzione alla trama sul retro, poi l'ho portato a casa e letto così come veniva.
Immagino Antonio Dorigo nelle vesti di un uomo a modo, distinto come ogni borghese che si rispetti, ma tolta quella scorza si legge una sensibilità particolare, una spaesatezza, una fragilità che in un cinquantenne non siamo abituati a vedere. I sentimenti che prova per Laide infatti, sono gli stessi che ho provato io stessa quando ero sui 19-20 anni, un amore descritto egregiamente bene, che va a braccetto con il disagio e il malessere. Un amore malato sì, ma non concentriamoci solo su quello, consideriamo invece come è stato giustificato e condotto dalle prime pagine fino alle ultime: riesce proprio ad entrare nella testa di chiunque soffra per amore, di chiunque abbia covato dentro sè la malattia di un pensiero fisso, anzi di una persona fissa. E non c'è rispetto per se stessi che tenga contro un amore del genere, non c'è speranza di dimenticare "la Laide", non c'è umiliazione che possa scottare chi ha superato i confini della ragione cavalcando un sentimento così pazzo e fuori luogo, un sentimento che Dorigo può solo fingere di controllare. E lei, d'altra parte che fa? Beh, lei logicamente è giovane, estroversa, amica di tutti, amante del lusso... Spietata. E' palese che non amerà mai Dorigo, a cui non lascia neanche una speranza alla quale aggrapparsi.
Amare anche se non ci si guadagna niente
Amare anche se si perde
Amare anche se il sentimento non è ricambiato
Ci vuole coraggio, credetemi.
Lo stile utilizzato è lo specchio del disagio, della paranoia.
Io l'ho amato.
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Un giro di giostra
Con una prosa coraggiosa che reitera frasi in maniera ossessiva e che si nutre di un vivace alternarsi di voci verbali ai limiti della consecutio, Buzzati stupisce. Stupisce nello stile, lui che nei suoi racconti aveva prediletto il linguaggio semplice e comune, la prosa lineare e limpida dove l’assurdo regnava incontrastato. Stupisce inoltre nel contenuto: un amore maschio per una giovane ragazza che si prostituisce, la rappresentazione della psiche maschile. L’uomo in questione è un affermato professionista ma nella vita privata è limitato nel rapporto con le donne, è insicuro, inefficace. A corollario della sua affermazione professionale una Milano rampante, frenetica, operosa e grigia come non mai. Una città capace di schiacciare l’individuo, un agglomerato di palazzi perso nella collettività affannata a produrre, a fare e non a vivere. Leida allora diventa per lui la vita: se ne innamora subito e la cerca e la vuole ripetutamente. La paga: lui il borghese agiato, lei la ragazzina che ambisce a mutare il suo status sociale.
Il denaro paga, il denaro garantisce la via di fuga qui rappresentata da una casa chiusa e dall’antico mestiere dei quali, attraverso Dorigo, il protagonista, si tesse l’elogio: l’unica bolla di libertà in un mondo rigidamente regolamentato. Il paradosso e l’assurdo, cui Buzzati non poteva rinunciare, scaturiscono dallo scontro dei mondi, quello borghese e quello delle meretrici, entrambi retti dal denaro, nel quale si intrufola il sentimento, l’amore. L’opera insegue faticosamente per quasi due anni l’evolversi dei rapporti tra Dorigo e Leida, il lettore teso a cercare una possibilità di realizzazione del legame, si assiste invece all’annientamento totale dell’individuo, ora in balia della forza cieca, ingenua, ossessiva alimentata dall’amore. Si giunge poi, d’un fiato, al finale bellissimo, struggente, inquietante come nel migliore Buzzati e il lettore si riappacifica con l’autore , lo ritrova, gli perdona l’avventura erotica nella quale ritrova infine la dimensione surreale e inquietante dell’esistenza che un amore aveva momentaneamente adombrato.
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Laide nella testa, nel corpo, nell'anima..ovunque
Arrivo a questo libro con colpevole ritardo, ma imperdonabile sarebbe stato non arrivarci affatto.
La storia di uno stimato uomo di quasi 50 anni che vede la propria dignità, il rispetto di se stesso e tutte le certezze che lo circondano, sgretolarsi sotto i colpi di un amore che gli piomba addosso e a cui non riesce a resistere e ad opporsi.
Un amore che gli fa vivere una serie di umiliazioni, una feroce gelosia che in realtà non ha neanche il diritto di provare e che gli fa ingoiare chili di rabbia repressa.
Si ritrova ad aspettare l'elemosina di un sentimento da parte di una ragazzina di almeno trent'anni più giovane di lui...e non una ragazzina qualunque, no, ma una prostituta conosciuta in una casa di piacere.
Lui è Antonio, gonfio di un amore quasi adolescenziale, che si nutre dei suoi pensieri pessimisti, che ritorna a respirare e a vivere solo alla presenza di lei, un amore fatto di sofferenza, di attese, di telefonate mancate, di lettere mai spedite...struggimenti notturni, e fame e sonno che lasciano il posto ad un turbine di pensieri la cui unica protagonista è sempre e soltanto lei.
Lei, Laide, che invece adolescente quasi lo è davvero per età, ma seppur giovanissima e dall'aria fanciullesca e innocente, innocente non lo è affatto, semmai equivoca, bugiarda e molto più preparata "alla vita" di quanto non lo sia lui.
E Antonio accetta di tutto, qualsiasi situazione imbarazzante, umiliante, capace di ricoprirlo di ridicolo, solo per poterla avere accanto, anche solo per dieci miserabili minuti...
Ma rinunciare a lei è fuori discussione...
Lui buono e lei cattiva? Ne siamo proprio sicuri?
D'altronde con i soldi si può comprare il corpo, non pretendere anche l'anima...
Se vuoi entrare nella vita di qualcuno, devi essere disposto per primo ad aprire le porte della tua.
Buzzati, con questo romanzo straordinario, ci presenta l'incontro di due grandi solitudini, forse destinate a non fondersi mai, quella di un borghese della Milano anni '60 incapace di rapportarsi serenamente con le donne, e quella di una giovane ragazza la cui vita non le ha regalato nulla.
Buzzati scava, scava, scava dentro un sentimento che rasenta l'ossessione, e lo fa attraverso monologhi interiori di una bellezza assoluta, dove anche la punteggiatura scompare per lasciare spazio al turbine vorticoso delle parole, dei pensieri...
E dove, alla fine, ciò che davvero conta, è riuscire ad allontanare lo spettro della morte.
Un romanzo fantastico, ardito per gli anni in cui fu scritto, ma direi anche molto sensuale e seducente.
Imperdibile.