Tutto sarà perfetto
Letteratura italiana
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L’assistenza di Marina, il coraggio di Andrea.
Una lista di dieci raccomandazioni lasciate da Marina a suo fratello Andrea, che nel weekend dovrà occuparsi del padre, Libero Scotto, anziano e molto malato, e anche del Cane pazzo Tannen, Augusto.
Due giorni possono essere un tempo infinito. E lo diventano.
Ma quanto è divertente Lorenzo Marone! Sono a pagina diciotto e già mi sorprendo a sorridere e ridere. Trovo sia bravissimo a raccontare, con il suo tono serafico, i piccoli aneddoti della vita familiare quotidiana. Che sono quelli tra un fratello, una sorella, un padre e un cane. Ma non solo.
L’autore descrive questo padre freddo e austero, con il quale è difficile relazionarsi e ottenere attenzioni, lontano anche fisicamente a causa del lavoro.
Libero Scotto è stato un comandante, prima in una compagnia di navigazione del Golfo di Napoli che collegava la città alle isole, e poi alla guida delle grandi navi che attraversano gli oceani.
“Il mare di quando si parte dall’isola è diverso da quello di quando si arriva, c’è poco da fare. E’ più scuro, pastoso, forse malinconico o arrabbiato, non so. So che lo sento sotto di me, sotto il traghetto che lo ferisce a ogni metro. L’orizzonte è uno spazio bianco non abitato dalla terra…”
Andrea ancora oggi, superati i quaranta anni, si chiede se la presenza sua e di Marina sia stata per lui un ingombro, una serie di obblighi da adempiere. Non trova il coraggio di chiederglielo. Ha imparato a non prendere nulla sul serio, fortezza che si è costruito da bambino per proteggersi.
A me Libero fa subito grande simpatia e non mi appare così burbero come ci viene raccontato.
Desidera tornare a Procida, dove è nato, e dove si trova sua moglie, e per farlo deve organizzare un piano per liberarsi dai super controlli di Marina, con Andrea attuare i suoi piani sarà più semplice.
“Lo ha chiesto a te perché sapeva che tu lo avresti accontentato. Perché di te si fida… Tu sei un’anima sensibile.”
Ripercorrere la loro infanzia richiama alla mente la mia. Le presenze rassicuranti, il senso di protezione, il calore, e chissà quante altre immagini potrei ricordare e invece sono dimenticate per sempre. Sarebbe bello riuscire a riviverle, come se scorressero su un video. E penso a come sia diverso oggi, dove tutti gli attimi vengono filmati con grande facilità. Ma le immagini e i fatti di quaranta e passa anni fa rivivono solo se li ricordi. Non c’è altro modo.
La sicurezza, di sera, era semplicemente sentire il rumore delle stoviglie in cucina. Piccoli gesti di routine. La routine è noiosamente rassicurante e confortevole.
“E che fa, l’importante sono i ricordi. Voglio che un domani, sedendovi su questa panchina, vi ricordiate di vostra mamma com’è oggi. Votre maman ride!”
“Il dolore, a un certo punto, deve trasformarsi in qualcosa di più utile.”
Libero confessa al figlio che quelle trascorse in mare insieme sono state la parte migliore della giornata, che il loro stare insieme era la parte più bella, che lo faceva sentire vivo come quando era sulle navi. Ma Andrea è troppo ottuso per capirlo.
Ha perso troppo tempo a rimuginare senza dedicarsi a comprendere veramente. E ora si sente fuori tempo massimo.
Mi fa simpatia questa famiglia, forse perché fragile e imperfetta. Mi appare quasi come un suggerimento…
“La vita è fatta di attimi di perfezione nei quali arriva la giusta luce e tutto ci appare come deve essere, e forse il segreto non è cercare di prolungare questi attimi, di fermarli a ogni costo, che nulla può essere fermato, ma di accontentarsi di godere del bello, di scorgerlo.”
Io, aggiungo, di saper guardare oltre, dove tutto potrebbe essere perfetto.
Buone prossime letture.
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Niente è perfetto siamo noi a renderlo tale
Andrea è un quarantenne scapolo e un pò Peter Pan che da sempre ha qualche problema a relazionarsi con il padre, Libero, rigido e austero comandante di navi da crociera ora in pensione, spesso via per mare che quando tornava portava giorni di aspettativa, pochi minuti di gioia e giorni interi di incomprensioni prima della ripartenza.
I rapporti tra i due si sono mantenuti freddi e distanti finchè un fine settimana la sorella di Andrea, Marina, deve recarsi al capezzale della suocera malata e lascia Libero affidato alle cure di Andrea, a cui vengono impartite una serie di ferree regole relativamente alle cose che il padre può fare (poche) o non deve fare assolutamente (tutto il resto), in considerazione dell'età e di una malattia che gli lascia pochi mesi di vita.
Andrea sperimenta subito il caratterino irascibile del cagnolino di famiglia , un bassotto poco incline alla tolleranza e la scarsa considerazione della governante a ore che già al primo sguardo lo ha etichettato come inaffidabile.
E poprio sull'inaffidabilità di fondo e sul rifiuto delle regole del figlio si appoggia Libero per convincere Andrea ad accompagnarlo in un'impresa folle: trascorrere un fine settimana nella natia Procida, come uno degli ultimi desideri di un uomo a cui resta poco da campare, il tutto ovviamente di nascosto dal rigido controllo di Marina che , manco a dirlo, telefona numerose volte al giorno per sincerarsi che Andrea non faccia danni.
Ma tant'è...
I due raggiungono Procida e Andrea ritrova l'ambiente in cui è cresciuto, rivede persone che gli sono rimaste nel cuore nonostante anni di lontananza.
Sarà proprio il confronto con queste persone, in qualche modo legate sia a lui che alla sua famiglia che Andrea scoprirà come l'amore spesso può nascondersi tra le pieghe delle cose non dette ma non per questo essere meno forte o importante.
Libero aveva tutto un suo piano una volta ritornato a Procida e nè l'età avanzata nè Andrea possono fermarlo e quello che può sembrare solo un egoista ultimo desiderio di un uomo al tramonto della propria esistenza diventa in fondo l'ultimo dono ad un figlio con cui la reciproca incomprensione era meno profonda di quanto apparisse: trovare la sua dimensione e il suo posto nel mondo, come luogo e come via dell'anima.
Marone ha la solita leggera ma profonda, disincantata delicatezza nel trattare il difficile universo dei rapporti familiari.
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Libero, Andrea & Augusto
«Non è la morte in sé a terrorizzarmi, ma lo scampolo di vita che siamo costretti a portarci dietro prima dello stop, quel ritaglio inutile che non sappiamo più come riempire» p. 24
Quando Andrea Scotto riceve quella chiamata dalla sorella Marina, sposata con due bambine e un cane, un bassotto azzannatore di cinque anni e super viziato di nome Augusto ma di fatto un terrorista che ti guarda con sguardo di superiorità e che per questo si merita l’appellativo di Cane Pazzo Tannen, tutto si sarebbe aspettato tranne che la richiesta di prendersi cura di suo padre, Libero Scotto, comandante di navi a riposo, procidano e trasferitosi a Napoli con i figli dopo la morte della moglie, affetto dal cancro, cambiato dalla malattia e agli ultimi giorni della sua vita per un fine settimana. Andrea è un fotografo quarantenne, fortemente immaturo, incapace di prendersi ogni forma di responsabilità affettiva, refrattario ai rapporti parentali, refrattario ad ogni forma di vita regolare e lineare. Beve, fuma (canne comprese o come asserisce “sigarette al mentolo”), passa da una donna all’altra e non vuole vincoli. Non può però sottrarsi alla richiesta della donna, obbligata ad assentarsi per quello che sarà un fine settimana fatto di avventure rocambolesche, di riscoperte, di nuovi legami e di situazioni paradossali. E non solo le dieci accuratissime regole stilate da Marina non verranno rispettate ma avrà luogo un vero e proprio viaggio in quel di Procida, un viaggio che da un lato esaudirà il desiderio di Libero ma che dall’altro porterà il giovane a riassaporare luoghi e persone e a rivivere ricordi e ferite non rimarginate. Un percorso che porterà il protagonista a trovare il suo equilibrio e che sullo sfondo è accompagnato da un’isola intima, introspettiva, magnetica.
«Lui infine si è voltato e mi ha afferrato gli occhi con i suoi, e allora finalmente sono riuscito a percepire la sensazione di smarrimento che stava provando, quel sentirsi ormai fuori da tutto e in balìa del vento. E in quell’attimo ho capito che c’è qualcosa di carnale nel rapporto fra genitori e figli, qualcosa che si nasconde nello sguardo, nella bocca, si confonde con il respiro e ha a che fare con i sensi, con il sangue e con le cose che sanno di antico e ci sfuggono. Ho capito che hai voglia a serbare dentro di te il rancore, a custodirlo e proteggerlo come una balia per paura che cresca lontano e ti lasci senza più una difesa alla quale appigliarti; quando ti ritrovi davanti questo soffio ancestrale non puoi resistergli, e ti senti d’un tratto sfatto e senza forze, con le gambe che ti tremano come dopo una corsa o una lunga notte d’amore.» p. 79
Lorenzo Marone torna in libreria con una storia che sa far leva sulle corde del lettore e non delude le aspettative di chi ama questo genere narrativo e soprattutto l’autore. È una storia densa di significati, fortemente introspettiva, capace di solleticare la riflessione, che si interroga sui rapporti umani, sulla fragilità, sui rapporti familiari e che è avvalorata dalla penna inconfondibile del napoletano. Riassaporiamo inoltre i sapori e gli odori del luogo, un luogo che è percepito quale vitale e parte integrante della vicenda. Vera colonna portante inoltre del testo è Libero, un uomo che si mostra forse per la prima volta a quel figlio o che forse è proprio quel figlio a vedere per quello che è per la prima volta.
Tuttavia, devo ammettere di aver faticato un po’ nella lettura di quest’ultimo lavoro di Marone, non perché sia scritto male o perché manchi qualcosa, quanto perché quei tratti distintivi che lo caratterizzano ci sono tutti tanto che talvolta l’evoluzione del narrato è intuibile. Non solo, anche i personaggi che crea alla lunga tendono ad assomigliarsi proprio perché caratterizzati da quel denominatore comune consono. La sensazione di déjà-vu è stata costante.
In conclusione, una piacevole lettura, che colpisce soprattutto per il rapporto tra padri e figli ma che a mio avviso non brilla particolarmente di originalità.
«[…] Riflettei che ero solo, solo davvero.» p. 283
«Forse, per una volta aveva davvero ragione il comandante, rifletto prima di scattare: la vita è fatta di attimi di perfezione nei quali arriva la giusta luce e tutto ci appare come deve essere, e forse il segreto non è cercare di prolungare questi attimi, di fermarli a ogni costo, che nulla può essere fermato, ma accontentarsi di godere del bello, di scorgerlo. Forse si tratta solo di trovare il coraggio di non trattenere ciò che amiamo, chi amiamo, di lasciar sparire la terra all’orizzonte, confidando che tanto al prossimo battere di ciglia ci sarà un nuovo piccolo brillio a rendere, seppure per un istante tutto perfetto» p. 297
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Un canto universale di paura ed d'amore
Sospiri di meraviglia, casuali e improvvise escursioni fuori dalle rotte prestabilite, questo regala ai lettori ‘Tutto sarà perfetto’.
La letteratura quando è bella sospende il senso, non cerca significati, e restituisce alla vita la sua forza indicibile. Ma più di tutto la sua impossibilità di raccontarsi.
E' la ricerca del senso di un esistere. Ci sono una domanda e un tentativo di risposta. Il valore aggiunto alla ricerca è la scrittura di Lorenzo Marone, che con la sua prosa lieve e perfetta, un ritrattista dei paesaggi umani, scrive una storia tenera e profonda che riflette sulla distanza emotiva che silenzi e dolori possono instaurare. È un racconto pieno di imperfetta perfezione che parla al cuore di chi non vuole smettere di credere che quando ci sarà resa la memoria, verrà il tempo della riscoperta del passato.
Marone legge la storia di ogni figlio o padre, e discorre in modo poetico e leggero dell'amore e dell'illogicità del vivere, della bellezza della giovinezza insidiata dalla vecchiaia e dalla malattia, della favola della specie umana, dimentica di pietà di fronte alla vita che si illude di dominare.
Un racconto pieno di punti interrogativi, di domande, di contrapposizioni; ma anche di parole e silenzi cocenti e della capacità straordinaria di amare di una madre, Delphine, sia pur chiusa nel ripiegamento della depressione che le sue piccole pulci Andrea e Marina, faticano a comprendere fino in fondo. Nulla in queste pagine è sprecato, ogni frase è perfetta, premessa di quella successiva. Ogni pagina innesca l’emotività, allo stesso tempo mantenendosi asciuttissima.
L'autore scrive su cosa significa smarrirsi e poi ritrovarsi, raccontando l’umano dei personaggi che animano il racconto.
A spezzare quella stagnante bonaccia - interiore ed esteriore- il passato che torna e la necessità di un viaggio che porterà Andrea alla ricerca delle sue origini insieme al padre malato Dario, il Comandante, in un’isola, Procida. Un viaggio composto di solitudine e inerzia, di leggerezza e ritrovamenti: il vento è onnipresente e con la spinta dell’umanità ferrigna accompagna Andrea alle scoperte e soprattutto alle riscoperte. Un romanzo in movimento in cui ogni movimento è un carotaggio delle infinite vibrazioni che agitano noi in attesa della chiave che le doti di un ordine, di una cadenza che la restituisca all’armonia.
Procida come Itaca, una metafora del racconto, terra bruna e dal mare verde e blu, profumato di vento dove Andrea aveva imparato a nuotare con il padre e a conoscere i primi turbamenti con Ondina. È bella la Procida descritta, ricca di fichi e limoni, delle schiume del tirreno, e dei cambiamenti di vento.
È bella quando è così. La luna bassa sul mare, la strada chiara, le stelle e la luna a spazzare la notte. Un’aspra dolcezza regna sull’isola e se n’è completamente avvolti come i protagonisti che quasi ne vengono ingoiati.
Ogni frase dà un’emozione attenta a trasformarsi in pensiero e parola, a non essere invisibili e soli nel mare aperto di una prigione.
Un canto universale di paura e d’amore, proprio bello il romanzo di Lorenzo Marone.
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La perfezione è un attimo che sfugge alle regole
Tutto sarà perfetto di Lorenzo Marone narra la difficile relazione tra il padre Libero, ex comandante di nave, e il creativo figlio Andrea: un rapporto spesso di forza (“La mia voglia di tenergli testa a ogni frase, come ho sempre fatto”), con qualche complicità (“Sei capace di tenere un segreto?”) e con qualche ironia (“Da morto potrai scegliere con tutta calma quale casa infestare”), con schermaglie e pudori (“In che senso?”), che inesorabilmente giunge al capolinea a causa della malattia di Libero.
Andrea accondiscende alla richiesta del padre ed esaudisce il suo desiderio di rivedere la natale Procida. Scorrono così i luoghi della bellezza (“Giù a Ciraccio, sotto ai faraglioni… Non sono quelli famosi di Capri, ma due spuntoni di roccia che affiorano dal mare, sulla spiaggia di Ciraccio”) e della memoria (il porto della Corricella, Piazza dei Martiri, la chiesa della Madonna delle Grazie, “Terra Murata, un borgo medioevale in cima all’isola”, “l’isolotto di Vivara, con la spiaggia di ciottoli e conchiglie nascosta dietro la scogliera”, l’Epomeo) in fotogrammi lirici ed emozionanti.
Ma la resa dei conti è in agguato (“In due giorni le ho distrutto uno specchio, un materasso, un magnete orribile, le ho rovinato una fodera di broccato, e adesso le ho smarrito il cane. E le riporto un padre che non prende le medicine da ore e si fa le canne”) dietro ai ricordi, alle fotografie, alle insidie dei rapporti familiari e dell’amore. Perché “la perfezione è un attimo che sfugge alle regole.”
Giudizio finale: mnestico, fotografico, isolano.
Bruno Elpis
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Storie di ordinaria discrezione
Quello che apprezzo in Lorenzo Marone è, come potrei dire, la sua discrezione; nei suoi libri lo scrittore napoletano lascia il palcoscenico completamente ai suoi personaggi, liberi di agire come farebbero realmente nel vivere comune, nelle sue storie fa parlare i suoi personaggi senza interferire, senza che si senta la sua mano. Sembra una cosa ovvia, ma non lo fanno tutti quelli che scrivono, anzi, più spesso si indulge a scrivere di sé stessi, non è che Marone dia vita ai suoi personaggi e crei una storia dove questi agiscono, fa qualcosa di diverso, semplice e mirabile insieme: sono i personaggi che vivono di luce propria, loro fanno la storia in autonomia, e lo scrittore, se si riesce a vederlo, è in un angolino, confuso tra i lettori che seguono incantati il dipanarsi della trama. Non è la storia, ma i suoi protagonisti ciò che valorizza i romanzi di Lorenzo Marone: e i suoi personaggi sono persone comunissime, che ciascuno di noi potrebbe realmente incontrare nella vita di tutti i giorni. Talmente comuni da essere unici: il vecchietto Cesare Annunziata, lo sfigato Erri Gargiulo, la giovane avvocatessa precaria Luce Di Notte, il cane superiore Alleria, che ben potrebbe essere l’emblema principe di animalisti e vegani, il piccolo Mimì perso dietro il suo amore adolescenziale Viola sullo sfondo di una tragedia civile, la tartaruga Morla, e via così. E tramite loro si parla di femminicidio, di lavoro, di rapporti familiari, di animali, di omosessualità, di camorra, di amore, di vita, di morte, della difficoltà del vivere comune, insomma i temi della quotidianità. E se lo sfondo delle vicende narrate è Napoli, è solo un caso: in verità Marone parla a tutti e a chiunque, parla di cose e persone che potrebbero essere ogni luogo e ogni persona, per questo piace Lorenzo Marone: infine parla di noi, è lui stesso, siamo noi stessi, i veri personaggi delle sue storie. Leggiamolo, dunque, con fiducia, e: “Tutto sarà perfetto”, come dice Lorenzo Marone.