Tutto chiede salvezza
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Per i vivi e per i morti, salvezza.
"Maria ho perso l'anima!
Aiutami Madonnina mia!"
E' questo il ritornello di questo libro, che è un canto che implora salvezza, dalla prima all'ultima pagina. Un canto in prosa, pervaso di poesia e di tanta umanità e pietà e che si propone di lanciare dei forti ma semplici messaggi soprattutto ai giovani. Daniele, il narratore di questa storia, rappresenta una grande fetta di adolescenti di oggi: a vent'anni è già depresso, con accessi di rabbia, che già da qualche anno fa uso di stupefacenti, incompreso dai genitori e in generale dalla società. A seguito di un episodio di una forte manifestazione della sua furia interiore, viene ricoverato in un istituto per un trattamento sanitario obbligatorio per una settimana. E' da lì che questo canto ci arriva e rappresenta la sostanza del libro: viviamo assieme a Daniele per sette giorni la sua esperienza, chiusi in una stanza assieme ad altri cinque pazienti che condividono un destino e fanno comunità, l'unica via della salvezza o quanto meno quella che li fa stare meglio e li aiuta ad aiutarsi, perché in fondo chi ha perso l'anima non sono i pazzi, ma i sani.
Innanzitutto ho visto una leggera critica dell'autore alla superficialità con la quale un adolescente viene subito catalogato come depresso, non appena lui si pone delle domande un po' più profonde come sul senso della vita o su Dio, ciò mette subito in allerta genitori e/o docenti e quindi di corsa dagli psicologi, aumentando in questo modo probabilmente il disagio del giovane. Oggi ci si aspetta che ogni adolescente sia felice per il semplice fatto che lui abbia vent'anni, ma ciò non basta. A vent'anni si è anche sensibili nonché abbastanza intelligenti per capire cose più profonde, soprattutto nella società di oggi in cui siamo avanti in tutto:
"(…) un ragazzo de vent'anni dovrebbe esse felice, tu invece vai avanti a tristezza, non sapemo più che fa' pe' lavattela de dosso.(…) Io vorrei vedette felice".(…)
"Ma io non so infelice, non se tratta de felicità, me sembra d'esse l'unico a rendese conto che semo tutti equilibristi, che da un momento a un altro uno smette de respira' e l'infilano dentro 'na bara, come niente fosse, che er tempo me sembra come n'insulto, a te, a papa', e me ce incazza. Ma io in certi momenti potrei accendere le lampadine co' tutta la felicità che c'ho dentro, veramente, nessuno sa che significa la felicità come lo so io." (pag.22)
"Ormai tutto è malattia, ma vi siete mai chiesti perché?(…) Perché un uomo che s'interroga sulla vita non è più un uomo produttivo, magari inizia a sospettare che l'ultimo paio di scarpe alla moda che tanto desidera non gli toglierà quel malessere, quell'insoddisfazione che lo scava da dentro. Un uomo che contempla i limii della propria esistenza non è malato, è semplicemente vivo." (pag.106)
Daniele ci porta per mano in un mondo fragile, ma non per questo meno umano, un mondo che è vittima non solo del proprio destino ma un po' anche dal sistema: corpo sanitario distaccato e freddo e a volte anche genitori colpevoli, come nel caso di Valentina o Gianluca. L'unica possibilità di sollievo in quel ambiente crudo è fare comunità, legare umanamente con gli altri pazienti, gli unici in grado di capirsi a vicenda e di poter discutere tra loro ciò che con i medici era impossibile.
So che questo libro è stato proposto per il premio Strega 2020, non so se vincerà ma l'ho trovato molto istruttivo oltre che ben scritto, pertanto spero che avrà una buona possibilità perché se lo merita .Deliziosa la parte dialettale con la quale vengono costruiti tutti i dialoghi e profonda e poetica la penna dell'autore che non a caso, prima ancora di essere uno scrittore è un poeta.
Un libro che consiglio soprattutto ai giovani ma anche agli adulti perché fa da ponte tra loro. Insegna di come sia importante nei nostri giorni social ma pieni di solitudine fare gruppo "fisico" e sostenersi a vicenda, parlandone. Insegna ad apprezzare la propria realtà che non è così atroce come si presenta e che probabilmente ci sono delle altre ancor più crudeli per cui ci si può ritenere fortunati. C'è un bellissimo episodio che insegna un'altra importantissima lezione: prestiamo attenzione a ogni nostro gesto e mai, dico mai fare del male per scherzo, anche innocentemente, perché le ripercussioni possono essere più gravi di quello che immaginiamo. Questo soprattutto per i giovani ma non solo. Un libro che a mio avviso rende più consapevoli sulla vita, scritto in modo impeccabile e con molti affondi di approfondimento sulle tematiche.
"Oggi so che non sono io a vedere grandi le cose, ma sono loro a esserlo, io mi limito a guardarle nella loro reale dimensione. Ogni singola giornata è costellata di azioni, visioni, degne di un'epopea straordinaria." (pag.167)
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Qual è la tua salvezza?
Daniele vent’anni e un’ improvvisa esplosione di rabbia viene sottoposto a TSO nel reparto di psichiatria.
Una settimana di ricovero e cure obbligatorie dividendo una stanza con altre cinque persone, intensa, calda, asfissiante, paurosa, illuminante. Da martedì a lunedì. Ogni capitolo scandisce una giornata.
Gianluca con l’urlo di ragazza.
Mario, il letto vicino alla finestra e il suo uccellino.
Alessandro e il suo fissare un punto nel vuoto in modo catatonico.
Madonnina e la sua richiesta di aiuto.
Giorgio e la sua mamma perduta.
Pino, Rossana, Lorenzo, infermieri e corazzati dalla loro stessa paura.
Bisogno, di sostegno, fratellanza, umanità, sofferenza, speranza, insonnia.
Salvezza. La mia malattia si chiama salvezza.
Tristezza e dolore e disperazione gli si appiccicano addosso a Daniele, anche se sono quelle degli altri. Servirebbe un giubbotto antiproiettile a vestire il cuore.
“Mio padre è una cellula sana di questo mondo, uno di quelli che rimarrà nella storia. La storia degli umili, delle persone oneste, dei lavoratori infaticabili, dei padri di famiglia che solo in pochi hanno la fortuna di avere, e quelli che ce l’hanno la sfregiano, come il sottoscritto.”
Una madre nonostante tutto sempre presente, capace di esprimere i propri e i di lui desideri prima che prendano forma, la sua prima lettrice di poesie, il suo primo pubblico, la sua musa ispiratrice. “Sei sempre tu che vieni a riprendermi.”
La poesia salvatrice, e “quella maestra che l’aveva capito per me, prima di me.”
“Alla fine del lavoro la ringrazio, lei, la poesia, per essere venuta ancora una volta a trovarmi.”
Si invoca la normalità, come quella che c’è al di fuori delle mura dell’ospedale, dove tutto sembra scorrere come sempre rispetto al dentro, dove invece situazioni non ce ne sono. Emergono solo quando si iniziano ad aprire gli occhi e le orecchie per vederle, per sentirle.
Salvezza in una medicina, in una parola, in un ascolto. Qual è la tua salvezza?
Esiste una colpa o la colpa è della mente disturbata?
Tutti gli accadimenti non sono altro che il racconto di queste diverse umanità che per un caso fortuito un giorno si incontrano, costretti a convivere, prima ad occhi aperti per osservarsi meglio, poi ad occhi chiusi, quando la fiducia inizia a farsi spazio, i dolori diventano comuni e le paure anche, gli animi vengono allo scoperto, le solitudini si incontrano e si tengono per mano al buio di notte, affinché gli incubi o l’insonnia passino più in fretta.
Un racconto di cure date e ricevute, di sconosciuti che non si riconoscono e si evitano, e poi si abbracciano, stretti, senza spazio tra i corpi, nella calura di un’estate di fuoco che diventa comune.
Un racconto di preghiere improvvisate, disperate, inginocchiati sul pavimento tenendosi per mano.
La narrazione in prima persona conduce in un viaggio che non si vorrebbe intraprendere, tra quei letti allineati, minestre gialle poco invitanti, rumori che sono il russare degli altri mentre agogni il tuo che non arriva mai, in quelle puzze così umane e così riconoscibili, in quei minuti, ore, giornate che sembrano interminabili. Le difese crollano e le diffidenze anche, di fronte a persone accomunate dal fatto di avere la stessa natura. Dove l’urlo che si alza accomuna tutti.
“Quei cinque pazzi sono la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, di più, sono fratelli offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare.
I miei fratelli.”
20 giugno ‘94
Un TSO durato una settimana. Poche ore per sconvolgere le vite.
Bastava talmente poco.
Bastava ascoltassero.
Bastava vedessero.
Bastava concedere.
Chi voglio diventare?
“Per i pazzi, di tutti i tempi, ingoiati dai manicomi della storia.”
Il romanzo è stato vincitore nel 2020 del premio Strega Giovani.
Buone prossime letture.
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Una sola parola
"In questa corsa sfrenata che mi ritrovo a compiere, dietro una preda sconosciuta, con buona probabilità inesistente, ho incrociato uomini inchiodati alla loro versione dei fatti. Ho conosciuto vecchi vivere dentro un tempo passato, morto, loro e la foto in bianco e nero di Mussolini, tenuta nel portafogli come reliquia da onorare col pianto, offerta agli occhi altrui come soluzione di ogni male, di questo paese, del mondo intero. Ho visto tanti ragazzi, miei coetanei, vivere anche loro in un tempo passato, morto, a idolatrare guerriglieri disegnati sulle pareti dei centri sociali, a venerare teorie economiche come testi sacri, a credere ciecamente che tutto cambierà grazie all’odio verso il potere e chi lo rappresenta, il disordine come soluzione finale. Io ho creduto a tutto, poi ho rinnegato. Mi sono ferito con tutta la vita che potevo, per giungere qui, ora, con una sola certezza da difendere. Tutto quello che ho vissuto, tanto o poco che sia, non è la preda che cerco." Perché oggi una persona che si interroga sul senso della vita, sulla morte, su Dio, viene subito etichettata come depressa, disturbata, bisognosa di cure? Perché il concetto di disturbo mentale si è diffuso a tal punto da far passare per stranezze o addirittura per patologie quelle che semplicemente sono delle caratteristiche, se non delle virtù, dell'individuo? Questi sono gli interrogativi che il protagonista Daniele pone ai lettori di questo piccolo gioiello letterario, scritto in maniera semplice, ricorrendo spesso alla parlata popolare romanesca, ma ricco di carica emotiva, pieno di profondi spunti di riflessione, lineare nel racconto grazie ad una scala temporale dettata da una divisione in capitoli in base ai giorni, a mo' di diario, con necessarie incursioni nel passato. Sottoposto al regime di trattamento sanitario obbligatorio in seguito a una violenta crisi di rabbia, il ventenne si ritrova rinchiuso in una piccola e afosa stanza di una struttura ospedaliera romana in compagnia di altri sconosciuti costretti, come lui, a questo soggiorno coatto. È il giugno del 1994, l'Italia di Arrigo Sacchi, impegnata nel mondiale americano, tiene tutto il paese con il fiato sospeso. Tra le calde mura del reparto ospedaliero si intrecciano, per sette lunghi giorni, le vite del protagonista e dei suoi sventurati compagni. Storie diverse, disturbi differenti, caratteri contrapposti ma il destino comune di chi viene etichettato come malato, marchiato come pazzo, emarginato da una società che non vuole curare, ma depurare, purgare, senza fare alcuna distinzione tra la follia cattiva, distruttiva, e quella buona, costruttiva. Una convivenza forzata che nasce nella paura, nel rifiuto, nella negazione, per diventare presto legame, empatia, amicizia. "Sono i cinque pazzi con cui ho condiviso la stanza e questa settimana della mia vita. Con loro non ho avuto possibilità di mentire, di recitare la parte del perfetto, mi hanno accolto per quello che sono, per la mia natura così simile alla loro. Con loro ho parlato di malattia, di Dio e di morte, del tempo e della bellezza, senza dovermi sentire giudicato, analizzato. Come mai avevo fatto prima. Quei cinque pazzi sono la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, di più, sono fratelli offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare. Dal corridoio mi fermo a guardarli. Eccoli, ognuno nel proprio angolo di stanza, indifesi di fronte alla propria condizione, di esposti alle intemperie, di uomini nudi abbracciati alla vita, schiacciati da un male ricevuto in dono. I miei fratelli." Uomini feriti, spaventati dalla vita, affidati spesso alle cure di medici che hanno perso la vocazione e ad una scienza che appare sempre più sicura nella cura del corpo umano e che invece sembra ancora procedere a tentoni quando si parla di cura della mente: "stiamo ancora al tempo della stregoneria, sono mutati i riti, le formule magiche, le erbe sono diventate pasticche, ma la verità è che la medicina brancola nel buio, magari domani si svegliano e ci dicono che la malattia che ci avevano affibbiato non è così certa, che il meccanismo d'azione di questa o quella cosa non è come avevano sempre pensato." Una scienza miope che, agli occhi del gruppo, sbaglia il concetto di partenza nella valutazione di cosa sia il mondo, l'essere umano, arrivando a catalogare come sintomi di qualche patologia dei semplici modi di essere, di percepire le emozioni, di affrontare la vita. Può essere definito malato un ragazzo come Daniele se si trova a pensare che siamo tutti degli equilibristi, che in un attimo smettiamo di respirare e ci ritroviamo dentro una bara, che il tempo è soltanto un "insulto"? È così strano, per un ragazzo di vent'anni, non riuscire a trovare le parole per esprimere ciò di cui ha veramente bisogno e ritrovarsi a procedere al contrario, togliendo ogni giorno una parola, sfilando piano piano le meno necessarie, accorciando, potando, ripulendo dal superfluo, fino a lasciarne solo una, l'unica che veramente serve, la sola che può dare un senso a tutto? Quale può essere il termine che per Daniele indica la via, l'obiettivo, che giustifica l'esistenza, che motiva ogni affanno? ”Una parola per dire quello che voglio veramente, questa cosa che mi porto dalla nascita, prima della nascita, che mi segue come un’ombra, stesa sempre al mio fianco. Salvezza. Questa parola non la dico a nessuno oltre me. Ma la parola eccola, e con lei il suo significato più grande della morte. Salvezza. Per me. Per mia madre all’altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza, ma come? A chi dirlo?"
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Male di vivere
Un grido di dolore che chiede salvezza, una settimana da trascorrere nel reparto di psichiatria sottoposto a TSO, cinque sconosciuti affetti da patologie mentali, uniti dallo stesso sentimento e da una vita oltre i limiti della “ normalità “, implosa ed esplosa nell’ impossibilità di essere vissuta.
Daniele è giovane, ancora diciassettenne ha dichiarato guerra alla vita, trasformando la felicità in sofferenza, come quella altrui che sente sulla propria pelle.
Sette giorni per redimersi, espiare, comprendere, giorni al di fuori della “ vita “, lontano da affetti, amicizie, lavoro. La sua rabbia si scontra con la paura degli operatori e l’ indifferenza dei medici, cercando di catalogare un malessere non catalogabile, subdolo e radicato, un male di vivere tra le pieghe di una sensibilità unica.
Daniele conta i giorni che lo separano dalla libertà, si annoia, vorrebbe fuggire, tutto è eccessivo, pericoloso, folle, alieno. Una duplice dimensione lo attende, da una parte il reale, quella anormalità normalizzata fatta di visite mediche, farmaci, compagni di sventura, dall’altra un percorso interiore indefinito, di solitudine e condivisione, quando la quotidianità e la conoscenza sveleranno un’ umanità radicata e complessa, impaurita e fragile, e la vita si aprirà alla diversità e al senso di appartenenza.
Daniele si interroga su quale malattia gli fa chiedere salvezza e quale educazione gli fa implorare pietà. Vorrebbe una corazza capace di tenerlo distante dalle cose senza disperarsi per la disperazione altrui, immerso in un dolore che non può conoscere ne’ addomesticare.
Sarebbe bello che la sua malattia fosse solo uno scompenso chimico, risolto con l’assunzione di un farmaco, ma non è così, c’ è ben altro, ha vissuto così tanto ma si sente ancora bambino.
I giorni passano lentamente e una neo consapevolezza vale più di tutto il resto insieme a interrogativi leciti. Che cos’è la malattia, che cosa si intende per disturbo mentale e come si pone la scienza medica di fronte al caos della mente umana? Forse la scienza vorrebbe contenere, catalogare, curare con le medicine interrogativi esistenziali che vanno oltre la malattia mentale e che rappresentano l’ unicità dell’ individuo.
E allora un uomo che contempla i limiti della propria esistenza non è malato ma semplicemente vivo. E i cinque compagni con cui ha condiviso la stanza e una settimana della sua vita, a cui si è confidato, esposto, con cui ha parlato di tutto, di se’, di loro, della malattia, del mondo, della bellezza, sono ...” la cosa più somigliante alla mia vera natura che mi sia mai capitato d’ incontrare “... e ...” fratelli offerti dalla vita “...
Un romanzo vivo, pulsante, una storia di verità e disperazione, ma anche di amicizia e speranza. Quel sottile filo di normalità che può spezzarsi improvvisamente generando un cortocircuito mentale, a volte irreparabile, sovente legato a precisi traumi pregressi o con un’ origine indefinita, vede nell’ ascolto e nella comprensione un nuovo inizio per scacciare la solitudine estrema origine del non senso.
Il ritorno alla vita passa attraverso la vita, la convivenza con i fantasmi del proprio passato è difficile ma possibile laddove esista il recupero di un’ umanità e di un umanesimo che siano reale espressione di se’.
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Dalla sofferenza nasce richiesta di salvezza
“Dall’alto, dalla punta estrema dell’universo, passando per il cranio e giù, fino ai talloni, alla velocità della luce, e oltre, attraverso ogni atomo di materia. Tutto mi chiede salvezza. Per i vivi e i morti, salvezza. Salvezza per Mario, Gianluca, Giorgio, Alessandro e Madonnina. Per i pazzi di tutti i tempi, ingoiati dai manicomi della storia”.
L’essenza di questo libro scritto da Daniele Mencarelli, di un poeta popolare che usa il gergo dialettale romanesco alla maniera di Pasolini, che ha saputo toccare le corde del cuore con un’opera che sa di poesia, è contenuta in quella citazione. Più precisamente in quel “Tutto mi chiede salvezza” che, a partire dal titolo, attraversa come una spina dorsale questa storia autobiografica, una sorta di litania che ritorna più volte nel testo, una preghiera laica ed anche di fede, una richiesta di pace “Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri”
.
La richiesta di salvezza è figlia della sofferenza provata sulla propria pelle, di un disturbo depressivo-bipolare che ha accompagnato l’autore nella sua adolescenza, alimentato dall’uso di alcol e stupefacenti, esploso in atti di violenza incontrollati che lo hanno portato ad una settimana di ricovero in clinica con prescrizione di un TSO. La narrazione è pertanto incentrata su questa settimana di ricovero, in 7 capitoli differenti, uno per ogni giorno di permanenza, caratterizzato dal suo carico di dolore, di nostalgia verso la famiglia, di riflessioni dal forte contenuto metafisico, alla ricerca di un senso profondo della vita, di un qualcosa che vada oltre la materialità (“...ma è sbagliato cercà un significato?….Sennò come spieghi tutto, come spieghi la morte? Come se fa ad affrontare la morte di chi ami? Se è tutto senza senso non lo accetto, allora vojo morì”). Ma soprattutto il ricovero è caratterizzato dall’interazione tra il narratore protagonista ed i suoi compagni di camera: Mario, Gianluca, Giorgio, Alessandro e Madonnina, ognuno con i propri problemi, i propri drammi interiori che si sveleranno lentamente, e nei confronti dei quali verrà chiesta quella salvezza necessaria per superare il dolore. In questa conoscenza forzata si cela la vera forza salvifica del romanzo, il messaggio evangelico che si dischiude nella sua progressiva presa di coscienza di una solidarietà tra ricoverati che si spinge oltre, fino a trasformarsi in affetto profondo, riconoscendo così nel prossimo un fratello.
“Quei cinque pazzi sono la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, di più, sono fratelli offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare”.
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Anime salve
«Per i pazzi di tutti i tempi, ingoiati dai manicomi della storia». A loro e a tutti gli esclusi che abitano il nostro mondo, le nostre città, magari le nostre stesse famiglie il bravissimo Daniele Mencarelli dedica il romanzo “Tutto chiede salvezza”, vincitore del Premio Strega Giovani 2020.
La vicenda è quella di Daniele, ragazzo romano di vent’anni, incline a percepire la drammaticità della vita con un’intensità sconosciuta ai più: «Non so vivere in un altro modo, non riesco a fuggire a questa ferocia: se c’è una vetta la devo raggiungere, se c’è un abisso lo devo toccare». La sua febbre di vita lo porta a interiorizzare, oltre ogni ragionevole misura, i drammi e le gioie che costituiscono l’esistenza quotidiana non solo sua ma anche delle persone con cui, per un motivo o per un altro, entra in contatto.
Ciò lo conduce a porre alla vita un’implacabile domanda di salvezza, per tutti e per tutto: «Una parola per dire quello che voglio veramente, questa cosa che mi porto dalla nascita, prima della nascita, che mi segue come un’ombra. Salvezza. La mia malattia si chiama salvezza, ma come? A chi dirlo?». La domanda brucia sulla pelle di Daniele e sembra non trovare risposta in tutto il repertorio di soluzioni che la società mette a disposizione per andare avanti (scienza e religione comprese), né tantomeno nelle droghe con cui il protagonista tenta di anestetizzare il dolore che lo sovrasta.
In seguito a una forte e violenta esplosione di rabbia, Daniele subisce un Trattamento Sanitario Obbligatorio ed è costretto a trascorrere una settimana in un reparto psichiatrico, lontano dalla famiglia e dalle frequentazioni abituali. Una sorta di non-luogo per soggetti irrecuperabili, inutili e pericolosi agli occhi del mondo. Qui farà la conoscenza di diverse persone: medici più o meno cinici, personale ospedaliero che cerca, come può, di difendersi emotivamente dall’orrore che lo circonda, ma soprattutto alcuni ospiti del reparto: Mario, Gianluca, Giorgio, Alessandro e “Madonnina”, compagni di viaggio decisamente fuori dagli schemi, persone per le quali non c’è posto nel mondo dei vivi, ma che, insieme al loro carico di dolore, portano in sé la grazia, l’umanità, la pietà e persino la bellezza che tante volte non trovano spazio nei rapporti quotidiani tra le persone. Sono proprio loro che Daniele riconoscerà come «la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, fratelli offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare».
L’incontro con queste “anime salve”, per dirla con De André, cambierà pian piano lo sguardo di Daniele, facendogli capire che la vera follia è quella di chi non cerca con tutto se stesso il senso, la redenzione: «La vera pazzia è non cedere mai. Non inginocchiarsi mai».
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il mistero della psiche
Candidato e poi vincitore al Premio Strega Giovani, Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli trasporta in un mondo altro, il mondo dei malati psichici, differente dal normale, con indubbia sapienza narrativa. Il lettore è trasportato alto nel cielo, librandosi in alto, con lievità e saggezza.
Con uno stile colto e sapiente l’autore racconta la storia di Daniele, costretto ad un ricovero coatto in psichiatria, per aver aggredito furiosamente il padre in un momento di cieca rabbia incontrollata. Da tempo malato, Daniele comprende di cadere ogni giorno di più nel buco nero della malattia. Qual è la salvezza, se esiste?
“O forse questa cosa che chiamo salvezza non è altro che uno dei tanti nomi della malattia, forse non esiste e il mio desiderio è solo un sintomo da curare. A terrorizzarmi non è l’idea di essere malato, a quello mi sto abituando, ma il dubbio che tutto sia nient’altro che una coincidenza del cosmo, l’essere umano come un rigurgito di vita, per sbaglio.”
In ospedale verrà a contatto con altri cinque uomini al margine, che diventeranno però i suoi unici, veri amici. Fino alla conclusione finale, tutta da interpretare.
Scritto con una prosa filosofica e colta, colpisce e trascina il lettore in un vortice di emozioni e di sensazioni nuove, diverse, profonde. Un salto nella malattia sulla scia di Mario Tobino che avvince ed affascina. Una riflessione capace sull’incomunicabile, sullo sconosciuto, su un mistero mai del tutto risolto che rende l’essere umano, nella sua unicità, bellissimo ed imperscrutabile.
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Lascia il tuo sguardo libero, raccontati il mondo.
«Dalla morte. Dal dolore.
Salvezza per tutti i miei amori.
Salvezza per il mondo.»
Daniele ha appena vent’anni per le tante domande che lo attanagliano. Perché alla fine, Daniele, non cerca altro che risposte. Risposte a quel vivere così doloroso, a quelle perdite che spezzano altrettante esistenze e legami, a quelle ingiustizie che fanno sopravvivere i genitori ai figli, che portano al sacrificio mai ricompensato. E allora, perché vivere? Che senso ha vivere? Perché un senso deve pur averlo, un significato ci deve pure essere. Come la spieghi altrimenti la morte, come fai ad andare avanti quando il legame viene spezzato, quando perdi tutto?
«Che cura può esistere per come è fatta la vita, voglio di', è tutto senza senso, e se ti metti a parla' di senso ti guardano male, ma è sbagliato cerca' un significato? Perché devo avere bisogno di un significato? Sennò come spieghi tutto, come spieghi la morte? Come se fa ad affrontare la morte di chi ami? Se è tutto senza senso non lo accetto, allora vojo mori'.»
E a volte quel bisogno di risposte è tale da portare a gesti inconsueti, eccessivi, distruttivi. Autodistruttivi. Perché arrivi a millantare di farla finita, di smetterla con questo mondo così duro e ingiusto, perché arrivi a dire semplicemente basta. Ma qualcosa va storto e a pagarne le conseguenze sono i tuoi genitori, ma prima ancora tu. Tu che perdi il controllo, tu che sei sopraffatto dalla rabbia e dall’amarezza, tu che ti sei lasciato andare all’alcol e alle droghe che hai assunto per non sentire il dolore, per non sentire quel malessere che covi nel cuore e che resta lì. Che schiaccia i battiti, che è onnipresente nella mente, che rende quel vivere la fatica più grande.
Tuttavia, per ogni azione vi è una reazione e quella che consegue alla tua perdita di controllo è un trattamento sanitario obbligatorio, un TSO. Ti risvegli in quel letto, con la mente appesantita, con il ricordo che è vergogna, con le telefonate che trafiggono, con quegli occhi che vengono a trovarti e che non hai il coraggio di incrociare e con loro, quei compagni di stanza che all’inizio giudichi pazzi e guardi con sguardo malevolo per poi renderti conto che sbagli a emettere sentenze, che sbagli a considerarli dei matti. Perché loro sono di quanto più vicino a te e in quella settimana scoprirai che sono l’amicizia più vera, che sono fratelli più autentici di quelli che hai ad aspettarti a casa. Ciascuno con il proprio essere. Madonnina con il suo chiedere aiuto alla santa perché ha perso l’anima, Mario con il suo passerotto alla finestra, Giorgio e Gianluca con quelle madri che li hanno marchiati nel passato con un addio mancato e che li marchiano nel presente con quella presenza così schiacciante, Alessandro con il suo sguardo fisso a mezza testa. Anime alle quali si sommano Pino, Alberto e Rossana, gli infermieri con quei turni fissi e Cimaroli e Mancino, i due medici del reparto, così diversi nella loro apparenza che mostrerà successivamente una nuova verità.
«Forse, questi uomini con cui sto condividendo la stanza e una settimana della mia vita, nella loro apparenza dimessa, le povere cose di cui dispongono, forse loro, malgrado tutte le differenze visibili e invisibili, sono la cosa più somigliante alla mia vera natura che mi sia mai capitato d’incontrare.»
Una settimana che scandirà un percorso interiore di crescita, interrogazione e consapevolezza ma che sarà anche di più perché porterà il lettore ad auto-interrogarsi e al contempo ad avere una panoramica di quella che è la degenza psichiatrica, la cura per quelle persone a cui viene negata la cosa più semplice: l’ascolto. Quasi come se non esser “sani” fosse una condizione marchiante al punto da relegare questa facoltà esclusivamente a chi non affetto da patologia.
«Perché i matti, i malati vanno curati, mentre le parole, il dialogo, è merce riservata ai sani.»
Al tutto si somma uno stile limpido, fluido, diretto, emotivo che suscita empatia. Un titolo che si divora in appena un paio di giorni ma che lascia il segno.
«Ma non sono proprio io a desiderare un significato per tutto? Se fosse proprio questa la radice?
Piantata talmente a fondo da sentirla senza poterla vedere. Perché non posso negarlo a me stesso. Io quella nostalgia la sento. La vivo. Come vivo l’incapacità di accettare il tempo che passa, di sentirlo posticcio rispetto a tutto quello che nel mio cuore vuole vivere per sempre. Mi ritrovo nuotatore sospeso nel mezzo di una fossa oceanica: io, puntino di vita senza approdo alcuno, sotto di me chilometri di acqua nera, gelida, pronti ad abbracciarmi per sempre.»
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Il maestro e Margherita
Questo romanzo mi ha ricordato altri romanzi per i suoi riferimenti non so se voluti o casuali: Il maestro e Margherita, con il poeta chiuso anche lì nell'ospedale psichiatrico e Qualcuno volò sul nido del cuculo. Ci sono interessanti richiami al paradiso perduto, alla bellezza perduta di cui il poeta conserva memoria, e quindi una incurabile (soprattutto con un TSO) nostalgia. Mencarelli nel suo romanzo ci racconta la sua settimana di TSO, attingendo a una sua giovanile esperienza. Come tutte le storie vere che vanno a toccare la sofferenza umana, il libro non risulta letterario e costruito, e ha un valore aggiunto evidente. Certo, i ricoverati non sembrano davvero malati se non di un mal di vivere, guaribile con ascolto e relazioni più vere, e magari con l'aiuto di qualche farmaco e della psicoterapia.Sono persone ipersensibile e ferite dalla vita, con cui si ragiona, a parte un paio di casi. Viene da chiedersi dove sono invece i veri malati di mente, quelli cosiddetti cattivi. Probabilmente in famiglia, non curati, dato che per poterli curare la legge che ha decretato la chiusura dei manicomi prevede la necessità del loro consenso..
analisi bellissima
Tutto chiede salvezza
Daniele Mencarelli
Molto bello, un ragazzo internato x un tso a causa di un attacco d'ira, scopre un'umanità incredibile e soprattutto mette a fuoco tanti lati della sua anima. Molto ben delineati non sol il protagonista, ma anche gli altri ricoverati. c'è Mario il maestro, Gianluca molto sensibile, Giorgio chiuso e introverso e poi Madonnina e Alessandro che sono personaggi strazianti e commoventi, ben caratterizzati anche medici e infermieri e personale delle pulizie. Concludo estrapolando un passaggio che mi ha colpito
Forse, questi uomini con cui sto condividendo la stanza e una settimana della mia vita, nella loro apparenza dimessa, le povere cose di cui dispongono, forse loro malgrado tutte le differenze visibili e invisibili, sono la cosa più somigliante alla mia vera natura che mi sia mai capitato di incontrare.
Spero stasera vinca lo Strega, ma ci sono Veronesi e Carofiglio favoriti
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Capirsi e capire il mondo
Intanto, dopo aver letto “Il Colibrì” di Sandro Veronesi il mese scorso, mi cimento in questo romanzo drammatico di cui ho sentito parlare benissimo nelle varie recensioni sui social. Sia il libro di Veronesi (trovate la recensione qui) sia questo, sono nella Cinquina (ops! sestina. Scusate, ora vi spiego. Quest’ anno è stata applicata la regola per la quale nella cinquina finale deve essere presente almeno un libro di una Casa Editrice indipendente e/o piccola, e siccome i cinque libri più votati erano tutti di CE “mainstream”, è stato aggiunto “Febbre” di Jonathan Bazzi della Fandango) di finalisti del Premio Strega 2020 che verrà decretato il 2 luglio prossimo.
Il romanzo di Daniele Mencarelli ha già vinto il Premio Strega Giovani 2020.
Il romanzo racconta di 7 giorni della vita dell’autore. 7 giorni passati in ospedale per un TSO dopo che una sera, in preda ad un delirio di rabbia la famiglia ha deciso di chiamare i soccorsi sia per lui, sia per il padre vittima di un malore.
Daniele ha appena 20 anni e ha una vita sempre in bilico tra follia e depressione acuita anche dall’uso smodato di droghe di tutti i tipi. Dentro a quel reparto psichiatrico conoscerà altri personaggi che lo aiuteranno a capire meglio il suo disagio ed arrivare, dopo un dolore non più privato, a cercare di uscirne e vivere finalmente una vita degna di essere vissuta.
Questo romanzo, seguendo tutte le recensioni entusiaste in cui mi sono imbattuta in questi mesi, avrebbe dovuto essere fantastico. Ed è fantastico. Un memoire fortissimo e a tratti cattivo che ci svela un momento della vita dell’autore che non conoscevamo – almeno parecchi di noi non conoscevamo – e che ci ha raccontato con un piglio da grande scrittore. Durante la lettura mi sono soffermata più e più volte su molte frasi e su molti pensieri messi nero su bianco e che mi hanno fatto riflettere su quello che credo, in misura molto minore e senza ad arrivare ad un problema psichiatrico, mi affligga: sentire tutto il dolore del mondo.
Daniele sente il dolore di chiunque, umano o animale che sia e se ne cruccia perché non può farci niente. Questo lo porta ad iniziare a provare una rabbia cieca che mitiga solo in parte con le droghe e che lo fa cadere parecchie volte. La sua mente reagisce al dolore altrui facendolo proprio e tutto questo male deve uscire da lui in altro modo: con attacchi di rabbia come quello che lo prende il giorno in cui distrugge casa sua e viene ricoverato.
Vorrei avere una corazza, un’armatura del miglior ferro, capace di tenermi distante dalle cose, vorrei non disperarmi per la disperazione degli altri,
La scrittura è colloquiale, stiamo leggendo le pagine di un diario personale e infatti l’elemento “flusso di coscienza” è molto presente in queste pagine anche se non reiterato. Mencarelli predilige il racconto quasi in presa diretta per i fatti che accadono in quei 7 giorni richiuso nel reparto psichiatrico e per quanto riguarda i sentimenti e i pensieri da loro nati si nota il lavoro di interiorizzazione fatto a posteriori, anche di decenni secondo me.
Un romanzo crudo e che dice la verità, senza filtri, senza paura, senza inutili piagnistei. Un romanzo che merita sicuramente il premio che ha vinto, votato dalla giuria di adolescenti per il Premio Strega Giovani perché con gli occhi di un adulto di, ormai, più di quarant’anni è riuscito a guardarsi dentro fin nel centro dell’anima e della memoria, a tratti disperatamente, per farci conoscere un pezzo importante di lui e facendo questo ha fatto conoscere a noi, un pezzo del puzzle della nostra mente che, fino ad ora superati anche io i quaranta, non avevo mai capito fino in fondo.
Vi consiglio la lettura di questo romanzo perché, forse, provando a fare un pronostico così, en passant, vincerà il Premio Strega 2020 e voi potrete disquisire con i vostri amici letterati forti del fatto che “io l’ho già letto e posso dire che…”.
Volete mettere la soddisfazione?