Tristano muore
Letteratura italiana
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Per te..
E prendo il coraggio a quattro mani, e cerco la forza di scrivere, di raccontare, di rivivere quel maggio non così lontano. Finzione e realtà si fondono. Finzione e realtà si confondono. Siamo in Toscana, la fine della vita bussa con certezza e cadenza regolare. La fiuti nell’aria, la percepisci dagli sguardi, la ascolti in quei lenti e costanti bip bip. Ti batte, ancora, frenetica, nel cuore. Ti sveglia la notte, ti trafigge di soprassalto.
E leggi, e ricordi. Tu che con tutto te stesso volevi vivere ed hai lottato per vivere. Tu che con semplicità ti sei mostrato te stesso, senza paura di cadere nello scontato, senza timore di non essere accettato, con tutti i tuoi dubbi e le tue fragilità, con tutto il tuo passato e la tua nostalgia.
E sei, vita. Sei pensiero, sei aria, sei sostanza. Corporea ed incorporea. Sei una danza dal ritmo inconsueto, sei contraddizione e sei metafora. Sei assenza, sei presenza.
Toc toc, eccola, l’ora è giunta. Un addio, o forse, semplicemente, un arrivederci.
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Morfina, ricordi, dolori e sogni
Memori di Virginia Woolf e James Joyce, ci immergiamo in questo romanzo, che è puro stream of consciousness, ma più praticabile e meno accidentato dei percorsi dei pionieri della suddetta tecnica narrativa.
Siamo dentro al testamento di una vita dettato in presa diretta ad uno scrittore di successo, venuto da lontano, chiamato appositamente per adempiere al compito di mettere nero su bianco le memorie di un uomo prossimo alla morte, Tristano appunto.
Scorre il flusso dei pensieri di Tristano sotto l’orecchio attento dello scrittore e del lettore stesso, come una lunga ballata che mescola sogni, realtà e reminiscenze, che a tratti si incupisce con i ricordi della guerra, mentre a tratti si illumina del bagliore del volto di una donna… Una danza incastonata in un tempo inafferrabile, scandito dai riti della domestica Frau e dalle somministrazioni di morfina che lenisce le sofferenze al prezzo del sopore.
Eppure quest’uomo nel suo rito d’addio non è melancolico, non è affranto, disperato, come forse ci si potrebbe prefigurare, è invece brioso, incalzante, orgoglioso, canzonatorio verso tutto e perfino autoironico, carico di squarci di riflessioni filosofico-esistenziali, pregno di domande seppur parco di risposte.
- “perché, perché, perché. Sei venuto fin qui per sapere i perché della vita di Tristano. Ma nella vita non ci sono i perché, non te l’hanno mai detto? ... perché scrivi? O tu sei di quelli che cercano i perché, che vogliono mettere tutte le cose al loro posto? ...” –
Solo il finale si tinge delle tonalità amare e struggenti tipiche dei commiati e dei rimpianti…
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L'addio
Bellissimo questo romanzo di Tabucchi. Pieno di nostalgia, di malinconia, di tristezza, di intelligenza con una scrittura surreale e onirica che non racconta ma nasconde una storia come dietro una serie di veli per cui si intravede l'ombra di una storia senza distinguerne i protagonisti e gli eventi. La traccia raccontata cambia ogni volta leggermente, scorrono i protagonisti, si mescolano e si confondono. Non si capisce chi sia Tristano, se sia lo scrittore morente, se l'altro scrittore, arrivato al capezzale del morente sia reale o meno. Il testo è onirico, confuso, con la mutevolezza dei sogni e tutta la loro bellezza. Si capisce tra le righe che si racconta di un amore (anche dal nome del protagonista Tristano) e di un tradimento. Forse la storia è così confusa perchè anche chi la racconta non ha il coraggio di ricordarla senza cambiarla, senza sfuggire a se stesso e al suo ruolo in un gioco di specchi e di fughe in cui la morfina è complice e confessore al tempo stesso. Pure Dio in cielo si trasforma, viene sostituito da un altro dio: pippopippi, forse dio dei traditori e dei non pensatori. La vera libertà è non pensare, è essere pensati. La scrittura è bellissima.
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Il dolore acuto dei ricordi
Un capezzale, un corpo divorato dalla cancrena, la voce di un vecchio incattivito dalla vita e dalla malattia che detta la sua biografia ad uno scrittore di fama e talento. Tristano, questo è il nome dell’io narrante, racconta sprazzi di un’esistenza divisa tra l’amore e la guerra, tra passioni travolgenti e nemici da combattere, fino all’ultima sfida, la più difficile, quella dura e spietata con la malattia e con la morte. Tristano, italiano eroe della Resistenza Greca, capace di far fuori da solo un intero plotone di soldati tedeschi, guidato dal coraggio e dal sangue freddo, ispirato da ideali di libertà e giustizia. Ma ben presto il nostro protagonista si rende conto che le idee per cui ha lottato sono state tradite, che la ricostruzione dalle macerie della guerra non è andata come lui e molti dei suoi compagni sognavano, che in fondo in questi casi si fa sempre e soltanto una cosa: si sostituisce un dittatore con un altro dittatore. “Gli inglesi e i loro cuginetti hanno due democrazie, quella buona, per consumo interno, e quella avariata rimasta a muffire nei magazzini del tempo, è quella da esportare, adatta ai popoli poveri, tanto i poveri digeriscono tutto”. Tristano detto Clark, per il suo fascino e per quella pettinatura che lo fanno assomigliare a Clark Gable, che ha tutte le donne ai suoi piedi ma soltanto una nel cuore, Daphne, che lui chiamava Mavri Elià per i suoi grandi occhi simili a due olive nere. Di questa donna però l’eroe non parla volentieri, vuole tenere tutto per sé il sentimento che lo ha unito al suo grande amore. Parla invece di Marilyn, una ragazza americana anche lei impegnata nella Resistenza che lui chiama Rosamunda in ricordo di un pezzo di Schubert, o più raramente Guagliona. Un rapporto travagliato, una grande attrazione carnale, un intrico di tradimenti e scorrettezze, un continuo perdersi e inseguirsi che sembra non portarli da nessuna parte. La voce del protagonista è sempre più fievole, il suo racconto sempre più sconnesso, la sua rabbia nei confronti del sistema sempre più accesa, le sue riflessioni sulla storia, sulla politica, sulla condizione dell’uomo sempre più amare. Al dolore provocato dalla malattia si aggiunge quello forse ancora più acuto dei ricordi, dei fantasmi, dei rimpianti, delle delusioni, di quella verità che dimostra quanto è labile il confine tra l’essere un traditore o un eroe, tra lottare per una causa comune o combattere guerre personali. Tristano si rende conto che nella sua vita avventurosa ha pensato di aver conosciuto la paura ma che quella non era vera paura: “…la vera paura è un’altra, quella era una paura da poco, perché aveva il privilegio dell’aleatorio, poteva andargli male, ma poteva anche cavarci le gambe… La vera paura è quando l’ora è fissata e sai che sarà inevitabile… è una strana paura, insolita, si prova una volta sola nella vita, e non si proverà mai più, è come una vertigine, come se si spalancasse una finestra sul niente, e lì il pensiero si annega davvero, come se si annientasse. E’ questa la vera paura…”