Tra i ragazzi della valle dimenticata
Letteratura italiana
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La piccola scuola tra i boschi
Questo piacevole e breve romanzo tratta delle avventure di un gruppo di ragazzi di una scuola media, sperduta tra i monti di Abruzzo e Marche. La scrittrice, con stile lineare e scorrevole, ma anche caratterizzato da ironia pungente, descrive un anno della sua vita da prof.ssa precaria, trascorso in una scuola con studenti non troppo preparati e famiglie non troppo interessate all’istruzione. La narrazione è in prima persona, quasi una forma di diario-testimonianza, il testo è suddiviso in piccoli capitoletti dal titolo simpatico e indicativo, primo indizio delle sorprese che il lettore sta per affrontare e dei guai che i ragazzi stanno per combinare; alcuni esempi: folletti di montagna, lettera di scusa alle mosche, la classe pluriguai , la capretta di Simone, Strage di maiali, Roma: Ma che so’ ‘sta due pietre rotte?. La famosa chiamata inaspettata, dalla scuola, giunge a sorpresa, come sempre, quando la prof si trova all’estero, per la precisione a Dublino, dove aveva intrapreso una strada totalmente diversa; la giovane precaria, faceva qualche ora di lezione di italiano, lontana dai tornanti della valle dimenticata. Al telefono: “una supplenza annuale … importante .. torna subito!” Reazione: non voglio, dubbi, pianti. Poi fa il biglietto. La sede della piccola classe, pluriclasse per la precisione (unite più classi insieme in alcune ore, il caos più totale) si trova a dir poco sperduta tra le montagne, per arrivarci ci vuole un’ora di curve, arrivati sembra di essere altrove. La scuola è lontana dalla città ma è anche una piccola succursale, lontana dalla sede centrale, isolata da tutto, solo aule e i prof, il preside non ci va mai; lo stato, l’istituzione è percepita assente, lontana. Ma ancora esistono questi posti? Queste realtà? Gli studenti sono menti semplici dai modi rozzi, il mondo esterno li ha abbandonati e loro lo respingono, sospettosi verso tutto ciò che viene da fuori, che non è del villaggio; urlano, si picchiano, si divertono a prendere le mosche con le mani, lanciano oggetti, non riescono proprio a capire a cosa possa servire la scuola; ci sono anche episodi di prepotenza e bullismo. Il preside e le istituzioni, non essendoci mai, non sono temuti, non esistono, non li conoscono. Sono figli di contadini, poveri agricoltori con allevamenti, alcune abitazioni non hanno pavimento ma terra battuta, né riscaldamento, né bagno; a volte convivono con animali. Nell’era della globalizzazione, ci immergiamo lentamente nel villaggio con le sue interminabili giornate scandite dai ritmi della natura; foreste, vendita delle castagne e delle patate, lavoro manuale e domestico. I ragazzi possono anche essere assenti da scuola in alcuni periodi, sono ad aiutare i genitori al lavoro. Molti insegnanti sono fuggiti da quella scuola, gli istituti superiori, quei ragazzi non ce li vogliono; loro stessi non temono la bocciatura che rappresenta un anno ancora lontano dal lavoro. La mensa è il momento più difficile, lascio immaginare. Inoltre arrivare nella valle dimenticata è problematico: neve, nebbia, frane e brutte curve, rischio incidente ma si può vedere anche uno splendido cerbiatto. Elisabetta, la prof, pensa di non farcela però non si arrende, sconforto, disperazione poi l’istinto, la solidarietà con quel mondo che poi sotto la dura scorza, nasconde una speranza. Nel libro sono presenti anche alcune frasi dei temi dei ragazzi: (con errori ortografici ormai difficili da correggere): vorrei essere il sindaco del mio paese e chiuderei la scuola e ci farei un supermercato molto grande, a 3 piani …I prof devono essere più sorellevoli, siamo piccoli non pigmei; (Vorrei) una casa molto grande con prato alberi e tanti vestiti di marca; Le maestre nei bangi e noi bambini sulla cattedra. Tra i simpatici personaggi: la bidella Giovina: lavora a maglia, conosce tutti, si prende uno schiaffo da Attilio, lo studente grande, bulletto, ma gli restituisce un calcio …. ogni tanto una sberla si può dare; Valentina, lasciata a scuola con la polmonite, pallida e tremante; Ludovico: sembra che viva sotto una campana di vetro, forse ha bisogno di aiuto, però capta le informazioni e le rielabora più di quanto sembri, subisce anche prepotenze. L’inverno è lungo, buio e lento, a Febbraio piove, il terreno sprofonda, la prof non si arrende, anzi con determinazione ironia e autoironia, segno di perspicacia, dimostra che l’insegnante sa adattarsi a tutto, la scuola pubblica poi, arriva, e arriva dappertutto, è presente anche nell’altrove. Elisabetta comincia ad apprezzare questi ragazzi, la bellezza del paesaggio, i suoi ritmi; quando è assente (incidente a causa delle curve), Valentina la chiama: “sono Valentina, ci manchi, devo andare, se mi becca mamma al telefono, mi strilla”. Finalmente arriva la primavera, la luce, il sole, le giornate più lunghe, la natura che si sveglia poi la notizia: “Cari ragazzi, torna la vostra insegnante, devo salutarvi.” Cala il silenzio. Un finale sdolcinato, forse la prof ha imparato molto di più da quei piccoli folletti di quello che poteva aspettarsi; ha imparato così tanto da farli rivivere in queste pagine; forse loro sono più sensibili di quello che vogliono apparire. Dietro la dura crosta di questi indomabili, c’è un grande desiderio d’affetto. E’ passato un po’ di tempo ma i personaggi di questa storia sono sempre qui con noi.