Sull'orlo del precipizio
Letteratura italiana
Editore
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Saremo capaci?
“Sull’orlo del precipizio” è il romanzo che il famoso e pluripremiato autore Giorgio Volpe ha appena terminato, dopo due anni di duro lavoro. Manca solo un ultimo tocco di lima con la sua fidatissima editor Fiorella e finalmente il romanzo in cui ha racchiuso tutto se stesso, la storia della sua famiglia, la sua identità di narratore, sarà pronto per andare in stampa per la Gozzi, la più grande casa editrice del paese.
Ma all’improvviso tutto cambia. Non c’è più la Gozzi, inglobata dal nuovo colosso editoriale Sigma. Non c’è più Fiorella, sostituita da Aldo e Sergej, due tipi dall’aspetto di serial killer che a malapena sanno parlare italiano. D’altra parte, non c’è più neanche la narrativa italiana, ora denominata “comunicazione in lingua indigena” e nemmeno la vecchia dirigenza, capace ancora di commuoversi per un capolavoro, ma una spregiudicata tagliatrice di teste a dettare le nuove linee editoriali: trasformare, standardizzare, snaturare per dare al pubblico ciò che desidera. Così “La montagna incantata” diventa un libro di gnomi e folletti, “Guerra e Pace” si trasforma in “Pace” (tanto nessuno vuole leggere di guerre) e infine i panni del povero Manzoni vengono sciacquati in un Tevere “coatto” in modo da rendere la scrittura più adatta ai giovani. E che accadrà a “Sull’orlo del precipizio”?
Un racconto irriverente, satirico e insieme spassosissimo. Manzini strappa non poche risate con i suoi personaggi caricaturali e le sue situazioni esasperate, ma è una lettura che lascia un retrogusto amaro perché ci ricorda come l’editoria sia di fatto legata a piani commerciali ed esigenze di mercato, come dimostrano i coloratissimi e pubblicizzatissimi libri di dubbia qualità che affollano ogni giorno le librerie. Allora immaginare un mondo in cui la cultura sia totalmente asservita alle leggi del denaro a scapito della libertà e varietà di espressione non sembra poi uno scenario così improbabile e fantasioso.
E a ogni scrittore, a ogni lettore, a ogni uomo verrà chiesto di scegliere se lasciarsi fagocitare dai meccanismi di questa realtà scintillante, prospera e felice nella sua uniformità, o trovare il coraggio di farsi voce controcorrente, diversa, isolata. Nella letteratura come in tutto. Saremo capaci?
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Presente e futuro inquietanti....
Un famoso e grande scrittore, Giorgio Volpe, che ha fatto del buon scrivere, dell' arte narrativa e del piacere di esprimere la propria essenza, un modus vivendi ed operandi, si ritrova, improvvisamente, risucchiato in un vortice di incredibile bassezza culturale, in un mondo editoriale governato da nuove ed astruse logiche di mercato con la conseguente scomparsa dei buoni autori e della buona letteratura, oltre che dei piccoli editori sostituiti da un' unica, mastodontica oltre che tirannica casa editrice, la " Sigma ", pronta a rivedere, rielaborare, riscrivere, ridefinire i meccanismi della scrittura affidandoli a manager rampanti quanto "ignari" del campo letterario, asservita a logiche di mercato che fanno delle tendenze e del gusto popolare, quindi del numero di copie vendute, l' elemento precipuo di un buon prodotto.
Si innescano a questo punto meccanismi di non ritorno ed interrogativi inquietanti oltre che vicende umanamente controverse.
In questo breve racconto, Manzini, pur con elementi satirici ed accentuando l' aspetto tragico-comico di situazioni che hanno dell' assurdo, servendosi di personaggi che sono macchiette dell' esistere, di metafore, di colorite esasperazioni degli eventi, introduce e riflette su una inclinazione dell' oggi, già' ben presente e con radici in un recente passato, ovvero la morte della " letteratura " e del buon scrivere, della profondità', in nome di altro, che nulla ha da condividere con l' elemento artistico e spirituale, ma esclusivamente con il profitto, le logiche di mercato, i gusti, le inclinazioni dei lettori, spesso indirizzate ad arte, in un contrasto a tinte forti tra arte e capitalismo, tra vera bellezza e godereccio consumismo dell' oggi, elementi dicotomici e di certo non sovrapponibili.
Ne esce una tragi-commedia dell' umano mostrarsi che, inevitabilmente, ci porta ad una riflessione obbligata.
Infatti, più' tardi, camminando per il centro cittadino, ci imbattiamo in vetrine colorate, bagliori accecanti, lustrini, scritte ridondanti, pubblicità', volti sorridenti in vetrina e ci accorgiamo di essere capitati, quasi per caso, in una nuovissima e mastodontica libreria e che al vertice della classifica di vendite alla voce " narrativa "si trovano scanzonati intrattenitori radiofonici, noti calciatori, soubrette imbrillantate, cuochi dagli sguardi accattivanti, giornalisti modaioli, politici corrucciati e seriosi.
Allora, continuando il nostro cammino, cerchiamo una via di fuga, un rifugio sicuro, ma quella piccola, quieta, silenziosa, semi-nascosta libreria d' angolo, dove anni fa sostavamo avidi ed affamati di bellezza, e di sapere, e' scomparsa; forse non ricordiamo bene, no, era proprio qui, ce lo conferma un anziano passante. Ora, al suo posto una "magnifica" caffetteria stipata al proprio interno di giovani volti sorridenti, di sapori ed odori inebrianti, di colori mutevoli e smaglianti ed, in sottofondo, stridii cacofonici e risate isteriche.
Decidiamo di fare una breve sosta, assaggiamo un dolce gustoso, consigliatissimo e dall' aspetto invitante, scattiamo qualche foto a noi ed agli scanzonati presenti, dispensiamo sorrisi, battute sagaci, ed una volta sazi, ci alziamo, salutiamo gli sconosciuti ma amichevoli vicini di merenda e ci allontaniamo, apparentemente sereni, pacificati, sorridenti, ma con un velo di amarezza scavato sul volto e leggibile nel cuore, immalinconiti da un triste quanto vero presagio, da un presente agghiacciante e dal ricordo di un passato che fu, ormai dimenticato, ed ahime', sepolto dalle nostre stesse gioiose risate e da quella maschera che ormai ci appartiene, e' parte di noi, e ci accompagna tragicomicamente nel quotidiano mostrarci, anche noi asserviti al godimento del presente ed avendo riscritto, come Giorgio Volpe, il libro della nostra infelice " felicita' ".
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La narrativa italiana non c’è più
Con Antonio Manzini ci chiediamo se l’editoria sia davvero “Sull’orlo del precipizio”.
Verrebbe da rispondere affermativamente se pensiamo a “Mondazzoli” e all’inziativa dei “libri distillati”…
Con questi spettri che aleggiano nei megastore ove noi lettori strong ci procacciamo “la roba”, è facile lasciarsi coinvolgere dalla tragedia che si abbatte su Giorgio Volpe, scrittore che ha vinto tutti i premi letterari ed è abituato a stazionare ai primi posti nella top ten dei best seller.
Perché la Sigma (“Ma tu sai chi sarà il proprietario di tutto il carrozzone?”) ha fagocitato le tre principali case editrici e con ogni mezzo intende dare una svolta all’editoria orientandola (rectius: asservendola) al mercato (“La narrativa italiana ora si chiama comunicazione in lingua indigena”): con tutti i rischi annessi e connessi, compreso quello di pubblicare i classici riadattati (“Vuole che le legga l’incontro tra i coatti e don Abbondio?” - “I coatti?”- “I bravi, dai.”).
Come può reagire Volpe alle imposizioni (“Tagliare tutti i capitoli su fascismo”) che ben presto si trasformano in ricatti e minacce? Forse smettendo di scrivere (“Il suo ego riuscirà a sopportarlo?”)?
Il racconto incalza al ritmo di una distopia surreale, con tanto di pagliacci, nani e ballerine (“Io – ndr: devo scriverne - una di ricette per una ex velina”). Surreale sì, ma nei paradossi è facile riconoscere la realtà…
Giudizio finale: grottesco, inquietante, amaro.
Bruno Elpis
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Quale letteratura?
Il breve, divertente romanzo di Antonio Manzini, “Sull’orlo del precipizio”, é una satira acuta e intelligente sul mondo dell’edtoria, sulla deriva in cui essa può precipitare in seguito a scelte dettate da un interesse unicamente economico a discapito della cultura e dell’arte.
Attraverso il personaggio di Giorgio Volpe, autore di successo, pluripremiato, Manzini imbastisce una storia che suscita a tratti un’ilarità irrefrenabile, senza assumere i toni aggressivi del pamphlet satirico, ma raggiungendo lo stesso scopo con altrettanta efficacia. Oggetto dell’attacco sono i grandi cartelli editoriali che ormai sono una realtà innegabile, che soffocano e eliminano le piccole case editrici di “ nicchia” che pubblicano poche opere di qualità, per non parlare di quelle non riescono comunque a resistere nella giungla della speculazione economica. In epoca di globalizzazione, ciò non sorprende davvero. Ciò che allarma tuttavia è il destino che può essere riservato alla cultura e nel caso specifico alla letteratura, sempre più dequalificata. E la dequalificazione parte dalla lingua, maltrattata, oltraggiata, senza rispetto per le più elementari regole grammaticali e sintattiche. Qui Manzini ci offre pagine esilaranti che descrivono la volontà di due grossolani editor, che pretendono di modificare Manzoni o reinterpretare Tolstoi, eliminando per giunta, tutto ciò che di triste possa essere contenuto nella trama delle loro opere.
I nuovi immaginari squali che dirigono le scelte dei lettori e ne orientano il gusto verso contenuti e forme sempre più volgari, mostrano un sostanziale disprezzo verso il pubblico al quale si rivolgono. Non sono dunque solo gli autori, con la loro arte, ad essere mortificati, ma altrettanto risultano vilipesi i lettori, trattati come un volgo ignorante senza gusto né cultura.
Quale letteratura dunque ci attende nel futuro? Questo l'ipotetico quesito. Si rassegneranno i grandi autori come Giorgio Volpe a tradire se stessi e i loro lettori, per mantenere lo status sociale e i guadagni ormai consolidati o prevarrà la scelta idealistica e morale?
La decisione dipenderà dai valori preminenti in ogni coscienza.
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Un futuro di mediocrità?
Poche righe per tracciare l'apocalisse della letteratura, un libricino, che già dalla corpertina, verdognola e priva di eccessi, mostra un mondo letterario orfano di vivacità e di libertà di espressione, un mondo in cui i libri sono fatti in serie e devono rispettare le esigenze di mercato.
Dopo due anni di fatica, il pluripremiato Giorgio Volpe, scrittore di successo tradotto in svariate lingue, ha terminato la sua ultima fatica, ma quando sta per mandare tutto in stampa e godersi l'ennesimo successo, la sua casa editrice sparice, inglobata in una fantomatica Sigma, votata al soddisfacimento dei piaceri dei consumatori, al fine di trarre il maggiore profitto. I libri devono rispettare precise regole: “Avventura sì, malattie no. Matrimonio sì. Corna sì, solo se poi pace. Corna e divorzio no. Sesso tanto”. La narrativa italiana si trasforma in letteratura indigena e i classici sono riscritti per meglio adattarsi alle necessità dei giovani. Va da sé che Guerra e Pace diviene solo Pace e che i Promessi sposi sono rieditati in “slang” traformando “questo matrimonio non s'ha da fare...” nel più orecchiabile “Prova a fa' 'sto matrimonio e ti rompiamo il culo, bello.” Poche, ma chiare sono le regole delle Sigma, niente metafore, niente poesia, niente situazioni spiacevoli.
Due le chiavi di lettera a mio avviso. Quante sono le Sigma in circolazione, così potenti da dettare legge a 360 gradi nel campo dell'editoria? La seconda. Forse più nascosta e subdola, quanti gli scrittori capaci di uniformarsi ai dettami della Sigma pur di guadagnare lo stesso, pur di solliticare il proprio ego, in quanti il fuoco sacro dell'arte è stato spento dal vento delle mazzette di banconote?
Pagine sagaci e taglienti, feroci in alcuni punti che portano alla mente la claustrofobia orwelliana, imponendo al lettore un immediato controllo del proprio classico preferito nella speranza che nessuna parola sia stata rieditata. Cattivo e sarcastico, talvolta crudele come un leggero “Fahrenheit 451”, dove a bruciare i libri sono gli stessi che li creano.
In definitiva, piccolo, ma denso, che sancisse la morte della libertà di scrittura, della pluralità di espressione, dell'editoria indipendente mostrando un futuro (un po' presente?) piatto di scritti mediocri. Possibile contrastare tutto questo? Ai lettori l'ultima parola.