Narrativa italiana Romanzi Sotto un cielo sempre azzurro
 

Sotto un cielo sempre azzurro Sotto un cielo sempre azzurro

Sotto un cielo sempre azzurro

Letteratura italiana

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La fortuna di Mattia si chiama Zaccaria. È suo nonno. Un tipo alto, magro, con i baffi e un vocione che fa tremare i vetri alle finestre. Da quando è venuto a vivere in casa del nipote, dividendo con lui la camera da letto perché altro posto non c’è, le cose sono cambiate da così a così. Per Mattia la noiosa vita di figlio unico è come se avesse ingranato la quarta e… via nei boschi a imparare i versi degli uccelli e il modo che usano gli alberi per comunicare fra di loro, a cercare castagne o a raccogliere ciliegie arrampicati sui rami. E la sera, aspettando di addormentarsi, il suono della voce del nonno che racconta storie incredibili di luoghi e persone mai sentiti prima. Un paradiso! con un sacco di verde intorno e un cielo sempre azzurro. Una mattina, però, quando si sveglia, Zaccaria non sembra più lo stesso. È serio, nervoso, e non si capisce di cosa stia parlando. La diagnosi del medico non lascia dubbi: non si può più tenerlo lì. E per Mattia il mondo intero sembra crollare di colpo. Possibile che il nonno sia così grave e non si tratti invece di uno dei suoi scherzi? Oppure è entrato in una realtà tutta nuova che si apre solo davanti agli occhi di chi la sa vedere?



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Sotto un cielo sempre azzurro 2019-11-02 16:52:51 cesare giardini
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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    02 Novembre, 2019
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Una bella favola che fa pensare.

Allontaniamoci da Bellano e dai suoi curiosi personaggi, salutiamo il maresciallo Maccadò e la sua gentil consorte e lasciamoci guidare da Andrea Vitali in un altro mondo. “Sotto un cielo sempre azzurro” è una storia fiabesca per grandi e piccini, come si diceva una volta, una favola per adulti disincantati ma anche per bambini curiosi e anziani nostalgici. E’ la storia di un bimbo, Mattia, e di un nonno, Zaccaria, capitatogli in casa non si sa bene come: i due diventano amici per la pelle, Mattia, che è il narratore della storia, impara, il nonno gli insegna un po’ di tutto, guidandolo in lunghe passeggiate nei boschi e rendendolo partecipe delle tante meraviglie della natura. Ma un bel giorno il nonno, com’è come non è, esce di senno ed è convinto di essere Napoleone ( “je suis l’empereur!”). Sconcerto in famiglia, stupore di Mattia, intervento di un singolare e un po’ strampalato medico (il dottor Pallottini) che consiglia il ricovero in una casa di cura per casi simili (e non si dica che sono matti!), dove, sotto la direzione di un altrettanto singolare primario (il dottor Mesmerelli), ne succedono di tutti i colori. Il nonno si esprime solo in francese, rivive le imprese napoleoniche, si destreggia con sussiego tra personaggi un po’, diciamo, originali (per non chiamarli “matti”), che si credono, tanto per citarne alcuni, Attila, Gengis Khan, Giovanna la Pazza, il Barbiere di Siviglia, l’Abate Faria, Ivan il Terribile e via dicendo. Capita in casa di cura addirittura Babbo Natale, ma, attenzione, quello vero, scambiato per folle, con le renne parcheggiate fuori, che, stanche di attendere, se ne vanno via da sole… E il nostro nonno Zaccaria? Ripercorrendo le vicende napoleoniche, dopo la campagna di Russia, l’incendio di Mosca e la ritirata (per ritirata il nostro arzillo vecchietto intenderà una camminata all’indietro), un fortuito evento (facile da intuire!) lo costringerà all’immobilità a letto, dal quale finalmente si alzerà rinsavito, per la felicità dei familiari e soprattutto del nipote. Mattia riavrà il suo amato nonno a casa, finchè il tempo concederà a Zaccaria il dono della vita, per restare poi per sempre negli anni un ricordo indelebile nel cuore del nipote. “E non è finita”, dice Mattia, “perché continuo a tenerlo informato delle novità del mondo, così come qualcuno farà con me quando anch’io diventerò una cosa che non si può vedere o toccare pur continuando a esistere”.
E’ una favola bella, scritta con arguzia e maestria. Sprizza ottimismo e buoni sentimenti (il cielo è sempre azzurro!) ed offre non pochi spunti di riflessione. Intanto il rapporto affettivo tra nonno e nipote, tema caro alla letteratura di ogni tempo, ma qui particolarmente intenso e sincero, tanto da continuare anche dopo la morte del nonno in un ricordo perenne, sempre vivo e vissuto, nei pensieri del nipote. E poi il tono scanzonato con il quale l’autore (ricordo che è medico) tratta i colleghi del romanzo: il dottor Pallottini che comunica quasi solo tramite citazioni e proverbi e che stabilisce una prognosi in base ad un calcolo a dir poco esilarante, e il direttore del manicomio, il Mesmerelli, che tra i suoi titoli accademici annovera addirittura quelli di membro della confraternita di Wimbledon (!) e di specialista presso il Museo delle cere di Milano (!!). Uno spasso, che l’autore tratta con ironia e acuto senso dell’umorismo. Per non citare il passo in cui si sostiene, con un certo buon senso, che il vero manicomio non è nella casa di cura ma fuori, nel mondo esterno. Ma c’è un tema (a proposito del cancello della casa di cura, che a tutti gli effetti esiste, ma nella realtà non c’è) che riaffiora più volte nella storia e che fa pensare: e cioè che non sempre ciò che esiste può essere toccato, misurato, pesato, ciò non toglie che possa esistere lo stesso, almeno nella mente e nel cuore.
Una bella favola, complimenti ad Andrea Vitali anche per il breve raccono in appendice al volume (“Sui matti non piove mai”).

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