Sono mancato all'affetto dei miei cari
Letteratura italiana
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Il lavoro nobilita l'uomo
Vitali abbandona le atmosfere della cara Bellano per raccontarci le vicende familiari del protagonista attraverso il suo monologo.
Titolare di una rinomata ferramenta che è il suo orgoglio per pulizia, disponibilità di materiali e competenza del titolare vorrebbe che qualcuno dei suoi figli condividesse la sua passione per proseguire nel lavoro una volta che lui decidesse di passare la mano.
Ma la primogenita è una dolce fanciulla e “Alice, la prima figlia, era stata una disgrazia di per sé. Voglio dire averla avuta per prima e, a tempo debito, non poterla mettere a lavorare in ferramenta. Cioè, avrei potuto. Ma una donna in una ferramenta, secondo me, non faceva una bella figura”.
Il secondogenito, l'Alberto, è prima un pò scavezzacollo, “Una testa di cazzo. Lo dicono che a volte i maschi giovani sono così. L’esatto contrario della maestrina che intanto aveva il pancione. Voglia di studiare, niente. Voglia di lavorare, ancora meno. Voglia di fare l’asino, fin troppa”.
Poi quando l'Alberto sembra aver imparato finalmente il mestiere diventa parecchio ingrato accettando la generosa offerta di lavoro nell'autosalone del "Concessionario", così viene chaimato il suocero.
L'ultimo è l'Ercolino, minuto a dispetto dell'appetito infinito, non solo alimentare ma anche di conoscenza, il ragazzo infatti sta sempre sui libri destando un misto di orgoglio e preoccupazione nei genitori.
Aggiungiamoci una moglie che parla un pò a sproposito e il quadretto famigliare è completo.
Le tribolazioni del povero protagonista sono espresse sotto forma di monologo, in modo sempre parecchio colorito, dalle vicende amorose della figlia Alice con il marito Anselmo che da subito non incontra i favori della moglie "ah quell'Anselmo lì..." e infatti si rivelerà un autentico farabutto.
Per arrivare ad Ercolino e al suo originalissimo "Erasmus" con 50 anni di anticipo sui tempi.
Consueta ironia sottile di Vitali a raccontare i tormenti di un capofamiglia figlio del suo tempo e delle sue tradizioni quali il valore del lavoro e dello studio purchè non fine a se stesso e con gli svarioni da beata ingenuità e ignoranza come quello per l'Anselmo rappresentante della nobilissima Ferfort , fornitore ufficiale della ferramenta, e dunque considerato un buon partito, peccato non si riveli poi una buona persona nei fatti.
Fino all'epilogo improvviso che da il titolo al libro in modo parecchio originale.
Non entusiasmante ma godibile.
Indicazioni utili
La ferramenta, la mia vita!
Una vita come quella di tanti. Tutto casa e lavoro, anzi molto più lavoro che casa, ecco la vita di questo solido artigiano lombardo, padrone di un affermato negozio di ferramenta, messo in piedi con anni di fatica e sacrifici, partendo da viti, chiodi, fil di ferro e bulloni, fino a mettere insieme dopo anni e anni di attività un ampio campionario di merce, abeti e trattorini compresi. Certo, il lavoro è duro, da mattina a sera, pochi o niente svaghi, e sempre la speranza, quasi diventata negli anni certezza, di aver costruito qualcosa di bello e appagante, da trasmettere un domani ai figli. Siamo negli anni Ottanta del secolo scorso, e Vitali, mettendo da parte le amene vicende dei suoi compaesani bellanesi e del maresciallo Maccadò, ci presenta questa figura integerrima di lavoratore, senza grilli per la testa, sempre in bottega a trattare con clienti di ogni tipo ed a raggranellare soldi per un futuro migliore, per sé e per la famiglia. Ecco, la famiglia. Siccome, come quasi sempre accade, non c’è rosa senza spine, il nostro protagonista, che racconta tutto d’un fiato le sue vicende, ha, ahinoi!, una famiglia che sembra faccia di tutto per complicargli la vita, seminando zizzania e intralciando in mille modi lo scorrere della routine quotidiana. Il pover’uomo infatti ha una moglie apprensiva, impicciona, sempre pronta a intervenire quando non serve ed a starsene zitta quando occorrerebbe un suo parere. Per non parlare dei figli: l’Alberto, una frana a scuola con conseguenti bocciature, l’Alice, diplomata alle magistrali, facile all’innamoramento, sposa infelice dell’Anselmo, un ladruncolo invischiato in compagnie poco raccomandabili, e l’Ercolino, magro come un chiodo ma dall’appetito formidabile, sempre chino sui libri, l’unico a laurearsi, in filosofia, ed a partire per l’estero onde approfondire gli studi su un fantomatico filosofo greco. Nel libro, il protagonista ripercorre la sua vita ed i rapporti con i figli: resterà alla fine amareggiato dal loro comportamento, soprattutto quando l’Alberto, messa finalmente la testa a posto e diventato un suo valido aiuto nella gestione del negozio, sposerà una stangona, figlia di un ricco concessionario di auto, e, sia pure a malincuore, lascerà la ferramenta per una ben più redditizia attività di venditore di auto di lusso. Il mondo sembra crollare addosso al nostro artigiano, ormai anziano, svanisce la speranza di tramandare la ferramenta ai figli, tutto sembra inesorabilmente perduto: ci sarebbe l’Anselmo, il poco di buono forse rinsavito, a dare un aiuto nella ferramenta… Mai e poi mai, vorrebbe ribattere il nostro protagonista, ma la voce non gli esce, sente un dolore al petto e… “Sono mancato all’affetto dei miei cari”: così termina il lungo racconto, è la confessione di un rapporto lacerato, di speranze non realizzate, di un sogno fallito.
Andrea Vitali, con il suo stile garbato e ironico, narra attraverso un lungo racconto del protagonista in prima persona, le vicissitudini di un bravo artigiano d’una volta, vittima dei contrasti e dell’indifferenza di una famiglia come tante: lo spaccato di un contesto sociale assai frequente nell’Italia di ieri e di oggi. L’affetto reciproco di fondo c’è, ma resta quasi nascosto da superficialità e incomprensioni. Il linguaggio del narrante è ricco di esclamazioni popolari e di voci dialettali, sgorga spontaneo dalla mente fervida e dal cuore di un uomo buono, mai sostenuto e capito appieno dai familiari a lui più vicini. L’unico neo che posso evidenziare nel testo è la mancata suddivisione in capitoli, il raccopnto fila via senza interruzioni, quasi che il narrante volesse tirar fuori in fretta e senza indugi tutto quello che non gli andava bene, quasi un rimprovero per quelli che non lo avevano seguito e capito. Una “stranezza” dal punto di vista letterario, ma, nel caso specifico, può essere un pregio singolare e raffinato di un grande scrittore.