Narrativa italiana Romanzi Sofia si veste sempre di nero
 

Sofia si veste sempre di nero Sofia si veste sempre di nero

Sofia si veste sempre di nero

Letteratura italiana

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E' una donna la protagonista del libro, un romanzo composto da dieci racconti autonomi che la accompagnano lungo trent’anni di storia: dall’infanzia in una famiglia borghese apparentemente normale, ma percorsa da sotterranee tensioni, all’adolescenza tormentata da disturbi psicologici, alla liberatoria scoperta del sesso e della passione per il teatro, al momento della maturità e dei bilanci. Cognetti ci regala il ritratto di un personaggio femminile indimenticabile: una donna torbida e inquieta, capace di sopravvivere alle proprie nevrosi e di sfruttare improvvisi attimi di illuminazione fino a trovare, faticosamente, la propria strada. Un libro avvincente in cui ciascun lettore troverà momenti di bellezza e di dolore, di ansia e di riscatto, che riconoscerà di aver vissuto anche sulla sua stessa pelle.



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Sofia si veste sempre di nero 2019-12-06 13:07:28 ofranca
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ofranca Opinione inserita da ofranca    06 Dicembre, 2019
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Tanti racconti per una storia: Sofia

"Aveva addosso una felpa nera, pantaloni della tuta neri, i capelli rasati da un lato solo e l'orecchio sinistro bucherellato da una scarica di anellini d'argento. Era sottopeso di almeno dieci chili, con le vene che le incidevano il dorso della mano."

Cognetti articola la narrazione in racconti che potrebbero essere letti in modo casuale, ma è solo leggendoli tutti che si può ricostruire il puzzle del personaggio di Sofia e del mondo che ruota intorno a lei.

Ho fatto un po' di fatica a seguire l'evoluzione temporale della vita di Sofia perché le storie non sono organizzate in base al susseguirsi del tempo. Ogni capitolo è dedicato ad un personaggio che per un motivo parentale o lavorativo o sentimentale entra nella vita di Sofia e la racconta fornendoci un affresco di questa vita, caotico e scollegato.
Sofia non si racconta, sono gli altri a parlare di lei: "tutti sapevano che Sofia era stata un maschiaccio: la conoscevano dai racconti dei loro fratelli maggiori"
Del resto lei non parla mai troppo, non mangia, non saluta, non chiude i rapporti, non ha una fissa dimora, l'unico posto dove si rilassa è nella vasca da bagno: "da quando sei senza fissa dimora, la vasca da bagno è l'unico luogo in cui, dovunque ti trovi, puoi chiudere gli occhi e sentirti a casa" e per un motivo ben preciso.

La vita di Sofia è proprio come i racconti: apparentemente scollegata, un divenire continuo che anche nel finale non si conclude, lasciando aperte mille possibilità.
Solo il primo racconto "Una storia di pirati" e l'ultimo "Brooklyn Sailor Blues" ci parlano di Sofia rispettivamente da bambina e da adulta.

Non ho particolarmente amato Sofia, per questa sua continua disconnessione con la vita, o forse per l'intermittenza con cui ci viene offerta la sua storia. Diversamente ho apprezzato gli altri personaggi attraverso cui Cognetti descrive anche le vicende politico economiche e sociali dell'Italia degli anni 80 e 90.
C'è il papà Roberto, un uomo borghese che nasce e cresce, lavorativamente parlando, nella fabbrica dell'Alfa Romeo, che vede i lustri e la fine della casa automobilistica, che sarà assente nella vita della figlia: "parla di tuo padre. Scrisse che lei suo padre non lo conosceva, perciò non era in grado di svolgere il compito, ma se andava bene lo stesso le sarebbe piaciuto parlare del suo cane" ma che comunque saprà essere più presente della madre, Rossana.
A lei è dedicato il penultimo racconto "Le cose da salvare".
Durante la lettura ho a lungo atteso la sua storia. Questa madre che "faceva fatica a dormire. Durante il giorno era irritata ed irascibile. Passava il pomeriggio a letto e non dipingeva da mesi. Cominciò a vedere dei dottori, così in poco tempo l'umore di Rossana diventò il problema di Rossana e poi la malattia di Rossana."
Una madre fortemente depressa che minaccia, continuamente, di andare via. Prepara le valigie e poi le disfa, le prepara e poi le disfa Sofia, le prepara e poi rimane lì in quella casa borghese, con un sogno nel cassetto.

L'altro personaggio ben caratterizzata è la zia di Sofia, Marta la sorella di Roberto, la cui vita ci viene racconta nel capitolo "Sofia si veste sempre di nero".
Marta che lotta contro il potere dei pochi, contro i licenziamenti, per i diritti della classe operaia, contro quel sistema dove il fratello Roberto, stava facendo carriera fino a diventare dirigente, uno di quegli uomini contro cui Marta lotta.
Marta non ha figli, non ha una famiglia ma è l'unica che sembra riuscire ad entrare in contatto con Sofia, Cognetti infatti ci dice parlando di Sofia che: "Marta era riuscita a fare breccia nella sua curiosità."

In questo complesso affresco umano e sociale cresce Sofia portando dentro la paura dell'abbandono e di restare sola. Cresce in una stanza con due letti, "perché al momento di comprare i mobili i suoi genitori progettavano un secondo figlio".
Cresce con una madre "sofferente, una sonnanbula che vagava per casa cercando di cogliere un senso che le sfuggiva. Aveva quest'unico sollievo quotidiano: verso sera riempiva la vasca d'acqua calda, versava sali profumati e chiamava Sofia per il bagno. Lì dentro chiacchieravano lavandosi a vicenda i capelli e la, schiena. "

l linguaggio e la costruzione della storia di Sofia sono affatto scontati.
Nel complesso ho apprezzato lo stile di Cognetti anche se dopo aver chiuso il libro non né sono rimasta particolarmente affezionata, del resto Sofia fa di tutto per non farsi amare.

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Sofia si veste sempre di nero 2019-05-08 08:37:37 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    08 Mag, 2019
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All'arrembaggio!

I primi racconti/capitoli, quelli cha parlano di Sofia bambina sono bellissimi e credo che siano tra i migliori racconti che mi è capitato di leggere negli ultimi tempi. Sofia irrompe originalissima e rende piacevole e solare ogni cosa. Poi arriva il nero che più che altro è un viola, colore della nostalgia più malinconica che Sofia lascia come marchio dietro di sè nelle persone che incontra: uomini, genitori, amiche. Quando a Sofia si sostituisce la nostalgia di Sofia o comunque quando il mondo degli adulti avanza sulle fantasie infantili/adolescenziali la scrittura si appesantisce e perde di freschezza. Anche i pensieri degli adulti, le loro azioni e ossessioni sono più prevedibili per quanto Cognetti riesca a schivare sempre la gretta banalità. Solo che i primi racconti erano così belli che il lettore non apprezza il cambio di tono, la virata nell'età adulta. Sarebbe stato bello non fare crescere Sofia.

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Sofia si veste sempre di nero 2018-11-05 12:55:05 pierpaolo valfrè
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pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    05 Novembre, 2018
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Ricordati di me

Dopo aver apprezzato la scrittura di Paolo Cognetti in storie di uomini e montagne (Il ragazzo selvatico, Le otto montagne) ho voluto leggere questa sua opera precedente (pubblicata nel 2012) dove parla soprattutto di donne e di città.

In dieci frammenti che possono essere letti anche come racconti indipendenti, Cognetti compie una sorta di viaggio-inchiesta su Sofia, una ragazza dal mondo interiore complesso, puntando a lungo i riflettori anche sulla sua famiglia e sulle persone che più hanno contato nei suoi primi trent’anni di vita.

La conosciamo bambina sensibile tra sogni di pirati e marinai, immersa in una fratellanza con i maschi per non seguire le orme e il destino di una mamma prigioniera della depressione. E’ in quella stagione che si fondano tutte le paure e le ansie successive. La vediamo poi adolescente ribelle in guerra con il proprio corpo e in fuga da se stessa, e infine la ritroviamo trasformata in giovane donna con addosso l’aria di essere sopravvissuta ad un naufragio.

Ad un naufragio in effetti si assiste, ed è quello della famiglia tradizionale, fatta di una mamma, un papà, una figlia e di un secondo figlio che non arriverà mail, la carriera e una casetta appena fuori città per fuggire i rumori esterni e i litigi domestici e per cercare una nuova pace, una vita ordinata da regole, preghiere, legami, rispetto delle forme e senso di responsabilità. Da tutto questo fugge Sofia, buttandosi in ogni sua nuova avventura con slancio, senza crederci e senza pensarci troppo.

Nei dieci racconti leggiamo anche altre storie di fuga dalla realtà, come quella di Roberto, il papà di Sofia, ingegnere all’Alfa Romeo, che affoga la propria inquietudine prima nel lavoro, poi in una relazione extra-coniugale che lui trasforma con ingegneristica maniacalità in una sorta di matrimonio parallelo e infine nel distacco e nella tolleranza zen. O come la storia di Rossana, la mamma dalle aspirazioni artistiche interrotte dal matrimonio riparatore e in perenne e inconcludente ricerca di una stanza tutta per sé. O infine come Marta, la sorella di Roberto, una passato da giovane rivoluzionaria per approdare alla mitezza, all’indipendenza e al buonsenso pratico di una vecchia zia. In fondo, anche se in qualche occasione Sofia ci suscita la tentazione di assestarle “quattro sberle benedette”, giusto per rimanere nel campo della finzione letteraria, dobbiamo convenire che il suo modo di indirizzare la propria irrequietezza non è peggiore di tanti altri, solo un po’ più visibile, più aperto e più sincero. Glielo aveva predetto la giovane infermiera, anche lei in fuga da un passato contadino e opprimente, che assistette al suo parto prematuro e che vegliò sulle sue prime notti: “Sofia, sai cos’è la nascita? E’ una nave che parte per la guerra”.

La sequenza dei racconti non rispetta sempre l’ordine cronologico, tra l’uno e l’altro ci sono diversi buchi temporali e le storie, che si sviluppano a Milano, Roma e New York, si fondono e si completano l’una con l’altra attraverso flashback e anticipazioni, diventando un unico romanzo.
La circolarità dell’opera è accentuata dalla scelta di far comparire l’io narrante (Pietro, alter ego di Cognetti e aspirante scrittore) soltanto nell’ultimo racconto, nel quale Pietro incontra Sofia a New York e ne viene tanto colpito da ricevere l’ispirazione per superare il blocco in cui si era arenato e decidere di scriverne la storia, che infatti inizia con la forma del narratore onnisciente.

Ricordati di me, sembra voler dire Sofia a Pietro l’ultima volta che si vedono sul terrazzo di Columbia Street. Sarà difficile dimenticarla.

Che parli di montagna o di città, di uomini o di donne, Cognetti riesce a rendere sempre interessanti i suoi personaggi e gradevole il tempo passato in loro compagnia. L’autore scava con delicatezza e leggerezza nell’emotività delle sue creature e ne estrae piccole gemme che impreziosiscono vicende tutto sommato comuni, riuscendo a superare con naturalezza anche gli snodi più drammatici come la malattia, la morte, l’abbandono, il tentato suicidio.
Il tratto stilistico è intimista e riflessivo, ma colpisce anche l’ambientazione spazio-temporale curata e credibile. Pur non potendone avere esperienza diretta, per ragioni anagrafiche, l’autore riesce a tratteggiare con buona padronanza la Milano degli anni settanta, l’Alfa Romeo, il declino della grande industria manifatturiera, l’estremismo politico, la costruzione dei quartieri residenziali suburbani.
Il racconto finale, Brooklyn Sailor Blues, è molto affascinante proprio dal punto di vista dell’ambientazione. E’ il punto in cui l’autore, che di New York ha scritto anche una guida, si scopre di più e nel quale cerca di dare un senso e un indirizzo a tutti gli altri: un finale che è anche una cornice.

In definitiva, uno scrittore interessante, da seguire nei suoi prossimi lavori.

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Sofia si veste sempre di nero 2017-07-09 22:11:23 Elena72
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Elena72 Opinione inserita da Elena72    10 Luglio, 2017
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la nascita è una nave che parte per la guerra

“Sofia”, disse l'infermiera a voce alta, “lo sai che cos'è la nascita? E' una nave che parte per la guerra” (p.9)

La vita di Sofia Muratore assomiglia proprio ad una guerra, una continua battaglia per la sopravvivenza. Un parto prematuro la pone fin da subito in una situazione di precarietà, in bilico tra la vita e la morte: la piccola viene posta in rianimazione e affidata alle premurose cure di un'ostetrica. Sua madre, Rossana, aspirante artista, non sembra in grado di occuparsi continuativamente della figlia: alterna infatti momenti di euforia a crisi depressive che le impediscono di prendersi cura della bambina. Suo padre, Roberto, ingegnere all'Alfa Romeo, sopravvive ad un matrimonio infelice dapprima buttandosi a capofitto nel lavoro, poi trovando consolazione in un'amante. Roberto, sebbene animato da buone intenzioni, non pare però trovare un canale di comunicazione efficace con la figlia che proverà ad avvicinarsi a lui solo quando sarà troppo tardi. La sola persona che sembra dare conforto a Sofia è la zia Marta, sorella di suo padre: personaggio dalla vita molto alternativa e combattiva, la zia è l'unica che si accorge della sofferenza della nipote e si attiva per supportarla offrendole ospitalità quando Sofia, devastata da una situazione familiare insostenibile, tenta il suicidio inghiottendo psicofarmaci e superalcolici.
Sofia è prima una bambina sensibile, poi un'adolescente fragile: i litigi dei genitori, la malattia psichiatrica di sua madre e la morte di suo padre, la portano a prendere le distanze dalle persone che ama nel tentativo di difendersi dalla sofferenza. Anche dal punto di vista sentimentale, infatti, Sofia non sembra in grado di mantenere legami stabili e non a caso alla fine del romanzo verrà paragonata a Holly Golighly, la famosa protagonista di Colazione da Tiffany, affascinate e sfuggente.

Non so spiegare cosa ci sia nei libri di Cognetti che mi cattura: sicuramente non è la trama, tutto sommato non trovo le sue storie così originali; non posso nemmeno affermare che siano i personaggi a rapirmi, anch'essi sembrano infatti emergere dalla banalità del quotidiano. Credo dunque che a piacermi, di Cognetti, sia il modo di raccontare, semplice e diretto: con poche parole sa dare vita a personaggi molto credibili, autentici.
Questo romanzo è costruito ad episodi: in ogni capitolo, che può essere letto anche come un racconto a sé stante, emerge un personaggio secondario che, temporaneamente, assume il ruolo di protagonista. Storie brevi che formano un quadro unitario, legate da un sottile, ma ben saldo, filo conduttore.

“Sofia si veste sempre di nero” mi ha lasciato una sensazione di tristezza, di malinconia, di sofferenza, ma non di disperazione. La vita è una guerra che ci costringe a combattere ogni giorno la nostra battaglia: a volte perdiamo, a volte riusciamo a conquistarci quel poco che ci basta per essere, come afferma Sofia, felici adesso.

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Sofia si veste sempre di nero 2016-05-23 07:42:51 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    23 Mag, 2016
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Disagio esistenziale



E poi ti imbatti in libri che...non ti aspetti.
Originale la struttura narrativa, bella la prosa, elegante, semplice e mai banale.
Impariamo a conoscere Sofia attraverso una serie di capitoli, che sono quasi dei racconti a sé e che ci parlano di lei in vari momenti della sua vita...non necessariamente in ordine cronologico.
Viene fuori il ritratto di un personaggio femminile tanto complesso quanto bello.
Tutto ha inizio con il suo parto prematuro...e la domanda che si pone il padre di fronte alle sue donne che rischiano la vita..."Quale delle due è colpevole del male dell'altra?"...sarà il filo conduttore di tutta la loro esistenza, l'una infelice e insoddisfatta, l'altra sempre in lotta con se stessa per paura di diventare ciò che non vuole diventare...una donna come sua madre.
Ma ad ogni mini-racconto facciamo la conoscenza anche di chi vive intorno a Sofia:
...suo padre, uomo serio, dedito al lavoro, che esercita la sua paternità delegandola a sua moglie, (tanto che sua figlia in un tema a scuola anziché parlare di lui chiede di poter parlare del proprio cane), e che, a 34 anni, s'innamora di un'altra donna.
Ma la vita poi li riavvicinerà.
....sua madre, donna fragile, alla ricerca di un senso che non riesce a trovare, sempre in balia di un'emotività discontinua ed altalenante che la porterà ad una profonda depressione.
...la zia Marta, sorella del padre, donna impegnata e attiva politicamente, ribelle, coraggiosa, individualista...che ha rischiato molto per difendere le sue idee...e che riesce a trovare e ad aprire una breccia per entrare nel cuore di Sofia.
Sofia che cerca di farla finita a 16 anni, Sofia che trova conforto solo in vasca da bagno, Sofia che diventa attrice forse per vivere vite non sue.
Un libro che parla di disagio, di disagio esistenziale, dell'incapacità di amare, del continuo fuggire da tutto e tutti, ma soprattutto da se stessi.
La storia probabilmente non brilla in originalità, c'è del già visto, già sentito, ma non è detto che per scrivere un buon libro si debba essere originali a tutti i costi e, personalmente, ho trovato l'impianto letterario molto piacevole e la scrittura molto curata.
Cognetti affronta argomenti non facili, e lo fa con garbo ed eleganza.
Un bel romanzo.
Dignitoso.

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Sofia si veste sempre di nero 2013-07-25 03:38:19 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    25 Luglio, 2013
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Evviva i colori, Sofia!

La storia di Sofia, che si veste sempre di nero, viene raccontata in dieci capitoli-racconti, nel corso dei quali cambia anche il registro narrativo (si passa dalla forma impersonale, al tu narrativo, salvo scoprire nell’ultimo capitolo l’identità di Pietro, il narratore).
Sofia nasce in modo piuttosto traumatico, “minuscola e cianotica insieme a un bel po’ di sangue” (Prima luce).
Vive la fanciullezza nella paura che i genitori – Roberto e Rossana - si separino, alleggerita solo in parte dal rapporto con il coetaneo Oscar (Una storia di pirati): “Potranno guardare la loro isoletta senza pensare a questa prima estate, l’età dell’oro della pirateria”. Divorzio, rapimento e tumore sono tre parole incubo nell’infanzia di Sofia.
Dopo un fallito tentativo di suicidio (Due ragazze orizzontali), Sofia instaura un rapporto anticonvenzionale con la zia Marta (Sofia si veste sempre di nero), giornalista ribelle e fuori dagli schemi: “E’ che tu sei comunista dentro. Voi siete come i cattolici, vi fate un culo così perché credete nel futuro. Io voglio essere felice adesso”. In Sofia intanto si radica una certezza: “Io non voglio diventare così”. Così come i genitori.
Il rapporto con il padre (Disegnata dal vento) passa anche attraverso la sua bigamia pluriennale (“Non si sentiva un adultero, piuttosto un uomo devoto a due mogli”): “Un tema in classe dal titolo ‘Parla di tuo padre’. Scrisse che lei suo padre non lo conosceva, perciò non era in grado di svolgere il compito … le sarebbe piaciuto parlare del suo cane …”
L’adolescenza (Quando l’anarchia verrà) passa tra la scuola di cinema (“Sei una bambina ogni volta che rimetti piede in questa casa”) e la malattia del padre, colpito dal cancro: “A sedici anni sei andata via di casa per due motivi: quello ufficiale, per studiare teatro in città; quello reale per stare il più lontano possibile da lei (ndr: la madre)”.
Sofia si trasferisce a Roma (Le attrici), lì convive con altre due aspiranti attrici: la fatale Irene e la materna, protettiva Caterina: “Questa casa è imburrata e infarinata; è imbottita, ovattata, trapuntata, è un nido intessuto di paglia e di piume; è una casa a tenuta stagna, corazzata col piombo e sigillata col silicone”. Dopo la morte del padre, Sofia si guarda allo specchio e si intima: “Piangi”. “Che attrice sei se non sai piangere ogni volta che vuoi?” “Sta lì e si guarda e tutto quello che ha negli occhi è siccità”.
Dopo un flash back sulla figura del padre (Sulla stregoneria: “Roberto, che aveva appena cominciato a morire, si convinse di essere un uomo semplice in mezzo a donne complicate”), è tempo di tratteggiare la figura materna (Le cose da salvare): la scostante, volubile, incompiuta e nevrotica Rossana (“… due colpe: era stata incapace di educare sua figlia, così come di prendersi cura di suo marito”).
Finale tra il metafisico e il bohémien a New York (Brooklyn sailor blues), con avvitamento sulle storie di pirateria infantile.

Il mio giudizio su quest’opera, selezionata sino alla fase semifinale del Premio Strega 2013? Un libro che scava nel disagio esistenziale e lo riconduce ai rapporti familiari, un lavoro certamente non facile. E allora formulo la mia opinione saccheggiando le parole che l’autore mette in bocca al narratore Pietro, quando nell’ultimo capitolo giudica il film del balcanico Iuri: “… molte immagini erano belle: anzi … vere … ma stavano … come un mucchio di fotografie in una scatola: potevi fermarti a guardarne una e ignorare le altre, o sparpagliarle per terra inventando una trama tua …” “E’ un lavoro pieno di idee … Di gusto estetico, di pensiero. E soprattutto di vita. Ma non va da nessuna parte. E questa cosa all’inizio ti affascina, poi ti disturba, alla fine ti annoia e ti fa incazzare.” Al punto che io, Bruno Elpis, se avessi potuto, avrei affrontato Sofia a muso duro, le avrei chiesto di cambiarsi l’abito nero e di indossarne uno variopinto. Magari a fiori, anche fuori moda, purché colorato vivaddio!

Bruno Elpis

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Sofia si veste sempre di nero 2013-06-02 13:29:57 LuigiDeRosa
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LuigiDeRosa Opinione inserita da LuigiDeRosa    02 Giugno, 2013
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Ho scelto la via peggiore, o la più facile?

Dopo l'ennesimo litigio dei genitori, la piccola Sofia Muratore corre nella sua cameretta al secondo piano di una villetta nel quartiere residenziale detto "Lagobello",fuori Milano.
S'inginocchia e prega , anche se da qualche tempo ha perso fiducia in questi rituali; da quando il cancro si è portato via la mamma di Oscar il suo compagno di giochi : servono veramente le preghiere? Mentre recita il "Padre Nostro" ha un lapsus freudiano, dice - rimettiamo ai nostri "genitori" - anzichè debitori. In effetti il romanzo che firma Paolo Cognetti è una lunga riflessione su quell'imprinting iniziale che subiamo dai genitori durante l'infanzia che condizionerà tutto il resto della nostra vita. Roberto Muratore è un ingegnere dell'Alfa Romeo tutto preso dal suo lavoro, mentre Rossana è una casalinga sull'orlo di una crisi di nervi; si sono sposati con un matrimonio riparatore, sono decisamente una coppia male assortita e Sofia , la loro unica figlia, è presa in mezzo a questa battaglia che non sembra trovare soluzioni.Percorriamo nei dieci racconti che compongono questo romanzo trent'anni di vita di Sofia quelli che dall'infanzia la traghettano nell'età adulta. La lasciamo che gioca ai pirati con Oscar e insieme i due ragazzini in quel mondo immaginario tentano di esorcizzare i loro dolori, ma invano perchè qualche capitolo dopo la nostra eroina la ritroviamo in ospedale in compagnia di una nuova amica: tutte e due hanno tentato il suicidio.
Qualche anno dopo Sofia è a New York sogna di fare l'attrice e per mantenersi come molti studenti lavora come cameriera nei pub. Alle spalle si è lasciata ancora una volta relazioni sentimentali fallite, la madre eternamente esaurita ,mentre il padre è morto di cancro e la sorella di quest'ultimo ,zia Marta è l'unica che sembra averla capita ed essere riuscita a tirarsi fuori dalla depressione, insegnandole a cercare un senso per la propria vita. Nella Grande Mela, Sofia conoscerà Pietro e Juri due studenti italiani. Juri è a New York per girare un film è dopo alcuni casting sceglierà proprio Sofia per interpretare Laila, la protagonista del suo film, mentre Pietro coglierà l'occasione di questa nuova amicizia per dare inizio al suo romanzo che parlerà proprio di lei. Un romanzo quello di Cognetti che ci consegna un ritratto di donna che è figlia delle non-famiglie della società contemporanea. Sofia mi ricorda questa poesia di Raimond Carver :
Stamattina mi sono svegliato con la pioggia
che batteva sui vetri. E ho capito
che da molto tempo ormai,
posto davanti a un bivio,
ho scelto la via peggiore. Oppure,
semplicemente, la più facile.
Rispetto a quella virtuosa. O alla più ardua.
Questi pensieri mi vengono
quando sono giorni che sto da solo.
Come adesso. Ore passate
in compagnia del fesso che non sono altro.
Ore e ore
che somigliano tanto a una stanza angusta.
Con appena una striscia di moquette su cui camminare.
Sofia di fronte alla possibilità di crearsela una famiglia, una relazione stabile, ad un certo punto apre la porta e va via, senza salutare: quando giunge ad un bivio, sceglie la via più facile. Forse i figli e le figlie delle non famiglie di oggi consumano nelle loro inquietudini proprio questo fallimento che hanno ereditato dai propri genitori e essi stessi scoprono ,amaramente, di non avere debiti di riconoscenza nei loro riguardi, perchè certi genitori ,sempre più spesso, passano la vita ad odiarsi.
di Luigi De Rosa

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Sofia si veste sempre di nero 2012-12-18 18:48:03 gracy
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gracy Opinione inserita da gracy    18 Dicembre, 2012
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“Io voglio essere felice adesso.”

Sofia si veste sempre di nero perché il nero le sta a pennello, è il colore della contestazione, dell’anarchia e anche dell’amore contrastato. E’ cresciuta nella bambagia e poi si ritrova ad amare il padre, ma prima aveva amato la madre, dopo ama la zia, dopo ha amato la sua vita fino esortarne la fine, poi ama il teatro, poi la cucina, poi ama qualcuno, poi sparisce come ingoiata dal mare, rapita dai pirati o ingoiata dai fantasmi. Il nero come le foto in bianco e nero ingiallite dal tempo e come la sofferenza.

“L’amore è la zona di autonomia più temporanea che ci sia.”

“L’amore è nella pancia, l’amore è un cane cieco che ti manca da quando sei andata via di casa.”

“Non gli venne mai in mente la possibilità opposta, cioè che avere due donne fosse come non averne neanche una.”

Bella prova di scrittura, le parole sembrano danzare tra le pagine, poco meno di duecento, le storie si susseguono brevemente eppure raggruppano tanti pensieri, tante situazioni che si aggregano nella mente del lettore, tanti frammenti che ricompongono quarant’anni di storia d’Italia e degli italiani, e tanti episodi che raccontano di Sofia e delle donne che le appartengono per tanti motivi, gli uomini sono satelliti e lei si muove con modi dolorosi e sicuri, con inquietudine e bellezza, portando dentro tutto un mondo femminile così ricco di attimi di rara felicità e di ricerca, dove nascere è come una nave che parte per la guerra e il senso della vita non sta nelle cose che fai, ma negli esseri umani che incontri.
Un libro di straordinaria forza emotiva e grande capacità descrittiva, mi sono ritrovata a Roma , Milano e New York come guardando un film da premio e ringrazio un caro amico per questo viaggio magnifico e indimenticabile.

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