Sesso e apocalisse a Istanbul
Letteratura italiana
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La vita tra eros e thanatos
Giuseppe Conte è nato ad Imperia, ha pubblicato saggi, libri di viaggio come Terre del mito, raccolte di poesia, e romanzi da Primavera incendiata a Fedeli d’amore, dal Terzo ufficiale a La casa delle onde sino a Il male veniva dal mare. Ora pubblica Sesso e apocalisse a Istanbul: un libro di strettissima attualità, denso e profondo, dove il sesso e l’apocalisse sono due facce della medesima medaglia. C’è sesso: tanto, praticato, immaginato, esaltato dalla letteratura. E c’è l’apocalisse, sia nel suo significato etimologico di “rivelazione” che in quello più comune di catastrofe. Rivelazione del vero Io dei protagonisti del romanzo, delle storie che si inseriscono nella Storia. E catastrofe perché quello che doveva essere un ardente fine settimana a Istanbul, si trasforma in una vera e propria tragedia. Del resto si legge che:
“La vita chiedeva di essere vissuta, che rivendicava i suoi diritti elementari, anche tra le macerie del XIX secolo.”
Giona Castelli, ex libraio genovese, è costretto a chiudere la sua attività come diretta conseguenza delle tante crisi economiche che attanagliano il nostro Paese, il 10 maggio 2015, e venti giorni dopo accetta passivamente l’invito a passare un lungo fine settimana a Istanbul. Chi l’invita e lo ospita è Veronica Solari, detta Vero, con la quale ha da tempo una bollente relazione clandestina. Vero è una donna intrigante, più grande di lui, stravagante, ricchissima, sempre barcollante su tacchi 15, disinibita, sensuale, e con un immaginario erotico fantasioso e scatenato che lo ha irrimediabilmente sedotto. E’ una donna predatrice, una compulsiva lettrice, sposata da anni- il figlio ormai adulto vive e studia negli Stati Uniti- con un uomo politico, un senatore, che nella sua carriera è sempre rimasto sulla cresta dell’onda, arrampicandosi sugli specchi, ma anche in virtù del grande patrimonio della moglie, erede di una dinastia di armatori, che ora incomincia ad avere qualche vicissitudine giudiziaria. Così Vero si lascia trascinare con Giona in un ambiguo progetto di sesso e di trasgressione, anche se lui, raffinato intellettuale cerca ancora di allargare le sue conoscenze in fatto di esseri umani, e nelle poche ore precedenti l’arrivo dell’amante incontra, in una goliardica rimpatriata maschile, l’amico scrittore Ilhan Durcan e il traduttore arabo di Henry Miller, Khaled Nejim. La chiusura della serata prevede un incontro con delle prostitute per divertirsi un po’. Incontra anche Giuseppe Maria Rizzi, detto Ritz, da sempre gay convinto, suo caro amico d’infanzia, ora direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, che a sua volta ha una relazione clandestina e proibita con un prete cristiano a Istanbul. Non può certo immaginare che dalla sua brava nottata prende avvio una complicata vicenda che porterà ad una serie di spaventosi delitti. L’incubo è appena all’inizio e getta un velo nero sulle esistenze di tutti i protagonisti.
Il libro, soprattutto nel finale, ha pagine violente, espressione di una attualità in cui il sesso e la morte hanno un connubio indissolubile; un testo difficile, con particolari descrizioni sordide e crudeli.
Ma la vicenda narrata è anche una storia di amore e di passione per i libri e la lettura. Troviamo, infatti, citazioni da Houellebecq, da Dan Brown, di poeti, il riferimento agli e.book, di cui si riconosce l’indubbia utilità, ma di cui si critica la sua intima freddezza. Colpisce la passione di Giona per la lettua, così espressa:
“la sua passione aveva abbracciato tutto quello che appariva su un bancone di libreria, indipendentemente. Purchè ci fosse una copertina, una costola, una quarta di copertina, e in mezzo tante pagine.”.
E’ anche un ritratto preciso e profondo della società attuale: l’ansia per il futuro, visto irto di ostacoli, al punto che:
“Il crollo delle Torri Gemelle è niente, quando vengono abbattute le tue Torri Gemelle personali, e ti trovi in mano calcinacci e cenere della tua vita.”
E’ pure un inno all’amore puro, senza costrizioni, senza catene, pura espressione di sentimento, e pura libertà. Scritto con una prosa vivace, frizzante, che non si perde in inutili disquisizioni, ma è un racconto libero e raffinato. Forse un po’ troppo sesso, che non scade mai nella volgarità o nel triviale, ma è fine a se stesso, un innalzarsi al di sopra della quotidianità povera e limitata, la cui funzione è molto ben determinata da queste parole:
“il loro universo comune era l’eros. La passione senza freni, ma anche senza legami, senza radici, senza terra, senza una sostanza che non fosse quella stessa del loro piacere. Lì Vero apriva, aprendo il suo corpo, le pieghe più segrete, buie, disperate della sua anima. Giona Castelli viveva tutte le emozioni esercitando su di esse il controllo della ragione, almeno sinchè era possibile. Vero no. I suoi slanci erano feroci, senza limiti.".