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Sembrava bellezza Sembrava bellezza

Sembrava bellezza

Letteratura italiana

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Ad accoglierci tra le pagine di questo romanzo è una donna, una scrittrice, che dopo essersi sentita ai margini per molti anni ha finalmente conosciuto il successo. Vive un tempo ruggente di riscatto, che cerca di tenersi stretto ma ogni giorno le sfugge un po' di più. Proprio come la figlia, che rifiuta di parlarle e si è trasferita lontano. Combattuta tra risentimento e sgomento per il tempo che si consuma la coglie Federica, la più cara amica del liceo, quando dopo trent'anni torna a cercarla. E riporta nel suo presente anche la sorella maggiore Livia – dea di bellezza sovrannaturale, modello irraggiungibile ai loro occhi di sedicenni sgraziate –, che in seguito a un incidente è rimasta prigioniera nella mente di un'eterna ragazza. Come accadeva da adolescenti, i pensieri tornano a specchiarsi, a respingersi e mescolarsi. La protagonista perlustra il passato alla ricerca di una verità, su se stessa e su Livia, e intanto cerca di riafferrare il bandolo della propria esistenza ammaccata: il lavoro, gli amori. Livia era e resta un mistero insondabile: miracolo di bellezza preservata nell'inconsapevolezza? O fenomeno da baraccone? Avvolti nelle spire di un'affabulazione ammaliante, seguiamo la protagonista in un viaggio che è insieme privato e generazionale, interiore e concreto. E mentre lei aspira a fermare l'attimo per non perdere la gloria, la sorte di Livia è lì a ricordare cosa può succedere se la giovinezza si cristallizza in un presente immobile: una diciottenne nel corpo di una cinquantenne, una farfalla incastrata nell'ambra.



Recensione della Redazione QLibri

 
Sembrava bellezza 2021-01-30 11:09:56 silvia71
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    30 Gennaio, 2021
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Il lato oscuro della bellezza

Tre donne le cui vite si sono intrecciate in maniera indissolubile durante l'adolescenza.
Un periodo della vita che ha posto un marchio su ciascuna, destinato a imprimersi nel corpo, nell'animo e a comandarne per sempre le esistenze.
Livia, una ragazza talmente bella esteticamente da fermare lo sguardo a quello splendido guscio che la racchiude; nessuno capace di coglierne i lati oscuri che ne lordano il cuore, nessuno pronto ad allungare una mano per salvarla. Nessuno capace di oltrepassare il muro della bellezza.
Federica, una sorella vittima di un contesto familiare, divisa tra spirito di rivalsa, necessità di attenzioni o semplice desiderio di evasione.
E poi, lei, la voce narrante, la scrittrice in prima persona: prima un'adolescente minata da complessi fisici e contrasti familiari, corrosa dalla ricerca dell'accettazione da parte del prossimo, poi una donna che non ha ancora appianato i conti col passato, che lotta ancora oggi come ieri per trovare un punto di equilibrio con gli altri e con se stessa.

Numerose, importanti e dolorose, le tematiche che trovano linfa da questo flusso narrativo a briglia sciolta, un viaggio introspettivo su due piani temporali, una lenta e tagliente presa di coscienza giunta alle soglie dei cinquant'anni.
Il tempo presente come frutto maturato dalle scelte del passato, un frutto irto di spine che non si possono più estirpare ma con cui bisogna convivere.

E' un'analisi impietosa e senza i veli del perbenismo quella proposta dall'autrice, una voce graffiante che tenta di espellere anni di rancori, di desolazione, di mancanze, di lacerazioni, per portare alla luce quella adolescente sepolta da strati di infinita incomprensione e inadeguatezza.
Una scrittura a scatti che non presta il fianco al fronzolo narrativo, che rispecchia la durezza dei pensieri e delle immagini che emergono dall'oscurità.
Una storia che grida voglia di liberazione ma con la lucida consapevolezza che la strada richiede un lungo e tortuoso percorso.

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Sembrava bellezza 2022-05-06 07:46:23 Madame Rose
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Madame Rose Opinione inserita da Madame Rose    06 Mag, 2022
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Bellezza mancata

Dopo aver letto 'La più amata' e 'Matrigna' ho ritrovato con entusiasmo la scrittura intensa e fulminante di Teresa Ciabatti.

È la scrittura dei sentimenti non corrisposti, quella feroce, un flusso di coscienza che ha in sé l' intenzione di rivelare e non nascondere. Frasi spezzate e sincopate, sottolineano una scrittura emotiva, che corre dietro ai pensieri del momento presente, ma ancorati ad un passato lontano. Sono passati trent'anni, ma i demoni della protagonista sono ancora lì, a tormentarla: quella"mancata bellezza" è il suo dolore di giovinezza da cui non è mai guarita. Lei è la voce narrante (alter ego dell'autrice), ma inattendibile: ha raggiunto il successo come scrittrice, ma afferma di tradire il marito per colpa della sua adolescenza. Il suo raccontarsi è a tratti adolescenziale: spiazza il lettore, poiché ferma ad un'età sorpassata, che stride con il suo presente di donna, affermata.

È un condensato di inadeguatezza: il sentirsi persa, messa ai margini, distante dal modello di Livia la cui bellezza creava invidia e sofferenza nella protagonista e nella sorella Federica, a distanza di tempo, la percezione cambia. La vita di Livia,non così perfetta, come dimostra il suo gesto, è 'ricalcolata' e la sua diventa una bellezza 'apparente' agli occhi delle due donne.

Il ritrovarsi dopo anni porta, alle tre protagoniste, Federica, Livia e la narratrice a scoperchiare una scatola chiusa, a mettersi in discussione, a ripensarsi, a percepire la realtà da un'altra prospettiva, a riconoscersi per quello che sono state e sono diventate e infine a perdonarsi.

Nella lettura si incontrano i pezzi della propria adolescenza: si ritorna indietro, trasportati dal flusso narrativo tempestoso, divorando il libro in poche ore.

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Sembrava bellezza 2021-12-12 15:01:03 68
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68 Opinione inserita da 68    12 Dicembre, 2021
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La propria storia

Una scrittrice cinquantenne finalmente arrivata scava dentro il proprio passato per mostrare una plausibile verità che possa restituirle un senso di appagamento e d’ identità, da sempre negato, facendo chiarezza su un tragico incidente che continua a ripercuotersi dopo trent’anni.
Che cosa si nasconde oltre questa dettagliata e nebulosa ricostruzione dei fatti, l’ espiazione di una colpa, un thriller psicologico, le farneticazioni di una donna abituata a inventare storie, la traccia di un romanzo, una terribile verità, e chi è il colpevole, la vittima supposta, la famiglia con i propri segreti, la scrittrice stessa, talmente imbevuta di se’ e della propria adolescenziale inadeguatezza, rifiutata dagli altri, adirata per quello che da adolescente non è mai stata e neppure da figlia, da moglie e soprattutto da madre.
L’esito e’ un flusso narrativo stratificato, fluttuante, una miscela esplosiva di finzione e realtà, salute e malattia, psicologia e clinica, vasi comunicanti che paiono non comunicare, ribaltamenti di interpretazione e di ruoli, tutti possibili, una sequenzialita’ a singhiozzo che afferma e nega ogni volta, per aggiungere un pezzo di storia, aprire frontiere, ritrattare un’ evidenza supposta.
La trama è costruita attorno a un fatto di cronaca molto vicino alla protagonista, improvviso, cruento, insondabile che compie trent’anni , la caduta accidentale, forse no, di una bellissima sedicenne, Livia, dal terrazzo di casa, un incidente che porterà per sempre gli esiti di quel salto nel vuoto, un trauma fisico e soprattutto neurologico.
Livia rimarrà se’ stessa, per sempre, una cinquantenne nella mente di una bambina, circondata da un microcosmo famigliare che vorrebbe la verità e un risarcimento, una sorella ( Federica ) via via più lontana, che si è costruita una vita altrove, l’ amica della sorella ( la scrittrice stessa ) che si occuperà di lei ricercando un senso in tutto quello che sta facendo .
Che cosa oltre i fatti, se non un profondo senso di inadeguatezza, protrattosi per una vita intera, fino a un ribaltamento di ruoli con il raggiungimento della fama agognata.
Personalmente ho trovato la lettura piuttosto faticosa, non per l’assenza di stile, il romanzo è ben scritto, ma per un certo caos imputabile a una mancanza di uniformità di contenuto. Quale confine tra reale e immaginario, verità e menzogna, o un’ unica protagonista che si serve di altro per raccontare il proprio senso di inadeguatezza, soprattutto come madre, che ha origini lontane?
Quali i contorni e l’essenza del testo, personaggi percepiti come tali, capovolti secondo la propria versione dei fatti, tutto e il contrario di tutto, e che cosa si cela dentro la narrazione, un thriller psicologico, un racconto prettamente autobiografico, una trama tutto sommato lineare, una semplice analisi intrafamigliare di una vita si’ unica ma in fondo come tante?
La confusione regna sovrana, tra detto e negato, conferme e smentite, una suspance solo accennata con continui rimandi a tratti di psicoanalisi piuttosto scontata.
La semplicità del costrutto apre a ipotesi eterogenee su quello che è stato, o potrebbe essere stato, ma il cuore del racconto è altrove, in quell’ interminabile monologo autobiografico, intriso di assoluzione e colpa che sfocia in una confusione a cui il lettore non può sottrarsi.
E allora chi è realmente la protagonista accompagnata dalla sua voce difforme, che cosa ha fatto e desiderato, andarsene, rimanere, odiare, amare, è cinica, egoista, amorevole, altruista, buona, cattiva, vittima, carnefice, donna, bambina?
Alla fine un’ assoluzione narrativa pare accoglierla, inseguendo la grandezza di un amore più grande, la soddisfazione e il plauso del lettore invece un’ ipotesi piuttosto lontana.

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Sembrava bellezza 2021-06-27 11:04:44 Con.i.libri.si.vola
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Con.i.libri.si.vola Opinione inserita da Con.i.libri.si.vola    27 Giugno, 2021
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ripercorrere la propria adolescenza

Con "Sembrava bellezza" l'autrice è riuscita nel suo intento.

La storia è tutta al femminile, il ritrovarsi dopo trent'anni con le amiche dell'adolescenza e scoprire che per una di loro il tempo, acerrimo nemico, sembra non essere trascorso, porterà la protagonista a ripercorrere la sua difficile adolescenza. Essa ha lasciato segni indelebili su di lei, il tempo continua inesorabile a sfuggirle e con esso le persone che vorrebbe tenere legate a sé.

I personaggi mi sono sembrati fastidiosi, non sono riuscita ad entrare in empatia con quasi nessuno di loro, forse solo un pizzico di pietà alla fine della storia, niente di più.

Un flusso di coscienza con un pizzico di giallo che non dispiace, una scrittura senza filtri né orpelli, uno stile affilato, amaro, con frasi brevi e prive di congiunzioni, sembra che la protagonista ci stia facendo quasi un favore a raccontarci la sua vita eppure…

...eppure è stata capace di catturarmi e non ho pensato neanche un momento di abbandonare la lettura. 

Senza dubbio un libro che si distingue, una scrittura creativa che consiglio a chi è alla ricerca di esperimenti letterari e di storie di vita assolutamente imperfette.

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altri libri dell'autrice
A chi ama uno stile tagliente e diverso dal solito
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Sembrava bellezza 2021-05-16 19:42:36 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    16 Mag, 2021
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In bella calligrafia

Questo di Teresa Ciabatti non è un romanzo, è una resa dei conti, una storia situata nel mezzo del cammin di nostra vita di una donna come un’altra, una protagonista intenta per una coincidenza, un ritrovarsi con l’amica Federica a distanza di anni dalla loro comune gioventù, a dover riconsiderare i tempi della sua vita quando le sembravano tutte belle tante cose, ma solo quelle riferite alle altre ragazze, come spesso succede a quell’età.
Perché lei si sentiva inadeguata, e questa sua inidoneità di donna le è rimasta addosso, malgrado sia oramai una scrittrice affermata, che nega di esserlo ma è fiera e tronfia di sé, che pare qui rivolgersi direttamente ai suoi lettori, quasi cercandone l’assoluzione.
Come dire, quasi che Teresa Ciabatti ci narri la sua storia all’interno di una sua storia, un’immagine riflessa in uno specchio che ripete un’immagine riflessa in uno specchio e via così.
Riportando cose belle e meno belle:
“Ognuno individua dolore e gioia dove non li individuano gli altri.”
A volte non distinguiamo chiaramente i piani narrativi, se è la protagonista a parlare o direttamente l’autrice per suo tramite, fatto sta che della sua persona era convinta di non possedere alcunché che destasse un minimo di interesse in chicchessia, figuriamoci di bello.
Si riteneva scialba, brutta, deforme, di discendenza malata e violenta, non meritevole di nessun segno di attenzione, e di affetto, interesse e considerazione sentimentale manco a parlarne.
Nulla di nuovo sotto il sole, si potrebbe pensare, dopotutto è lo stato d’animo comune di tante adolescenti, un pegno da pagare a causa degli usuali turbamenti emotivi dell’età, del tutto normali per chiunque tranne che per le dirette interessate; ma tant’è, la protagonista di tale assioma ne ha fatto un caposaldo, vorrebbe essere tutt’altro e tutt’altra, magari una ragazzina rapita e nascosta da qualcuno sottoterra, con tutti a cercarla freneticamente per dipanare il mistero della sua scomparsa, come accaduto per davvero per un’altra ragazzina sua coetanea protagonista suo malgrado delle cronache nere dell’epoca.
Insomma, un resoconto: un racconto intenso di fragilità, debolezze, scarsa considerazione di sé, compromessi, rinunce, dolori, paure.
Ma appunto un resoconto, un elenco e non una resa: non una capitolazione, una rinuncia alla propria identità femminile.
Gli anni passano, e il tempo fa giustizia, o almeno dovrebbe.
Tutto quanto le era apparso bello un tempo, ora però da donna adulta ha motivo di riconsiderarlo nel suo evolversi e perciò nella sua interezza, e questo la riconduce, in sintesi, ad un’unica essenza concreta, quella che è, non quella che sembra, bella o brutta che sia, semplicemente la sua.
Una realtà la sua che è, non che sembra, quella di non essersi mai pienamente accettata, proprio perché fermatasi alle apparenze, giunta tardi alla maturità decisionale di sentirsi realizzata, compiuta per quello che è, che ha fatto, le scelte che ha intrapreso, le sole cose che rivestono un valore concreto, qualunque possa essere la loro valenza o il segno di saldo.
Semplicemente questa è la verità, una amica intima della sua gioventù gliela rimanda come uno specchio, la costringe a non insistere a negarsi, a negare la propria identità confondendosi ancora con quanto desiderava essere, o che riteneva idoneo a valorizzarla come persona.
Lo fa portando con sé la sorella, come esempio vivente, la prova provata.
La sorella di Federica, Livia, che un tempo era per lei, per la sorella e per tutto il codazzo delle amiche, quasi le dame di corte, il soggetto guida di come bisogna essere, il mito da ammirare, e allo stesso tempo la cima irraggiungibile a cui mai e poi avrebbero potuto ambire, non avendone i mezzi estetici, l’etica era ancora una nebulosa lontana per i loro orizzonti.
Senza poter comprendere, non possedendo i giusti strumenti di valutazione, che non è tutto oro quello che luccica, che la luce sfavillante è tale perché le ombre le sono situate dietro, e non è detto che posseggano tonalità lievi, le nuvole non sono solo bianche o grigie, possono essere nere.
Livia lo riconferma, a distanza di anni, ripresentatasi com’è ora, a causa di un disgraziato incidente, bellissima come allora ma ora cristallizzata, una farfalla stupenda ma intrappolata per sempre nel bozzolo di crisalide, una bellezza con la mente di una giovanissima.
Con le ali danneggiate, senza che nessuno ne fosse consapevole.
Come a dire appunto, sembrava bellezza, non lo era e non lo è. E si soffre per lei, e per noi in lei:
“…Esiste un momento nella perdita di una persona amata in cui si piange se stessi. Per noi perduti con lei.”
La giovinezza è un’epoca delicata e deliziosa, e però vi abbondano i cristalli, su cui puoi vederti distorta, addirittura ferirti, occorrono mani forti e gentili che ti educhino e ti spieghino che proprio per questi frammenti cristallini la tua immagine ti appare dispersa, poi crescendo il quadro si ricomporrà con esattezza, con armonia e simmetria, ricostruendo fedelmente una ed una sola figura, la tua, bellissima perché unica, anche senza capelli biondi e occhi azzurri, anche con distonie o sproporzioni, per esempio un seno più piccolo dell’altro, anzi, forse proprio quel particolare, quel tratto ti conferisce un valore inimitabile.
Le esteriorità, le apparenze sono superfici che lasciano il tempo che trovano, sono solide e non ti permettono di andare oltre, rimandano i riflessi ma non godono di luce propria, le parvenze, le sembianze, i bei capelli e le gambe lunghe sono arie, sono aspetti, sono in fondo solo spirito, semplice apparenza, sembrava bellezza e non lo è.
E se lo è, ha un prezzo spaventoso, esorbitante, fuori mercato, nessuno sano di mente farebbe a cambio. Il tutto scritto a scatti, con frasi, righe, periodi che sono graffi, l’autrice non le manda a dire, è il suo stile, forse scaltramente freddo, ma abile, disincantato, anche rude, e però efficace ed esaustivo. Questo bel romanzo, ben scritto e che merita più di una lettura, delineato in prima persona, più un narrato di pensieri che si fanno voce anziché dialoghi, altro non è quindi che un resoconto preciso di una donna che sa scrivere di donne, in qualsiasi ruolo le connota, per prima in quello di madre, poi di figlia adolescente, quella che si è stati e quella messa al mondo e che si ha per figlia. Esattamente come sono e cosa ha significato per loro esserlo.
Prosegue il narrato con altre figure tutte al femminile, tutto il libro è vergato al femminile plurale, seguono altri volti oltre quelli dell’ amica d’infanzia e della sorella dell’amica, che di quell’infanzia e di quella gioventù era il mito da seguire ed ammirare.
Sopra le altre, la donna che narra e si racconta, una donna arrivata, finalmente, all’optimum della sua generazione e nel suo lavoro, tanto crudele quanto creativo, quello di scrittrice, e quindi di inventore di storie belle. Necessariamente belle, perché siano lette in modo da ammaliare il lettore: già questo rappresenta il paradosso cardine del romanzo, non è bello in realtà quanto si pensa sia bello, il bello appare tale solo a chi piace, non a chi se lo fa piacere.
Ed ancora, la Ciabatti ci offre altre linee, altre silhouette, altre figure sbiadite di donne, e donne lontane dai miti della bellezza perché anziane, nonne, bisnonne, dotate di una certa ruvidità e violenza nel porgersi, vittime a loro volta di pari violenza e durezza, niente adorabili vecchiette dai capelli candidi, e che però sanno farsi valere, e seguitare a vivere malgrado orrori portategli addirittura da consanguinei, in questo sta la loro perenne bellezza, quella vera.
Tanto sono donne toste per quanto anziane che nemmeno necessitano di badanti, anzi spesso è una giovane a fungere da badante, lo è Federica per esempio, condannatasi in quel ruolo da un legame di parentela pesante come una catena, dissimulato per apparente convenienza da presunto amore fraterno. Perché in fin dei conti questo è libro di emozioni, sensazioni tumultuose che si rincorrono su vari piani non solo temporali, sono le esperienze del crescere in comune, è un romanzo sull’impietoso trascorrere del tempo, che si ripercuote sulle varie forme che assume l’universo femminile, madri, figlie, amiche, professioniste affermatesi con un gran senso di rivalsa, fallite negli affetti e con figlie adolescenti con cui si fatica a relazionarsi, e poi tutto l’intreccio del vissuto che intercorrono tra le stesse, che poi è un mutuo soccorso a riconsiderare se stesse nei diversi ruoli.
Un romanzo ricchissimo e potente, un’elegia della bellezza femminile, ma di quella vera, il brogliaccio dell’intimo femminile che anche se non vergato in bella calligrafia, soprattutto allora, con cancellature, sovrascritture, annotazioni ai margini, appare per quello che è, una vera bellezza.
Che non sembra, è.

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Teresa Ciabatti
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Sembrava bellezza 2021-05-13 13:35:29 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    13 Mag, 2021
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"E siamo noi"

"Questa è la storia di Livia, di Emanuela (Orlandi), di tutte le ragazze cadute nella botola."
...di ragazze che non tornano, che si perdono, ognuna a modo suo.

La Ciabatti è così... prendere o lasciare.
È spudoratamente antipatica, anaffettiva, egoista, mitomane, manipolatrice e dichiaratamente bugiarda.
Ma io la adoro.
Mi piace proprio perché non si nasconde, non cerca di apparire migliore di quel che è... e perché è capace di vergognarsi.
Dopotutto bisogna avere molto coraggio per ammettere di essere vigliacchi!

La sua scrittura è schietta, scarna, veloce, a volte caotica, ma capace, a suon di graffi, di farti arrivare nel profondo, di farti sentire il bruciore della pelle graffiata.
Io con lei mi sento sprofondare nelle umane debolezze, nelle fragilità, nell'irrisolto che, in un modo o nell'altro, appartiene a tutti.
"E siamo noi".
Solo che noi tentiamo in tutti i modi di nasconderlo, lei lo scrive.
Lei è la dimostrazione di come ognuno di noi riesca a contenere in sé tante cose disarmoniche. Spaiate. Asimmetriche. (Come i seni della protagonista).

In questo libro c'è tutto.
Confessione, voglia di rivalsa, grido di rabbia soffocata, dolore, ma anche tenerezza, pietas.
C'è la crescita di una ragazzina, attraverso la non accettazione del proprio corpo, attraverso le differenze sociali, l'esclusione, il non appartenere a certi ambienti e soprattutto a certi canoni di bellezza fisica.
Lei, la deforme.
Lei, che voleva gli occhi blu.
Lei, che sognava di sprofondare nel camerino del negozio, di cadere nella botola, essere rapita, rinchiusa, solo per poter essere notata. Sentirsi importante.

C'è l'amicizia.
Un'amicizia femminile fatta di condivisione, di giornate intere sul tappeto azzurro passate a sentirsi ai margini, troppo grasse, troppo vergini... ma anche di gelosie, di invidie, di troppe cose taciute.

C'è il tempo che passa, l'apice del successo (che non dura per sempre), i fallimenti di moglie (fedifraga) e soprattutto di madre (snaturata).
C'è la menopausa che di colpo la catapulta al di là del muro, c'è l'espiazione, il senso di colpa, la voglia di riparazione, o semplicemente il desiderio di perdonarsi.
Con il passare degli anni la bellezza come strumento di prevaricazione non esiste più, il tempo livella tutto.
Vecchiaia democratica.

C'è il danno, la "sopravvivenza" che passa attraverso la disabilità e la malattia.
Passare dall'essere oggetto del desiderio di tutti al rimanere prigioniera nella testa di eterna ragazza, regredita in un mondo fatto di volteggi su se stessa, di palloncini che volano e primi amori cristallizzati nel tempo.

Un romanzo che fonde autobiografia e fiction. Non sapremo mai qual è il confine, e forse il bello è anche questo. Lo è per me, almeno.
Un romanzo pieno di donne.
Donne che sono figlie, sorelle, madri, amiche, nemiche, amanti... donne che si sentono inadeguate, che sbagliano, che si perdono, che si ritrovano, che si perdonano.
"E siamo noi".

Trascinante.

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Sembrava bellezza 2021-04-02 10:53:10 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    02 Aprile, 2021
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Livia, Federcia, io scrittrice

«Funziona in modo differente per ciascuno di noi in base al percepito, e anche alle caratteristiche fisiche. La stessa esperienza ha tante versioni quante le persone che l’hanno vissuta.»

Tre le figure femminili che si intrecciano in quest’ultima fatica a firma Teresa Ciabatti. Il loro è un legame che nasce e si sviluppa in modo indissolubile in quelli che sono gli anni formativi dell’adolescenza e che le portano a vivere anche gli anni successivi in modo diverso, sempre legate dal legame, sempre legate da quel che accade.
Conosciamo Livia, colei che è la bella, colei che è – passatemi il gioco di parole – la più amata e – anche – la più desiderata. Ella nasconde un’ombra negli occhi e nell’anima, un buio che nessuno riesce a percepire ma che è parte di lei. Anche quando il peggio e il più impensato accade, anche quando il peggio e il più impensabile delinea e segna per sempre quello che sarà il suo divenire.
Abbiamo ancora Federica, che sogna il suo riscatto, che cerca la sua via di fuga, che cerca il suo posto nel mondo, che cerca. Semplicemente cerca.
E infine abbiamo la voce narrante, la scrittrice. Colei che cerca a sua volta di essere accettata per quel che è e che nel crescere diventa una figura con tanti scheletri nell’armadio, tanti fantasmi che non le consentono di far pace con quel che è stato.
Tre donne, tre realtà, tre voci, un avvenimento principale che colpisce direttamente Livia, per effetto, anche loro, per effetto le famiglie al loro interno. Perché Livia, la più amata, la più desiderata, la più invidiata, la più sparlata, è anche colei che a quell’adolescenza resterà sempre rilegata sia che vesta i panni della zia che non.
Una narrazione che si ricostruisce nel tempo alternando fasi temporali che oscillano tra presente e passato è “Sembrava bellezza” di Teresa Ciabatti. Uno scritto che non teme di rivelarsi per quello che è un viaggio introspettivo e prima ancora una ricerca di catarsi, di assoluzione. Per il dolore, per la rabbia, per la frustrazione, per tutti quei sentimenti contrastanti che chiedono di uscire, che faticano a coabitare tra loro, che chiedono di essere espiati.
Fulcro dell’opera è ancora quella costante ricerca di bellezza, concentrata nella figura di Livia, ricercata anche dalla protagonista nel corpo, nel vivere. Nel disequilibrio di una fisicità, nell’adorazione di quel che l’altro si pensa abbia, nel non riuscire a far pace con quel che si ha ma che eppure sembra non bastarci mai.
Un passo successivo a “La più amata”, una maturazione di questa, un gradino che si somma al percorso narrativo ideato e portato avanti dalla scrittrice che ne conferma le capacità e ne risalta la voglia di trattare tematiche altrettanto forti e dirompenti.
Uno stile che trattiene e respinge, per quanto più incisivo che mai, per quanto tagliente e graffiante. Un narrare che alterna ritmi che accelerano e che rallentano, che scalano la marcia a seconda di quel tassello che viene introdotto o approfondito. Una narrazione che può quasi sembrare un esercizio di stile e che per questo può far amare o meno l’intera opera. Anche questa è una capacità ricorrente della Ciabatti che, in ogni caso, arriva, disarma, spiazza e anche quando lascia dubbi e semina riflessioni, smuove e obbliga a interrogarsi.

«Anche adesso parla a me, ma sta parlando a se stessa. Pensiamo di avere tanto tempo a disposizione, dice. Ci crediamo eterni, vivi come se fosse l’ultimo giorno, mi lascio trascinare.»

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