Narrativa italiana Romanzi Se l'acqua ride
 

Se l'acqua ride Se l'acqua ride

Se l'acqua ride

Letteratura italiana

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Paolo Malaguti ha scritto un libro pieno di grazia, l'avventura al tramonto di un mondo che corre sull'acqua osservato dagli occhi più curiosi che ci siano, quelli di un ragazzino che vuole diventare grande. Sulla corrente dei fiumi nulla cambia mai davvero. Al timone degli affusolati burchi dal fondo piatto, da sempre i barcari trasportano merci lungo la rete di acque che si snoda da Cremona a Trieste, da Ferrara a Treviso. Quando Ganbeto sale come mozzo sulla Teresina del nonno Caronte, l'estate si fa epica e avventurosa. Sono i ruggenti anni '60, nelle case entrano il bagno e la televisione in bianco e nero, Carosello e il maestro Manzi. I trasporti viaggiano sempre più via terra, e i pochi burchi che ancora resistono, per ostinazione oltre che per profitto, preferiscono la sicurezza del motore ai ritmi lenti delle correnti e delle maree. Quello del barcaro è un mestiere antico, ma l'acqua non dà certezze, e molti uomini sono costretti a impiegarsi come operai nelle grandi fabbriche. A bordo della Teresina, Ganbeto si sente invincibile. Gli attracchi, le osterie, le burrasche, il mare e la laguna, le campane di piazza San Marco, i coloriti modi di dire di Caronte e i suoi cappelli estrosi, le ragazze che s'incontrano lungo le rotte. Presto, però, non potrà più far finta di niente, lui che ha un piede nel vecchio e uno nel nuovo dovrà imparare la lezione più dolorosa di tutte: per crescere bisogna sempre lasciare indietro qualcosa. «Poche cose restavano chiare, nella sua mente: che Pellestrina è un'isola magnifica. Che il mare ti entra dentro più dei fiumi. Che, soprattutto, non avrebbe mai fatto altro nella vita: il barcaro era l'arte per la quale sentiva di essere nato». È il 1966, l'anno della grande alluvione. Ganbeto conquista i canali sul burchio del nonno Caronte, imparando a vivere a colpi di remo.



Recensione della Redazione QLibri

 
Se l'acqua ride 2021-06-08 18:39:45 silvia71
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    08 Giugno, 2021
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Vita da barcaiolo

I burchi dal fondo piatto percorrono il dedalo di canali e lagune venete trasportando merci di ogni genere fin sul finire degli anni sessanta del secolo scorso.
Sulle sponde e agli attracchi fioriscono piccoli borghi il cui fulcro è un'osteria, luogo di incontro per rifocillare con un bicchiere di vino e due chiacchiere i “barcari” corrosi dai giorni trascorsi vogando. Faticoso e pittoresco insieme questo mestiere una vocazione per qualcuno un'eredità gravosa per altri, tramandata di padre in figlio.

Sono anni in cui l'Italia sta mutando, i servizi igienici prendono posto all'interno delle abitazioni, la televisione è l'oggetto più ambito, il motore soppianta il traino a cavallo e le imbarcazioni a remi, la fabbrica è la nuova dimensione lavorativa.
Mentre le acque dei fiumi sembrano soggiacere sempre alle stesse regole della corrente e delle piene, il paese morde il freno e corre verso la modernità.
La generazione di adolescenti del 1965 come il giovane Ganbeto, vive appieno questa metamorfosi socio-culturale; lasciare gli studi per fare il mozzo sul burchio di famiglia per volontà del nonno, assume le sembianze di una eccitante avventura nella fase iniziale per divenire poi costrizione e insofferenza col tempo.

Densamente realistico lo spaccato regionale proposto da Paolo Malaguti, in grado di raccontare un pezzo di storia che merita di essere ricordata, conferendo dignità ad una popolazione vissuta in territori disagevoli e complicati, dedita ad antichi mestieri che facevano dell'acqua strumento di lavoro e di sopravvivenza per portare un pezzo di pane sulla tavola.
Un mondo arcaico quello lagunare e fluviale, dominato da proprie leggi non scritte e tradizioni.
Animi duri, forgiati dalle correnti e dalle privazioni, dai sacrifici e dalla caparbietà.

Un flusso narrativo che si affida in buona parte ai dialoghi, colorandoli di termini e locuzioni dialettali per creare una fusione ottimale tra persone e luoghi, tra volti e contesto sociale.
Un romanzo il cui genere fa tornare alla memoria l'indimenticabile Sebastiano Vassalli, per la nitidezza dei protagonisti attraverso le cui storie personali si vuole raccontare la grande Storia di un Paese dalle forti caratterizzazioni regionali come il nostro.

Il titolo è stato selezionato per concorrere all'edizione 2021 del Premio Campiello.

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Se l'acqua ride 2021-07-04 19:06:44 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    04 Luglio, 2021
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Se tutti i fiumi fusse come ‘l Po!

“Quando che senti l’acqua che ride, che gorgoglia, vuol dire che lì c’è una pietra, o il fondo basso, e bisogna starci alla larga. Se l’acqua ride, il burcio piange!”

Ganbeto è il ragazzo protagonista del romanzo, per tutta la durata della vicenda non scopriremo mai il suo nome di battesimo. Non è importante saperlo: in un mondo semplice, di lavoratori, in buona parte quasi analfabeti, di barcari che lavorano notte e giorno sul burcio, cioè il barcòn, l’imbarcazione adibita alla navigazione, per riconoscersi basta usare i soprannomi. Così il nonno di Ganbeto si chiama Caronte, lo chiamano tutti così dalle rotte padovane a Trieste; e lo stesso nome, Ganbeto, come l’autore ci spiega nel “glossario minimo dei barcari” significa “ferro ricurvo a U, dotato di perno di chiusura, utilizzato per unire due anelli, o la catena all’ancora”.

Terminata la terza media “per grazia ricevuta”, con tanto di cero acceso davanti a San Giacomo, nell’estate del 1965, Ganbeto comincia a dedicarsi all’arte del barcaro e il nonno Caronte lo assume come “morè” sul suo burcio.
Siamo in pieno boom economico italiano e Malaguti ricostruisce l’ambientazione tipica di quegli anni: l’avvento della televisione nelle case, pagata con le cambiali, gli appuntamenti del Carosello con le sue canzoni e le réclames, la voce di Mina che Ganbeto tanto apprezza, la vespa 50L, la diffusione dei bagni privati e l’utilizzo più volte improprio del bidet:

“Cossa che serve? -aveva sussurrato, indicando il recipiente basso e oblungo di porcellana bianca, con due rubinetti, vicino al vate. Scaia aveva alzato le spalle, confessando che suo papà si era vergognato di mostrarsi ignorante coi murari e col dràulico, e così non aveva chiesto niente. Alla fine avevano dedotto che era per lavarsi i piedi, e così facevano. Ogni tanto sua mamma ci lasciava i fagioli secchi a riprendersi”.

Spassosa anche la parentesi scolastica col professore di italiano, un certo, “Gatti Benito Detto Libero, per tutti semplicemente Oio” che faceva pagare 20 lire ogni errore di ortografia “Non possono più essere accettati ‘cedimenti vituperevoli’ al codice dell’ignoranza”. Ho riso di cuore quando Ganbeto ha recitato alla madre alcune strofe del Cinque Maggio del Manzoni e nè lui nè la madre conoscevano il significato di alcune parole altisonanti.

La lingua ha molti termini veneti che non sono illustrati nel glossario a fine libro, ma da napoletana non ho avuto il benchè minimo problema a comprenderne i significati o le sfumature. È indubbio che avrei avuto piacere di conoscere meglio l’etimologia di altri termini come “bocia”, “calumarsi dietro una tosa” e tanti altri, il cui significato si intuisce bene.
Nel libro sono presenti tante interessanti tematiche: lo sfondo dell’Italia anni ‘60, il mestiere dei barcari e dei cariolanti, le loro rotte, il ruolo della donna, depositaria delle conoscenze religiose e tramite coi Santi e la Madonna, le prime esperienze amorose di Ganbeto, il rapporto con il padre, la figura orgogliosa e autoritaria del nonno Caronte, che proprio non vuole rinunciare al suo vecchio burcio, la Teresina, che funziona meccanicamente coi remi per comprare una nuova imbarcazione a motore, come se ne vedono lungo il Po.

Una prosa lineare con rarissimi guizzi lirici che rendono indimenticabile la narrazione:
“Sarebbe stato un lavoro di ricostruzione certosino, stupendo e doloroso. Stupendo perchè ogni volta che tornava a varcare col pensiero la soglia del negozio, sentiva in tutto il corpo qualcosa che non aveva mai provato, e di cui pareva non potersi mai stancare.
Doloroso, perché, se ne sarebbe reso conto poco per volta, con il passare delle settimane la sua mente avrebbe operato sul ricordo della ragazza come la corrente del fiume sui sassi, che sembra accarezzarli e invece li smussa, li leviga, li modifica (…) perdendo per sempre, la pura bellezza dell’istante”.

Una bella lettura. Il libro è nella cinquina finalista del Premio Campiello. Vincerà?
Staremo a vedere.

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