Ruggine
Letteratura italiana
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Deboli e prevaricatori
“Li aveva sempre di fronte, quei piccioni, sul tetto che copriva la casa del Meloni in canottiera e della dirimpettaia senza età. Anche fra quegli uccelli i prevaricatori godevano di rispetto e raramente erano messi in fuga, mentre i deboli venivano aggrediti senza che nessuno dei compagni venisse in soccorso.”
Gina è la protagonista del breve romanzo di Anna Luisa Pignatelli, “Ruggine”. É una donna anziana e sola, l'unico essere a cui è legata è il suo amato gatto Ferro, grazie al quale ha avuto il suo soprannome di Ruggine. Vive in un piccolo, bellissimo ma oltremodo opprimente paesino che si staglia nella campagna toscana.
La lettura di questo romanzo non può lasciare indifferenti: fa parte di quella categoria di testi che ti fa male, perché racconta una storia estremamente triste, incresciosa, soffocante. Per certi versi mi ha ricordato “Orfani bianchi” di Manzini, poiché narra una vicenda di solitudine, abbandono, sopraffazione e prevaricazione che lascia una sensazione di tristezza e scoraggiamento. Nonostante tutto, possiamo però leggervi anche di un'incredibile forza di alcuni esseri umani, che mostrano risorse impensabili nelle situazioni più difficili e pagine che si aprono ad uno straordinario lirismo.
Gina è un'anziana sola e afflitta da molti dolori, di diversa natura, vive grazie alla magra pensione che le ha lasciato il marito ormai morto. Abita in due stanzette in un paesino popolato prevalentemente da anziani e persone meschine e cattive, che vorrebbero vederla morta per impossessarsi della casa. La donna viene considerata una specie di strega a causa di una situazione che lei ha vissuto in realtà come vittima, ma della quale viene invece considerata responsabile. La vecchietta non ha tuttavia perso la speranza e continua a lottare finché è possibile, fino all'ultimo, andando alla vana ricerca di solidarietà e umanità, e ricevendo in cambio invece continue forme di violenza e vessazioni. Gina è una vittima perché è sola, perché è anziana, ma soprattutto perché le sono stati gli strumenti per potersi difendere: istruzione e cultura. Ha una mente vivace, un'intelligenza acuta e la capacità di non arrendersi mai, ma le manca la possibilità di difendersi giocando con le stesse carte di chi la vuole prevaricare. Non sa come muoversi in un mondo che sembra completamente ostile e cattivo e di cui conosce solo le regole della prepotenza, così, semplicemente, subisce ogni cosa senza potersi opporre a niente. Comprende però che un'esistenza diversa sarebbe stata possibile ma le è stata negata: forse è un motivo di dolore ancora maggiore.
Un'ultima osservazione sullo stile dell'autrice: una prosa semplice che si innalza improvvisamente in picchi lirici e altrettanto velocemente assume espressioni regionali toscane: si tratta di uno stile che sa catturare il lettore e tenerlo incollato alle pagine fino all'amara conclusione della narrazione.
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Ruggine e Ferro
Il suo nome è Gina ed è detta Ruggine a causa di quel suo gatto, Ferro, a cui è tanto attaccata. I due sono infatti legati da un vincolo indissolubile che, a differenza delle male voci, non si sostanzia in un rapporto di mera utilità bensì in uno di puro e sincero affetto.
Montici è il teatro ove le vicende si dipanano. La protagonista ormai anziana, vive tra i dolori dell’età e quelli dell’anima, sopravvive grazie alla pensione del defunto marito e giorno dopo giorno è oggetto delle calunnie e delle cattiverie del paese. La sua colpa risiede nel passato, un passato che l’ha vista vittima ma che l’ha eletta a carnefice. Un passato segreto e che ha tanto cercato di dimenticare, un trascorso che non perde occasione per tornare ad angustiarla. Poche le persone di cui può fidarsi e su cui può contare, tra questi vi è Don Feliciano – giamaicano, che ha preso i voti per fuggire alla povertà della sua terra natia e che a sua volta è mal visto dalla gente del luogo a causa di quella sua clandestina relazione amorosa – e, forse, Tamara.
Ruggine è un’emarginata, è una donna lasciata a sé stessa, una donna a cui nessuno va in soccorso per quanto alte, stridule o silenziose siano le sue urla. Ella è la riprova di quanto il pregiudizio possa essere lesivo, di quanto le voci e le cattiverie di quel “tutti sanno eppure tutti tacciono” possano siglare la condanna, di quanto il la mentalità chiusa e priva di contatti con il mondo esterno sia la peggiore delle amiche.
La sua è stata una vita infelice, caratterizzata da soprusi, miseria e violenze, una vita che l’ha incurvata ma non spenta, una vita che mai è riuscita a spezzarla. E chissà, forse, è proprio questo il suo più grande peccato. Chissà, forse è proprio questo che l’ha relegata ad essere una reietta, una strega, un essere che se morisse farebbe soltanto un piacere agli abitanti della zona, tutti anzini come lei eppure innocenti. Perché loro, di colpe non ne hanno. Anche se passavano volontariamente sotto le sue finestre, anche se sentivano le grida che lanciava, alcuno interveniva, al contrario. Si godevano lo spettacolo. Ma badate bene, ci diranno questi ultimi, non abbiate pena per Gina, essa è la colpevole perché se le è successo quello che è successo è solo colpa sua che per prima si è concessa e che per prima si è portata gli uomini in casa!
E quanto è facile condannare, puntare il dito, quanto è facile attribuire responsabilità quando per sopravvivere ci si è chiusi nel silenzio, nella vergogna, nella speranza di poter un giorno dimenticare. Con quella memoria che per prima, pur di dar tregua, si oblia nel vuoto, nel nulla, nel dimenticato.
Tuttavia Ruggine in quel mondo ci crede ancora. Vuole crederci. Pure se le fanno “i dispetti”, pure se le viene tolto quel poco che ha per campare, lei non demorde e spera. Le basta il minimo per avere fiducia nel domani. Le basta un mozzicone di rossetto, un cartoncino con due cassette, l’amicizia con Zarco, un goccio di vin santo e lui, FERRO. Perché lui è l’unico che più di tutti ama ed ha mai amato.
Il divenire non è clemente sino alle ultime battute con questa donna angustiata dalle avversità, ed anche se ha perso tutto ha ancora tutto. Perché la morte arretra innanzi alla sua tenacia, perché quel felino che ha la vita che gli scorre dentro non l’abbandona nemmeno quando vengono separati con la forza, non la lascia sino a che la vita stessa non defluisce dal suo piccolo corpo pieno di fusa.
Il tutto è avvalorato da un linguaggio diretto, fluente e duro. Anna Luisa Pignatelli cattura chi legge dalla prima all’ultima pagina, il ritmo narrativo è incessante e scandito da un susseguirsi di vicende che sono magnetiche per l’avventuriero conoscitore. Che soffre con Gina, che spera in meglio con lei, che ama Ferro, che è spiazzato da quell’epilogo ineludibile.
In appena 150 pagine, un connubio di emozioni che toccano le corde più profonde dell’animo umano.
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Grande donna...
150 pagine in cui, apparentemente, non accade nulla...eppure in questo "nulla" c'è una vita intera.
La vita di Gina, detta "Ruggine".
Una vita infelice, che anno dopo anno l'ha incurvata, le ha piegato la schiena, le ha tolto un marito (forse mai amato veramente), poi un figlio mostro (che ha odiato veramente), ma anche la rispettabilità (in un paese "vecchio" e crudele come tutti coloro che lo popolano), senza però mai riuscire a spezzarla.
Tenace Gina...non s'arrende.
Tutti la vogliono morta, o quantomeno lontana, perché macchiata di una colpa che in realtà non ha commesso, anzi...che ha subito.
Ma quanto è facile puntare il dito su chi già sta soffrendo, su chi non ha piu niente, proprio niente, se non i suoi dolori, un vecchio corpo e piccole briciole di dignità tenute insieme da un bicchiere di vino, una misera pensione e un gatto.
Come è facile condannare chi, per sopravvivere al più atroce dei tradimenti, si è chiuso nel suo guscio, riuscendo perfino a "non ricordare" ciò che una donna/madre non può accettare senza diventare pazza.
Ma la cattiveria del mondo riuscirà a lacerare la corazza, a penetrare nella sua roccaforte e ad illuminare quelle stanze del cuore che erano volutamente rimaste chiuse, al buio.
Ma Gina nel mondo vuole credere ancora, le basta un gesto di umanità da chi è "straniero" come lei, non importa se nascosto dietro una tonaca senza fede o dietro la musica del violino di uno zingaro.
A Gina basta un mozzicone di rossetto, un cartoncino e due cassette di frutta capovolte per credere di poter ricominciare.
Credere, appunto.
La vita non la risparmia fino all'ultimo, negandole persino la possibilità di lasciare questo mondo che non la vuole...perché la morte, di fronte a tutto il suo coraggio, la sua tenacia, la sua forza interiore, arretra e non la riconosce.
Gina in fondo ha perso tutto, ma ha vinto.
Ed io la amo.
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LA BALORDA ERA LEI
Ruggine e il suo gatto Ferro sono inseparabili. Lei è vecchia, vedova, gobba, solitaria. Nel borgo, quasi tutti sono vecchi, come lei, ma quasi nessuno risponde al suo saluto. Nel borgo, tutti sanno che il suo unico figlio l’ha violentata. Tutti sanno che per questo l’hanno rinchiuso in una comunità, povero figliolo. Ma la vera colpevole è lei. Lei che, nonostante tutto, non vuole morire. Non vuole sgomberare le due misere stanze in cui vive in affitto. Deve aspettarsi qualche brutto tiro, la vecchia Ruggine.
La Toscana descritta da Anna Luisa Pignatelli è bellissima. L’ombra della bruttura umana risalta contro lo splendore della campagna, l’oro dei campi di grano, il rosso dei papaveri. Anche le case del borgo sono belle. Il rosone di pietra bianca di una chiesa, intagliato come un ricamo, indica tempi, ormai lontani, in cui l’umanità conosceva ancora misura e finezza.
Misura e finezza danno vita a un romanzo breve, tagliente come una lama. I richiami al parlare tipico toscano, lievi ma efficaci, conferiscono brio alla narrazione. Nel ritmo equilibrato ma incalzante si sente il profumo, mai pedante, della tradizione letteraria. Una piccola grande storia, che svela la piccola umana crudeltà, quella che non gronda sangue e si nasconde con poco nelle case, nelle viuzze, nelle chiese della nostra provincia.
Una provincia minuscola, dove non ci si chiude a chiave, dove ci si compiace di essere buoni e caritatevoli, dove la banalità del male è la stessa che ammorba l'Italia intera. Una provincia che elegge al governo un "mafioso milionario” mentre punta il dito contro la povertà, accusandola di nascondere ricchezze, di rubare, di prostituirsi.
“Ruggine” è un’opera di rara bellezza, che può far male. Evitatela, se non amate la riflessione.