Ricordati di Bach
Letteratura italiana
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Ricordiamoci di Bach
Tutto ha inizio con un incidente stradale che vede la piccola Cecilia costretta a sottoporsi a un intervento chirurgico che la lascerà, nonostante il buon esito dell’operazione, con una grave lesione al nervo radiale. La bambina verrà sottoposta a lunghe cure ma la guarigione completa è lenta e non immediata e non è neanche detto che il suo arto sinistro torni a essere completamente e perfettamente funzionante. La sua mano viene da ciò appellata “mano di frolla” perché per quanto ella cerchi di comandarla o di trasmetterle la sua forza, dopo un poco, questa cede per lasciar posto alla propria volontà non collaborativa. Passano i giorni, trascorrono i mesi. Medici su medici, terapie, riabilitazioni e ancora riabilitazioni, eppure, un vero successo, una vera svolta per quella menomazione non arriva. La madre si sente terribilmente in colpa essendo stata lei a sbandare con la macchina, la bambina è sfiancata da questi continui ritmi dettati da altri – e che ancora nel tempo futuro lo saranno. Una visita a casa della Zia Cocca e inizia il cambiamento. Perché vede quel violoncello ormai abbandonato, uno strumento appartenuto al nonno e di cui adesso lei diventa erede. Imparerà a suonarlo, l’ha chiamata, l’ha scelta. E non può sottrarsi a quel richiamo.
«Signora, – disse con solennità, – lei ignora la potenza della passione musicale. Qualunque fede è capace di operare una rivoluzione, perfino un miracolo.»
«La musica è così, cara signora, la musica è una porta attraverso cui guardare il mondo. E Cecilia l’ha capito, non è vero?»
Risolte le formalità del caso ella diventa allieva di Smotlak, il migliore dei violoncellisti, il più eclettico, il più ammirato eppure odiato per il suo essere così fuori dagli schemi, per il suo non rispettare i dogmi della disciplina, per il suo fumare incondizionato e imprescindibile, per il suo fregarsene della burocrazia, dei registri, della forma, per il suo decidere liberamente cosa e come far studiare ai suoi discepoli e per il suo essere uno scommettitore che ha perso tutto, perfino il suo strumento. E Smotlak scommette su Cecilia e la sua mano di frolla, Smotlak non cede di un millimetro con lei. Una sconfitta, la perdita della giocata non è ammessa.
«– Fai conto che tutta la tecnica che hai studiato per arrivare fin qui sia bruciata. Fai conto che sia sparito tutto: Bréval, Porpora, Vivaldi, Boccherini, Saint-Saëns eccetera. Fai conto che non esista più la musica né gli strumenti né il canto. Fai finta di non poter nemmeno più usare l’alfabeto Morse, e di essere rimasta sola in un deserto.
[…] Fai finta di dover parlare di tutto quello che è finito in un abisso. Della gioia e del pianto, della vita e della morte. Fai finta di dovermi raccontare qualcosa che non ha mai avuto parole per essere descritto.
– Il negativo dei ricordi? – Chissà perché gli dissi così.
Scintillò a lungo: – Forse.
– Forse ho capito.
– Rimane solo Bach. Tolto tutto rimane solo lui: la lisca del tempo.»
Una storia genuina e ricca di passione è quella che ci propone con il suo nuovo lavoro Alice Cappagli. È una storia intima, personale, che le è vicina tanto quanto lo è a noi. È una storia che ci insegna a credere nei sogni, a credere nel domani, a credere in noi, che ci insegna a scommettere. Scommettere sul nostro futuro, scommettere su quel qualcosa che per tutti è inverosimile e impossibile ma che per noi non lo è. Anche se abbiamo una mano di frolla, anche se sogniamo di diventare violoncellisti quando il mondo che ci circonda è fatto di concretezza. È una storia, ancora, in cui a condurre e a far da padrona è la musica. La musica con la sua intensità, la musica con la sua forza, la musica con il suo essere, la musica con il suo farsi sentire dal musicista, la musica con il suo arrivare e restare all’ascoltatore.
Un libro piacevole, godibile, rapido nella lettura. Un titolo che non mancherà di solleticare le corde del lettore amante della musica ma anche di chi non conosce molto quel mondo e ha desiderio di avvicinarvisi. Un elaborato diverso dal precedente “Niente caffè per Spinoza” ma che spicca per autenticità e veridicità. Vibra e a sua volta ha la sua anima.
«E mi tenni la corda rotta per ricordarmi che la precarietà, nella musica, è universale come nella vita.»