Resto qui
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
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Quando la Storia diviene grande narrativa.
“Resto qui” di Marco Balzano: un romanzo dalla prosa essenziale, che non fa uso di inutili metafore, ma che va diritto al cuore nel descrivere fatti, situazioni, sentimenti. Anche l’amore, come l’odio e il dolore sono sussurrati, non urlati, ma non per questo meno forti. Personaggi veri, pur nella loro fittizia creazione artistica, che restituiscono credibilità ai luoghi e alle vicende storiche: tali sono Trina e Erich, Michael e padre Alfred, Ma’ e Pa’. Lo sfondo è quella parte del nostro paese più vicina al confine con l’Austria e con la Svizzera, dove il bilinguismo è stato per un lungo periodo più un problema che un vantaggio. Siamo a Curon in Val Venosta, dove durante il ventennio fascista e negli anni della seconda guerra mondiale la popolazione si sentiva più affine e vicina alla Germania che all’Italia e insegnare il tedesco era reato. Paradossalmente il Reich veniva visto come garante di libertà e benessere. L’illusione tuttavia sarebbe svanita con lo scoppio della guerra. Questa la situazione lacerante per molte famiglie del luogo, come quella di Trina e Erich, che dopo aver visto impotenti sparire la giovane figlia che segue gli zii attratta dal mito nazista, assistono all’arruolamento del figlio Michael nell’esercito del Fuhrer. Essi stessi, costretti a nascondersi nei boschi, dopo la diserzione di Erich, ormai disgustato dalla guerra, faranno infine ritorno nel loro paese ormai segnato dalle vicende belliche, dopo avere sofferto povertà e fatica, fame e solitudine.
La vita a Curon è ormai minacciata dalla costruzione imminente della diga che cambierà l’aspetto di tutto il territorio e sottrarrà la terra all’agricoltura e alla pastorizia, spazzando via case e masi.
“Il silenzio fermo delle montagne era sepolto sotto il rumore incessante delle macchine che non si fermavano mai”.
Anche la fede viene messa a dura prova, non resta che trovare in se stessi le risorse e le energie per andare avanti: “ La domenica siamo andati a sederci sulle panche della chiesa per l’ultima messa . Sono venuti a tenerla decine di preti da tutto il Trentino […..] È stata una messa che non ho ascoltato. Troppo presa a conciliare l’inconciliabile: Dio con l’incuria, Dio con l’indifferenza, Dio con la miseria della gente di Curon […..] Nemmeno la croce di Cristo si conciliava coi miei pensieri, perché io continuo a credere che non valga la pena morire sulla croce, ma è meglio nascondersi, farsi tartarughe e ritirare la testa nel guscio per non guardare l’orrore che c’è fuori.”
Solo la torre del campanile, così come oggi la si può ammirare, emergerà infine dalla valle allagata, simbolo eterno della violenza dell’uomo sull’ambiente.
La vicenda dolorosa di personaggi tenaci e coraggiosi diviene dunque il pretesto per parlare dell’arroganza del potere e dell’ipocrisia della politica.
Un libro bellissimo, profondo e commovente.
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La vera storia di uno dei luoghi più fotografati d
Dopo "Il treno dei bambini" di Viola Ardone, continua il mio viaggio alla scoperta di spaccati di storia italiana che non ci insegnano a scuola.
In questo caso siamo a Curon, in Val Venosta (nel Sud Tirolo), all'estremo confine tra Italia ed Austria, durante il ventennio fascista. In quel periodo la popolazione, che parlava principalmente tedesco, si sentiva molto più vicina alla Germania nazista che all'Italia, specialmente dopo che Mussolini decise di rendere illegale perfino l'insegnamento del tedesco nelle scuole.
La storia, al di là della cornice, è raccontata dal punto di vista di Trina, giovane insegnante e madre che immagina di raccontare alla figlia Maric, fuggita in Germania insieme agli zii all'insaputa dei genitori, la storia della sua famiglia, degli abitanti di Curon e della costruzione della famigerata diga che dopo la guerra avrebbe sommerso il paese sotto centinaia di metri cubi d'acqua.
"Resto qui", dunque, non è solo la storia della famiglia di Trina, ma anche quella di un popolo sradicato dalle proprie case e dai propri verdi campi in nome della politica e del progresso.
Cosa resta della vecchia Curon? Forse uno dei luoghi più fotografati d'Italia: il campanile sommerso al centro del Lago di Resia.
Sono rimasta davvero colpita da questo romanzo di Marco Balzano, che francamente prima di leggere "Resto qui" non conoscevo.
La nota dolente? Come al mio solito, non riesco proprio a ricordare perché questo romanzo sia finito nella mia libreria virtuale, né tantomeno chi me l'abbia consigliato. E questa volta mi dispiace, perché vorrei davvero ringraziarl* tanto!
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Attaccamento alle radici
Il campanile di Curon emergente dal lago è straordinario, l’ennesimo simbolo della singolare e variegata bellezza della nostra nazione. “Resto qui” ruota attorno a tutto quello che c’era e che oggi non c’è più, portando a riflettere su come questo campanile non sia sorto spontaneamente né tanto meno sia stato costruito lì per attrarre turisti con la sua calamitante bizzarria. I suoi mattoni sono stati posti da un popolo sradicato, da intere famiglie la cui terra che abitavano da decenni è stata inondata e con essa anche il loro passato e tutti i ricordi, togliendo definitivamente quella sensazione agrodolce che si prova nel ritornare nei luoghi dove si è sempre vissuti e, anche se non sono presenti notevoli cambiamenti, riuscire a percepire il tempo trascorso solo assaporandone l’aria nuova.
“Fino a quel momento, specie in queste valli di confine, la vita era scandita dai ritmi delle stagioni. Sembrava che quassù la storia non arrivasse. Era un’eco che si perdeva.”
La forza di questa comunità, isolata dalle sue gelose montagne che non permettono nemmeno alla Storia di entrare, è ritratta da Balzano mentre è intrappolata tra nazisti e fascisti, in un estenuante tira e molla e intenta a resistere (invano) alla costruzione della diga che annegherà la loro terra. La storia ruota attorno ai drammi della giovane Trina: il marito Erich è spedito nei Balcani per combattere una guerra in cui non crede, il figlio Michael si arruola nell’esercito di Hitler e si converte alla sua ideologia, la piccola figlia Maric si trasferisce di nascosto con gli zii in Germania, non facendo più ritorno. Tutto quello che rimane a Trina è se stessa e, poggiando unicamente sulla sua encomiabile forza, inizierà un'opposizione alle imposizioni dittatoriali mentre sarà circondata dall’indifferenza dei più, disposti ad accettare più facilmente gli aspri cambiamenti che ad opporsi.
Tematica centrale del romanzo è anche il rapporto madre-figlia, il testo è rivolto proprio alla figlia che ha compiuto la scelta opposta, quella di non rimanere. A causa della precoce scelta di abbandono della ragazza, questo rapporto si è interrotto sul nascere e ha incatenato l’anima di Trina ad un pesante senso di inconsistenza e di incomprensione, mentre si troverà a riflettere sul legame che ancora le tiene insieme nonostante la distanza fisica e temporale.
Balzano si dimostra un grande scrittore: compie un’ottima ricostruzione storica grazie alle sue numerose ricerche, racconta la storia del popolo dell’Alto Adige e permette di assaporare un soffio di vita dell’epoca. Se, come dice nel romanzo, “bisognerebbe saper interrogare le montagne per sapere cosa c’è stato”, si può ben affermare che è riuscito a farle parlare.
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Avvicinarsi ad una violeza sociale oggi meta di (d
Propedeutico ad un viaggio in loco, volevo immergermi nell'atmosfera degli allevatori spazzati via dalle loro terre per assaporare anche il dramma storico-politico oltre allo spettacolo turistico che il Lago di Resia offre. Sebbene la costruzione della diga e la realizzazione dell'invaso siano presenti sullo sfondo fin dall'inizio, è solo verso la fine che la piccola epopea della famiglia protagonista si fa un po' da parte e viene affrontata la questione politico-ambientale della diga. È probabile che le mie aspettative fossero orientate in modo diverso rispetto alla prospettiva scelta dall'autore. Forse cercavo un livello didascalico che sarebbe stato incompatibile con un romanzo...ma non mi è piaciuto molto né la didascalia mancata né molto il romanzo che descrive le vicende e i sentimenti di quel popolo cacciato dalle proprie case e dal verde dei propri campi, e i cui ricordi sono stati sommersi in uno dei laghi più fotografati del nostro paese. Ci sono l'autoritarismo fascista, il fascino salvifico del nazismo, l'integralismo violento della Guerra, il classico steroetipo delle barriere linguistiche, la difficoltà dei rapporti famigliari e, ovunque, l'incomprensione. Romanzo dell'incomprensione potrebbe esserne una efficace didascalia. Nel mio caso forse anche la mia non perfetta comprensione del lavoro dell'autore.
Se il contenuto del libro non era collimato con le mie aspettative, devo ammettere che anhce lo stile della scrittura non mi ha entusiasmato, il che lo ha reso alla fine un romanzo che ritengo non particolarmente interessante salvo per chi voglia specificatamente avvvicinarsi a quella vicenda o a quei luoghi.
Richbar A.
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Sopraffazione
Marco Balzano ricostruisce la storia di Resia e Curon, storia su cui ci si interroga visitando quei posti bellissimi. Anche io ho guardato con meraviglia il campanile che affiora dal centro del lago, andando in quei luoghi da sogno. La ricostruzione storica, certamente interessante, è però un pretesto per raccontare una storia di più larga portata di sopraffazione, di abuso, di prepotenza e di ineluttabilità del male. La lettura lascia una sensazione di amarezza e di bellezza. In un certo senso, è aumentata anche la mia comprensione e simpatia per la gente del posto, dove ho trovato, andandoci da turista, una certa ostilità, che ora in parte riesco a spiegarmi. Comunque, il libro va molto al di là del racconto storico, è veramente una lettura di grande profondità. Interessanti anche i personaggi. Sono tutti poco comunicativi, solitari, si capiscono più a sguardi o a gesti che con le parole. Sono tutt'uno con l'ambiente, con i monti, il fiume e l'alpeggio. Bello anche il rapporto tra le tre amiche e tra genitori e figli. Non tutto è spiegato. Per esempio resta avvolto nella nebbia il comportamento di Marica e degli zii che spariscono nel nulla, la storia di Barbara. A me sarebbe piaciuto saperne di più, però è anche bella questa atmosfera di mistero che l'autore ha saputo creare intorno ai personaggi. Il silenzio, l'incapacità di romperlo dona una interiorità intensa e dà la possibilità al lettore di intervenire nel testo con la sua immaginazione per dare un colore o un altro ai punti più oscuri.
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La verità nascosta
Una vita scandita dal ritmo delle stagioni, in una zona, l’Alto Adige, dove la storia sembra non arrivare, nella quale si parla il tedesco, si professa il cristianesimo, si lavora nei campi e nelle stalle.
Poi, uno scontro, la lingua di uno contro la lingua della altro, una invasione mal tollerata, la prepotenza improvvisata del potere e chi rivendica radici secolari, mentre c’è chi ha creduto nel potere salvifico dalle parole, trasformandosi in una insegnante clandestina di tedesco.
È allora che il fascismo pare esistere da sempre mentre qualcuno continua a ripetere gli stessi gesti, abituandosi a non essere più se stesso con una rabbia che comincia a crescere dentro ma pare essere come la malinconia, non esplodere mai.
La fuga, una lettera, il dolore muto, qualcosa di famigliare e di clandestino di cui non si parla mai.
Una partenza inaspettata, misteriosa, silente, arrabbiata ed una ricerca durata anni in nome di una speranza che non si sente più nemmeno di avere. Ed allora ha inizio la narrazione dei fatti e della storia, lettere che aprono alla vita di una comunità, del proprio essere sopravvissuti e rimasti e di quello che è successo qui a Curon, nel paese che non c’è più.
Lo scoppio della guerra, l’ ultima guerra, ha lasciato tutti attoniti, illudendosi che le montagne siano ancora pareti di solitudini, c’è chi ha coltivato l’ orgoglio della propria scelta di rimanere e chi non si è mai sentita così tanto figlia dopo la fuga della propria figlia.
Attorno il respiro di una natura parlante, niente altro che bianco e rumore di vento.
La guerra è terribile, spietata, estenuante, sovente divide, ma può unire, non ha colore o parte, e qui non ci si sente nazisti ne’ fascisti, solo contadini che non vogliono più combattere, mentre il resto del mondo si cancella dalla propria memoria.
Una guerra che sfinisce gli esseri umani e quando finisce si ha voglia di rinascere, senza più affanni, rimirando lo splendido paesaggio naturale circostante e le bellezze di Curon, cercando di dimenticare la sofferenza dei lutti e di chi non tornerà ed a cui per lungo tempo è stata attribuita la colpa di tutto.
Ma, d’ ora in poi, il progresso industriale tratterà Curon e la valle come un luogo senza storia, una terra ricca e piena di pace, tutto sacrificato per la costruzione di una diga rivelando la miseria di un atto selvaggio. Una diga si può costruire, ma un paesaggio, una volta devastato, non può’ più rinascere.
Solo un ritorno agognato avrebbe potuto alleviare lo spavento al pensiero dell’ acqua che tutto ha sommerso, trovando la forza di andarsene altrove e ricominciare daccapo, ma oggi i resti della bellezza che fu ed una presenza inquietante che emerge dall’ acqua nascondono la verità di un dolore vivido.
Un romanzo necessario, dai toni reali e poetici, che entra in punta di piedi e si fa dirompente, che abbraccia il lungo corso della storia di un luogo in bilico tra radici culturali e linguistiche ed “ invasori “ poco attenti, al di là del peso di una guerra che tutto annienta e riduce.
Un percorso esteriore di lutto e dolore, ma soprattutto un viaggio interiore che parte da una perdita vicina per cercare di spiegare l’ inspiegabile, una vicenda che non può essere ridotta a caso, politica, profitto, noncuranza, ad una devastazione e deportazione di fatto che aliena un luogo a se stesso, e se stessi da un luogo diventato altro, seppellendo tante storie sotto un’ altra storia, visibile e terribile, un iceberg con profondità da ricordare per sempre, nel paese che non c’è più.
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Resistere, resistere, resistere
Comincia con un sussurro, una voce antica e intima a colloquio con una figlia lontana e forse persa per sempre ti tira dentro la storia. Dal silenzio del mattino coperto di neve emerge un mondo antico fatto di ricordi di una vita intera: “Lottare a prescindere. Questo mi ha insegnato tuo padre”. Dice Trina a una figlia lontana. Ecco i temi del romanzo: la fatica quotidiana di vivere e sopravvivere, lottando, come solo i contadini di montagna sanno fare, contro la fatica, il freddo, le salite, in un contesto storico in cui nulla di quello che sei ha dignità d’esistenza. Essere Atesini nel primo dopoguerra fascista significa non veder riconosciuto neppure il proprio nome di battesimo, le nenie, i canti, le preghiere, la lingua dei padri e delle madri, nulla deve esistere più. Senza lingua non c’è identità. Qui, in queste valli, prima che altrove è cominciata la Resistenza quotidiana al fascismo. Se tre ragazze, tre amiche Trina, Maja e Barbara, finite le magistrali non possono insegnare perché tedesche mentre le valli si riempiono di emigrati dalla Calabria, di semianalfabeti siciliani o veneti inviati occupare i posti pubblici e ‘italianizzare’ quelle terre di confine. Non restano che le scuole clandestine e Trina comincia ad insegnare. Trina non sa neppure perché s’innamora di Erich, un contadino, uno di quelli che sanno solo ‘di stalla e sudore’, gli uomini sono ‘individui troppo goffi o troppo pelosi, o troppo rozzi’ per c’entrare qualcosa con l’amore.
Ma Erich…. Lo sposa e si alza al mattino all’alba per aiutarlo in stalla e nei campi. E poi nasce Michael e, in una notte di neve, la piccola Marica a cui è rivolto il racconto di Trina. Due figli e un lavoro duro, senza alternative, al Duce non interessa dei Tirolesi. Ma andarsene, no! Erich qui è nato e qui vuole restare. Nel 1936 torna a Curon la sorella di Erich, sposata ad un tedesco, benestante dà una mano a crescere i figli del fratello. Intanto girano le voci e i tecnici, si dice che costruiranno una diga e Curon sarà sommersa. Gli Italiani non hanno fama di non essere affidabili, difficile che sappiano portare a termine un simile progetto. Le preoccupazioni sono solo di Erich, nel paese prevale l’indifferenza. Sono i giorni anche della ‘grande opzione’, la scelta se seguire le sirene di Hitler o rimanere figli di un dio minore a casa propria e oggetto di rancore e odio da parte degli ‘optanti’. I ‘restanti’ sono traditori, è meglio non vadano neppure a scuola. Marica, la bimba ne soffre. Una sera dorme a casa della zia, al mattino non c’è più nessuno. Sono partiti, portandosi via Marica. E’ un dolore incolmabile, una lacerazione infinita, una ferita mortale inferta in famiglia e poi la lettera, Marica ‘sono stata io a voler partire con gli zii’. ‘Da quel giorno il dolore cambia’. Ora la guerra incombe e anche Erich deve partire per il fronte. Ancora paura, dolore, fame, freddo, la fatica di badare agli animali da sola, con Michael che morde il freno, vuole passare coi tedeschi. Erich torna ferito con un solo proposito in mente: non tornare nell’esercito, meglio disertare. I lavori della diga, lentamente, ma continuano. Dopo l’8 settembre i tedeschi occupano il Tirolo, e Michael si arruola nella Wehrmacht. A Erich e Trina non resta che salire sui monti, dormire nelle caverne sottratte agli animali, scoprire di essere traditi, uccidere i tedeschi che li stanno arrestando, scappare e resistere. Resistere anche al pensiero insistente di Marica. Resistere nella neve, al freddo assassino, tenendo viva la speranza di trovare un maso con altri disertori che possano accoglierli: una donna grassa, il suo vecchio marito, il figlio prete e un’altra famiglia con una ragazza diventata muta. In gruppo è più facile sostenere il peso dell’inverno, della fame, della paura. Poi finalmente la primavera e la fine della guerra. Il ritorno alla pace è anche l’incontro con una realtà, la dura vita dei contadini, ma si è a casa. Il figlio torna deluso e sconfitto, ma riapre la bottega del nonno falegname e in tanti hanno bisogno delle sue sedie. Ma le gru hanno ripreso a scavare, la Montecatini (con i soldi degli svizzeri, che non vogliono allagare le loro valli, ma vogliono avere diritti sull’elettricità prodotta in Tirolo) ha costruito baracche per gli operai calabresi, e un ‘uomo col cappello’ dirige le attività e sa che la tenacia di Erich non basterà a fermare la diga, perché è solo, gli altri confidano in Dio e sono solo assetati di tranquillità. Non bastano lettere al Papa, articoli scritti da Trina, non basta la visita del senatore Segni, la morte degli operai, la diga, quasi un’entità mostruosa e indifferente cresce. Gli abitanti si trovano l’acqua in casa e in stalla, le galline morte nei pollai senza che siano stati avvisati. E poi delle croci di vernice rossa segnano le case che avrebbero fatto saltare col tritolo. A nessuno fu mai chiesto cosa volessero dal loro futuro, perché avrebbero risposto ‘Solo restare’. Tutto fu distrutto tranne il campanile della chiesa che oggi richiama tanti turisti, le loro canoe, … e nessuno ha tempo di fermarsi e dolersi di quello che è stato.
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Il coraggio di Restare
Talora scegliere di restare è più difficile che andare altrove, andare via. La vicenda di Erich e Trina è il racconto di chi resta, nonostante tutto. Di chi restando, sa trasformarsi, in un divenire che deve fare i conti con la storia. La forza di restare, trasformandosi, elaborando il dolore, l'abuso, la diversità, la guerra è nel ritrovarsi insieme. Erich e Trina, restano, insieme, tenendosi la mano. Erich e Trina, restano, insieme con tanti personaggi, uomini e donne con cui hanno condiviso un pezzo di strada: le amiche maestre clandestine, un gruppo di disertori, i contadini dei masi, il comitato contro la costruzione della diga, i sacerdoti coraggiosi...sempre insieme, attorno al dolore, attorno alla scelta di restare aggrappati alla propria terra. E la morte, che spesso irrompe nella storia di chi resta, non può nulla. Perchè anche nella mancanza, anche nella trasformazione, anche in una lapide senza testo, l'amore donato e ricevuto, le parole donate e ricevute, aprono in chi "va avanti" un percorso di eternità.
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RESILIENZA
Era molto tempo che volevo leggere questo romanzo di Marco Balzano, attirata dalla foto di copertina prima che dalla sinossi, e devo dire che mi è piaciuto molto. Apparentemente è un romanzo semplice che offre invece molteplici spunti di riflessione, con uno stile volutamente discorsivo per sottolineare l’importanza data alla lingua nella storia di quelle montagne. Ambientato in Sud Tirolo, precisamente in Val Venosta, dove ancora oggi esiste un bilinguismo italiano-tedesco con una propensione per quest’ultimo, “Resto qui” racconta la storia di Trina, della sua famiglia e degli abitanti di Curon e Resia, paesi che verranno sommersi dall’acqua di una diga nel 1950. Pur avendo soltanto 180 pagine, questo libro ci trasporta in un mondo che non c’è più raccontandoci quarant’anni di vita dal 1920 circa agli anni ’60 per mano di Trina, per mezzo della lettera che lei scrive a Marica la figlia scomparsa tanti anni prima. Così attraverseremo il fascismo, la guerra, il nazismo, il primo dopoguerra, sempre con l’incubo della costruzione della Diga, che dal 1939 si farà reale solo 11 anni dopo distruggendo per sempre quella comunità montana. Nelle modalità di costruzione della diga che furono usate ho rilevato un’attinenza con i recenti avvenimenti sulla Tav: non si impara mai dagli errori, non si ascoltano mai le voci di coloro che vivono e conoscono quel territorio né si chiedono pareri su come poter fare meglio un’opera rispettando i luoghi senza stravolgerli.
“Resto qui” a mio avviso è principalmente un romanzo sulla mancanza: di Marica, la figlia che sceglie di abbandonare i suoi genitori per non essere come loro (e che io mi sono immaginata morta), di cultura, di rispetto per quelle valli e quella vita, delle proprie radici ma soprattutto mancanza di parole, quelle per esprimere i propri sentimenti; sono importanti le parole, la lingua in “Resto qui”. Quelle popolazioni verranno violentate dal regime fascista che impose l’italiano a forza nelle scuole, che discriminò e inviò al confino chi insegnava in tedesco, che tentò una impossibile commistione fra quei montanari burberi e di poche parole con disperati che venivano dal sud Italia col miraggio della terra. Le parole, la lingua sono il cemento di un’identità etnica comune e per Trina, la protagonista, saranno anche una salvezza: lei scriverà, suo marito Erich, non sapendolo fare disegnerà (che tenerezza emozionante ho provato quando Trina scopre il suo quaderno dei disegni!) ma tutti e due si porteranno dietro in maniera diversa la mancanza.
Mentre nella prima parte del libro è Trina la vera protagonista, poco a poco il racconto lascia spazio a suo marito Erich Hauser, al suo amore per quella terra, al suo coraggio, al suo attivismo utopico. Con Trina, con sua madre e con tutte le altre splendide figure femminili, questo romanzo ci offre anche una piacevole opportunità di riflessione sul coraggio e la resilienza delle donne, il loro andare avanti comunque a dispetto dei dolori e delle avversità (“Andare avanti, come diceva Ma’, è l’unica direzione concessa. Altrimenti Dio ci avrebbe messo gli occhi di lato. Come i pesci”).
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Troppo tardi
Da mesi pregustavo la lettura di Resto qui. Finalmente prima di Natale l’ho acquistato e letto durante le vacanze invernali. Che delusione! La storia ondeggia qui e là, l’ empatia con i personaggi è di grado zero,lo stile non graffia. Sul tema dell’ Alto Adige preferisco rileggere L’Italiana di Zoderer, sulla guerra partigiana non si può gareggiare con Fenoglio, sull’ambiente e la tutela del territorio “Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso Vajont” di Tina Merlin non si può replicare, sui figli affidati ad altri “L’arminuta” è un piccolo capolavoro con cui è difficile confrontarsi. In Resto qui la storia di Trina oscilla tra diversi temi senza trovare un vero nucleo drammatico dominante, nonostante si presuma che la cancellazione del paese debba esserlo. Sono consapevole che alcuni degli aspetti riportati, derivino dalla scelta dell’autore di porre una certa distanza tra i personaggi e chi legge, ma questa consapevolezza non fa scattare in me alcun reazione di apprezzamento. Sembra un romanzo arrivato troppo tardi sulla scena letteraria, suona un po’ già visto e già sentito. Sono davvero meravigliata dei riscontri positivi che ha ricevuto. Unica nota di interesse da segnalare è la narrazione relativa alle scuole clandestiche di lingua e cultura tedesche durante il fascismo, storia ancora poco conosciuta.
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Il luogo del cuore
Questo libro è un insieme di tante storie: è la storia di un paese che non esiste più, di una guerra che ha cambiato tutto segnando la vita delle persone per sempre, di una famiglia distrutta per una figlia che è svanita nel nulla, ma soprattutto è la storia di una donna che lotta con le unghie e con i denti per andare avanti, unica direzione concessa.
E' proprio Trina che ci racconta tramite la sua voce e i suoi ricordi come sono andate le cose, e lo fa come se si rivolgesse alla figlia scomparsa nel nulla una notte insieme agli zii. Trina ci narra così di quando era ragazza e studiava per diventare maestra, di quando l'avvento del fascismo le ha impedito di insegnare perché madrelingua tedesca, ma lei lo faceva lo stesso di nascosto rischiando ogni volta la prigione se non peggio. Ci racconta di come ha conosciuto Erich, suo futuro marito, di come si sono costruiti una famiglia ma ci dice anche di quegli ingegneri italiani che venivano a valutare la portata d'acqua dei fiumi, di come si sia deciso di costruire una diga e di un paese, Curon, che non esiste più sommerso da una marea d'acqua. Infine ci racconta di una guerra che portato morte, terrore e incertezza sul futuro.
Un romanzo asciutto, lineare, che non si perde in sentimentalismi eppure riesce a trasmettere lo stesso tutta la disperazione che c'è in questa madre che ha perso la figlia, in questa donna che è costretta a lasciare il luogo dove è nata e dove ha le proprie radici. Ogni pagina che passa si sente come questa donna diventi sempre più rude e impermeabile a ciò che le accade intorno, ma anche forte e animata dall'amore per la sua terra e la sua famiglia. E' un romanzo toccante e emozionante ma allo stesso tempo è il racconto di una storia vera, si sente veramente forte il lavoro di ricerca che c'è stato dietro. Ammetto che non conoscevo la storia di questo paese né sapevo con precisione le vicende vissute dagli altoatesini ai tempi del fascismo, per cui ringrazio l'autore che tramite le bellissime pagine di questo libro mi ha dato modo di conoscere un altro capitolo della storia del nostro paese.