Requiem Requiem

Requiem

Letteratura italiana

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In uno stato a metà tra la coscienza e l'incoscienza, l'esperienza del reale e la percezione del sogno, un uomo si trova a Lisbona, a mezzogiorno, nell'ultima domenica di luglio: è un'allucinazione che dura dodici ore nelle quali si comprimono e dilatano i tempi di una vita, passato e presente si mescolano per spiegarsi a vicenda, morti e vivi si incontrano negli stessi luoghi, fissi, immobili, al di fuori del tempo.



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Requiem 2019-08-14 14:21:53 marinablu
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marinablu Opinione inserita da marinablu    14 Agosto, 2019
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IL REQUIEM POP

Con poche parole realizziamo un’immagine: Lisbona, viali alberati, l’ultima di domenica di luglio, è mezzogiorno, fa caldissimo, la città è pressoché deserta, un uomo guarda l’orologio, c’è il silenzio tipico di una città quando tutti sono al mare, fa caldo, l’uomo ha un appuntamento alle ore 12 ma ancora non si vede nessuno, fa caldo, l’uomo aveva appuntamento con un grande poeta ormai defunto, forse con le ore 12 si intendeva la mezzanotte? Se è defunto è un fantasma e i fantasmi si vedono a mezzanotte mica a mezzogiorno, ma poi si può fissare un appuntamento con un defunto? Fa davvero molto caldo, poco più in là c’è un parco con delle panchine magari lì è un po’ più freschino….
Inizia così un’avventura lunga 12 ore che porta il protagonista di questo romanzo ad incontrare una serie di personaggi che si confondono tra il reale e il surreale, “oggi per me è un giorno molto strano , sto sognando ma mi pare di incontrare persone che esistono soltanto nel mio ricordo”, sono personaggi che, ognuno per conto proprio, tessono una trama e portano il protagonista (…Tabucchi stesso) ad affrontare un viaggio nel proprio passato e nel proprio subconscio e con l’unico scopo di arrivare alla mezzanotte per incontrarsi con il grande poeta, il protagonista si gira e si vive Lisbona, in quei luoghi incantevoli , caldi e accoglienti, tra i mercatini di Carcavelos e la Brasileira e già la nostra immaginazione ci porta al più famoso caffè di Lisbona con il grande bancone di legno scuro invecchiato, i maestosi lampadari, tra le spiagge di Cascais e la Casa do Alantejo e anche lì i nostri occhi vedono una spettacolare casa in stile arabesco, con tanto di patio e sale ricoperte di azulejos, assaporando le pietanze tipiche come la feijoada, il sarrabulho (di cui anche il lettore prende nota della ricetta) o la sargalheta e poi c’è l’imbattibile sumol di ananas, bevanda tipica portoghese, l’ideale per digerire, pietanze che per i nomi che hanno sembrano esotici ma che per gli ingredienti che li compongono “fanno casa” ….
Potrebbe essere una guida turistica romanzata, un magnifico omaggio al Portogallo, o semplicemente una storia surreale che porta il lettore a vivere tutto ciò che il protagonista di questo racconto vive, tra sogni, sorrisi, curiosità, ricordi, oppure è tutto questo splendidamente assemblato insieme da Tabucchi, che ha avuto la capacità di regalarci una storia onirica ricca di personaggi genuini a partire dallo stesso protagonista che non ha nome ma sappiamo che è un italiano che ama profondamente il Portogallo e il portoghese e che quindi associamo a Tabucchi stesso, per poi passare ai vari personaggi che popolano questo romanzo dove inevitabilmente ti scegli i preferiti, io ad esempio ho amato il tassista, la moglie del signor Casimiro e il barman del Museo di Arte Moderna (questi ultimi due danno due ricette che promettono bene).
Come lo definisce Tabucchi stesso, questo è un Requiem che non ha la solennità delle orazioni eseguite con un organo e con l’acustica delle cattedrali, bensì è un Requiem suonato con un’armonica che si può tenere in una tasca o un organetto che si può portare per strada, pertanto è un’orazione alla semplicità di Lisbona e dei lusitani .
Io personalmente amo molto Lisbona e anche Antonio Tabucchi l’ha amata molto, il suo amore verso questi luoghi si percepisce, attraverso le sue parole riesci vedere luoghi e a sentire sapori, per me è una ragione in più per apprezzare questo grandissimo autore che ha una capacità descrittiva unica, ecco un’altra fotografia che questo romanzo ci regala: “La notte è calda, la notte è lunga, la notte è magnifica per ascoltare storie, disse l’uomo che venne a sedermisi di fianco sul muro del piedistallo della statua di Don Josè. Era davvero una notte magnifica, di luna piena, calda e tenera, con qualcosa di sensuale e di magico, nella piazza quasi non c’erano macchine, la città era come ferma, la gente doveva essere rimasta alle spiagge e sarebbe tornata più tardi, il Terreiro do Paco era solitario, un traghetto fischiò prima di partire, le uniche luci che si vedevano sul Tago erano le sue, tutto era immobile come in un incantamento,…..Questa è la notte dei poeti , disse, dei poeti e dei fabulatori, questa è una notte ideale per ascoltar storie, per raccontarle anche, non vuole ascoltare una storia?”

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Requiem 2018-08-05 10:28:47 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    05 Agosto, 2018
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Omaggio al Portogallo

"Oggi per me è un giorno molto strano, sto sognando ma mi pare che sia vero, e devo incontrare delle persone che esistono soltanto nel mio ricordo". Una domenica estiva di caldo soffocante. Un uomo si appisola sotto un albero ad Azeitào, nell'Alentejo. Ad un tratto si ritrova in una Lisbona semi deserta, a mezzogiorno, sul molo di Alcantara, preda di un'allucinazione, di una visione onirica, di qualcosa che lo trasporta, anima e corpo, su quel labile confine che divide la realtà dal sogno. Parte così un vagabondaggio per le magiche strade della capitale lusitana in cui l'io narrante, di cui non conosciamo il nome ma soltanto le origini Italiane ed un viscerale legame con il Portogallo (un chiaro alter ego di Tabucchi), si imbatte in una serie di strani personaggi alcuni reali, altri immaginari, alcuni piacevoli, altri importuni. Taluni viventi, talaltri defunti ma ancora vivi nel ricordo del protagonista. Fino all'appuntamento finale, quello più importante, che lo riporta al punto di partenza, il molo di Alcantara, a mezzanotte, ad attendere il fantasma del grande poeta (Pessoa?). Requiem è un romanzo atipico, che non segue un filo logico, che non ha un vero finale, che forse non ha neanche un vero protagonista se non Lisbona, città dal fascino indescrivibile, onnipresente nelle pagine di questo libro e di gran parte della produzione dell'autore. "Ma, prima di tutto, questo libro è un omaggio ad un paese che io ho adottato e che mi ha adottato a sua volta, ad una gente cui sono piaciuto e che, a sua volta, è piaciuta a me." Tabucchi scrisse il libro in portoghese, convinto che un requiem come si deve non può essere scritto nella propria lingua madre. Allora quale altra lingua poteva usare il nostro compianto maestro, se non quella che per lui rappresentava "un luogo di affetto e di riflessione"? Comunque sarà la dimestichezza con il portoghese, sarà merito della traduzione, sarà che quando uno scrittore sa scrivere scrive sempre e comunque bene, ma anche questa volta Tabucchi conquista il lettore con la sua prosa curata, con i suoi arguti dialoghi, con le sue dolci descrizioni e con quella capacità di creare sempre un'ambientazione ricca di fascino ed una certa immedesimazione da parte del lettore. Un libro intenso, piacevole, leggero, che si legge in poco tempo ma che, tuttavia, non si dimentica facilmente. "Se qualcuno osservasse che questo Requiem non è stato eseguito con la solennità che a un Requiem si deve, non potrei che essere d’accordo. La verità è tuttavia che ho preferito suonare la mia musica non con un organo, che è uno strumento proprio delle cattedrali, ma con un’armonica, che si può tenere in tasca, o con un organetto, che si può portare per strada. Come Drummond de Andrade, ho sempre amato la musica a buon mercato; e, come egli diceva: non voglio Handel come amico, e non ascolto il mattinale degli arcangeli. Mi basta quel che la strada mi ha portato, senza messaggio, e, come ci perdiamo, si è perduto".

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Requiem 2017-05-18 08:03:53 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    18 Mag, 2017
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Uma alucinação

«Non avrei mai dovuto farlo, dissi io, non consiglierei a nessuno di parlare con i fantasmi, è una cosa che non si deve fare, ma a volte bisogna, non spiegarlo bene, è anche per questo che sono qui»

Lisbona. Deserta, torrida. Una domenica di fine luglio. Un uomo, il caldo del mezzogiorno, perché è qui? Perché sa di avere azioni da compiere, incontri da portare a termine, eppure non sa darsi una motivazione di questi? Un’esperienza reale con la percezione del sogno. Colloqui, molteplici, in un susseguirsi ininterrotto. Un’allucinazione? E quella morte così inspiegabile? Perché si è uccisa. Il caso. E’ la sua unica alternativa. Un uomo che non può far altro che seguire questo percorso indotto dalla fatalità, un uomo che da qui inizia a ricordare, rivivere i tempi che furono. Infine, lo scambio con l’illustre personaggio scomparso. Il tutto, in portoghese. Perché ci sono storie che non possono che essere raccontate in una lingua diversa, che chiama, richiede, esige il suo spazio. E questo è il caso di Requiem, opera composta in lingua straniera e da li tradotta in italiano, con tutti i rischi e pericoli.
Ma cos’è di fatto questo romanzo? E’ uma alucinação, un’allucinazione che ha le sembianze di un sogno, della reminiscenza, una storia che in perfetta poetica tabucchiana – la cui massima espressione è riscontrabile ne “Per Isabel. Un mandala” – ripercorre tra finzione e realtà, tra personaggi dello ieri e dell’oggi – personaggi incontrati tanto nei libri, quanto oniricamente, quanto nello scorrere della vita – i punti nodali, critici e fatali della propria esistenza. Una sorta di psicanalisi al contrario che mira a far si che mediante lo strumento dell’inconscio detti nodi vengano al pettine, e siano risolti.

« Ormai l'anima non ce l'ho più, adesso ho l'Inconscio, ho preso il virus dell'Inconscio, è per questo che sono qui.. è per questo che sono stato capace di trovarti »

Pagina dopo pagina il lettore muta le proprie vesti, spogliandosi delle stesse e indossando volta volta quelle di ogni persona che viene ad incontrare. Quelle che vengono presentate sono figure strane, diverse tra loro, talune, in perfetta assurdità del vaneggiamento, riportano alla mente persone incrociate nel corso degli anni ma che consciamente sappiamo non poter incontrare che nell’universo onirico, altre al contrario, sono il simbolo di quell’appuntamento tanto caro allo scrittore. Quante volte l’autore ha infatti paragonato la vita ad un rendez-vuos da interpretare con il dove, il come e il con chi. E in Requiem questo accade: siamo di fronte ad una serie di appuntamenti mai fissati ma a cui nessun protagonista osa mancare.
Sullo sfondo Alentejo, un luogo che diventa sostanza tangibile in odori, sapori, aromi. Perché Tabucchi riporta alla vita la cucina locale, i vini, le musiche suonate con la fisarmonica, ed ancora i tessuti, i colori, gli individui, la loro vivacità, il loro essere così diverso con il loro non sentirsi pienamente europei, con il loro rivendicare un’autonomia culturale, il loro offendersi, il loro rendersi disponibili.
Alucinação, si offre così, senza indugi e senza remore. E’ uno scritto complesso che non arriva nell’immediato. E’ un elaborato che lascia a tratti perplessi, che si fa portavoce di un messaggio sfuggente ma che al contempo è magnetico nella sua essenza. E’ un testo che non teme il passato, che vuol riviverlo pur di arrivare ad affrontare il presente e di poi il futuro. Su questa scia non si sottrae alla tematica della morte né a quella delle questioni irrisolte che pian piano si accumulano nei lustri a venire.

«"Abbiamo sempre bisogno di una storia anche quando sembra di no."»

«Allora mi parli di questo virus, dissi, cosa sa di questo virus? E’ un virus molto strano, disse il Copista, pare che tutti ce lo portiamo dentro allo stato larvale, ma si manifesta quando le difese dell’organismo sono infiacchite, allora attacca con virulenza, poi si addormenta e torna ad attaccare ciclicamente, guardi, le dico una cosa, penso che l’herpes sia un po’ come il rimorso, se ne sta addormentato dentro di noi e un bel giorno si sveglia e ci attacca, poi torna a dormire perché noi siamo riusciti ad ammansirlo, ma è sempre dentro di noi, non c’è niente da fare contro il rimorso» p. 79

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