Questa scuola non è un albergo
Letteratura italiana
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Quando “Cuore” fa rima con Imperatore
Angelo dell’Amore è un ragazzo di diciotto anni, napoletano, studente al quinto anno dell’istituto professionale alberghiero Lucio Licinio Lucullo. Due anni fa un tragico incidente in mare gli ha strappato la mamma. Adesso, con il dolore sempre vivo per questa perdita, vive con il papà, architetto, la sorellina di otto anni e il pappagallino Cico. Una famiglia per bene, ricca di buoni sentimenti e di considerazione per gli altri. Angelo, poi, in ossequio al suo nome, è proprio il figlio che ognuno desidererebbe avere, coscienzioso, studioso, premuroso in casa e con gli amici, attento e senza alcun comportamento sopra le righe.
È lui a raccontarci della sua vita di adolescente, tra gli impegni scolastici, i rapporti con i coetanei e le giornate trascorse in famiglia: l’anno scolastico al Lucullo, da ottobre sino all’esame di licenza, tra strambi compagni di classe e insegnanti non del tutto normali, ci viene raccontato come in un diario, fatto di tanti episodi giornalieri commentati con le considerazioni e le espressioni che potrebbe avere un adolescente.
Considero Pino Imperatore uno dei più brillanti scrittori comici di questi anni. I suoi romanzi non sono mai banali e sempre fonte di divertimento, ma anche di spunti di riflessione. Quindi è con rammarico che debbo annoverare questo libro tra i più noiosi che abbia mai letto.
Con l’intendimento, forse, di farne un romanzo di formazione o pedagogico l’A. ci offre una narrazione piatta e priva di alcuna verve, una sequela di brevi episodi conditi di un buonismo edulcorato, per lo più insapori e banali. I personaggi sono per la maggior parte privi di spessore, anonimi, in genere, poco credibili, spesso caricaturali, ma senza il pregio di diventare almeno burleschi. Al contrario Angelo e la sua famiglia sono sin troppo insopportabilmente perfetti, buoni sino a essere stucchevoli, idealizzati. Nei loro comportamenti è difficile scorgere deviazioni da una linea di condotta più che corretta e composta, deviazioni che ne farebbero dei personaggi più umani e concreti. Angelo soprattutto è privo di quella naturale animosità, di quella rabbia che agita i veri diciottenni: in pratica è un Enrico Bottini trasportato all’epoca di Facebook (che, peraltro, Angelo schifa!).
Lo stile di Imperatore è sempre caratterizzato da una prosa fresca e scorrevole, ma in questo caso manca quell’opera di adattamento all’espressività e alla mentalità di un diciottenne del XXI secolo. L’A., evidentemente, non è riuscito a entrare nello spirito di un adolescente. Le descrizioni, le impressioni riportate risultano quindi artefatte, da genitore che esamina dall’esterno il comportamento di proprio figlio più che da ragazzo vivace e vitale che vive quelle esperienze sulla sua propria pelle.
In definitiva la classe V C dell’istituto alberghiero Lucullo mi è sembrata una fotocopia moderna, ma sbiadita, di quella in cui De Amicis ambientò il suo libro. Se, all’epoca, lo confesso, trovai le situazioni narrate involontariamente comiche (anche quelle che in realtà sarebbero dovute essere tragiche), ma se non altro consone al periodo storico in cui sono ambientate, qui tutti gli episodi sono invariabilmente soporiferi. Anche il cattivo della classe, Bombolone, figlio di un camorrista in carcere per omicidio, è solo la pallida ombra del Franti deamicisiano: a quest’ultimo pure Eco riconobbe una titanica grandezza nella sua infamia, mentre il primo ne è solo uno slavato emulo, tra l’altro avviato alla redenzione.
Quindi ho fatto davvero fatica a giungere all’ultimo capitolo e mi sono imposto di farlo solo perché mi sembrava di dover un atto di gratitudine a Imperatore per tutti i momenti divertenti che mi ha regalato in passato. Però, se mai ci dovesse essere una replica su questo filone, sono più che certo di non voler affrontare l’impresa.
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