Quel che affidiamo al vento
Letteratura italiana
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Il telefono del vento
Un lutto può lasciare dentro l’abisso. E il luogo descritto nel libro, che non è un espediente letterario ma è un luogo che esiste davvero in Giappone, offre alle persone un modo per superare il dolore. La storia ruota attorno a due figure che, ognuna con il proprio dolore, cercano qui, a modo loro, un qualche sollievo, fino a rendersi conto che la vita può offrire loro una seconda possibilità di serenità, se non proprio di felicità, perché comunque niente sarà più come prima. La vita consuma, con il tempo crea crepe e fragilità, crepe che ci si aprono addosso, ma la vita ci offre strumenti ed incontri per cercare di far uscire da quelle crepe anche un po' di luce, che può illuminare e scaldare l’altro, ma anche noi stessi, come in un abbraccio. Il libro ci insegna come di fronte alle sottrazioni che la vita ci impone, possiamo anche aprirci alle tante addizioni che la vita stessa di offre e, con una delicatezza straordinaria, ci offre uno spaccato delle segrete corrispondenze, richiami e simmetrie che il mondo dei vivi intrattiene con il mondo di chi è vivo, dall’altra parte dell’oceano. Splendido il finale, perché in poche pagine sono racchiuse il tormento, il senso di colpa per la possibile nuova serenità, la ricerca del contatto, di un nuovo contatto, la semplicità e spontaneità dei bambini, il potere dell’ascolto, la potenza di una parola: mamma.
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...è parte di noi
Sarà che sono innamorata dell'oriente in tutte le sue forme, sarà che da qualche anno a questa parte ho iniziato ad avvicinarmi un po' di più all'affascinante cultura giapponese leggendo libri e guardando anime, sarà che era scritto da qualche parte che dovessi leggere questo romanzo in questo particolare momento dell'anno.
Queste e un insieme di tante altre cose mi fanno dire con certezza che questo libro rientri a pieno titolo tra i più emozionanti e profondi libri letti negli ultimi mesi.
E credo che la motivazione principale si trovi in una sua caratteristica: la semplicità.
Con semplicità, infatti, l'autrice è riuscita a donare episodi di vita a partire da un luogo che realmente esiste, il giardino Bell Gardia e la cabina con il telefono del vento. Un luogo raggiunto ogni anno da moltissime persone, un luogo in cui poter finalmente dire quel che non si è riuscito a dire a chi se n'è andato troppo presto. Un luogo che ha ridato la parola a chi parola non ne aveva più, o semplicemente le aveva ricacciate con forza dentro di sè per paura di soffrire donandole al vento, per paura che non arrivassero ai destinatari.
Accanto alla semplicità, anche la delicatezza è un tratto che accompagna la narrazione, un aspetto per nulla scontato tra le pagine di un romanzo, ancor più un romanzo che tratta questo tema, ed è un aspetto che ho apprezzato, perchè non è mai caduto nella sdolcinatezza o in eccessivi giri di parole.
Conoscevo già da tempo la storia della cabina del vento, e il suo significativo ruolo, ma questo romanzo, letteralmente divorato in poco più di qualche ora, mi ha fatto ancor più riflettere sull'importanza delle parole ma anche dei silenzi, nella relazione con chi ci ha lasciato.
é un romanzo che racconta il lutto sotto molteplici aspetti: i ruoli che cambiano, i gesti che si spezzano, la quotidianità che inevitabilmente subisce cambiamenti. Narra la perdita in senso ampio, quello strappo che tutti in qualche modo abbiamo provato, non solo interiore ma anche nelle relazioni interpersonali.
Ma descrive ancora meglio la rinascita, ciò che lentamente affiora dopo, con difficoltà e fatica, con i propri tempi e modalità, tutto quello che è necessario per chi resta per ritornare alla vita. Narra tutto il percorso di elaborazione del lutto, dove sono proprio le relazioni ad essere necessarie, per ricostruire a partire da ciò che se n'è andato.
Attraverso la descrizione del personaggio di Yui, l'autrice ha reso con delicatezza un elemento fondamentale in questo percorso, le paure che si accompagnano a questo desiderio di ricominciare, il timore di dimenticare, di paragonare il qui ed ora con ciò che è stato ma che non tornerà, la paura di assumere un nuovo ruolo, quello di madre, un ruolo che in verità non ha mai abbandonato, anche dopo che lo tsunami del marzo del 2011 le ha portato sua figlia.
Ho trovato anche bellissimo il tratto in cui le relazioni vengono paragonate al donare una parte di sè agli altri, il sottolineare quanto siano importanti per poter andare avanti nella vita, pagine che difficilmente dimenticherò.
Lo consiglio perchè se letto con la lente giusta, con la disposizione d'animo pronta ad accogliere ciò che questo libro ha da donare, può essere un regalo molto prezioso che facciamo a noi stessi e al nostro legame con chi non c'è più ma che ci accompagna, che resta al nostro fianco ogni giorno.
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Il telefono del vento
Yui è una donna a cui lo tsunami del 2011 ha portato via tutto; Takeshi è un uomo a cui una malattia ha portato via la moglie e ha reso muta la piccola figlia. Due vite, due anime, che decidono di intraprendere un viaggio la cui destinazione è Bell Gardia, un luogo magico in cui è possibile, in un giardino, parlare attraverso un telefono non collegato, con le voci del vento.
Posso confermare che la cabina esiste davvero e si possono trovare su internet varie foto, sia del giardino che di questa suggestiva cabina. Quanti di noi vorrebbero ancora parlare con quelle anime che hanno riempito la propria vita?
La storia è veramente molto bella, però quello che arriva è l'immaturità della penna della scrittrice. Ho percepito l'amore che l'autrice ha per il Giappone e per le sue tradizioni, ma tutto il sentimento che una storia del genere avrebbe dovuto suscitare non è arrivato. Sono sempre rimasta in superficie, sono stata attenta ma distaccata, le loro emozioni (e credetemi sono molte) non sono arrivate. Sono sicura che con uno stile più intenso avrei davvero avuto difficoltà a trattenere le lacrime.
La storia come dicevo è bella, affronta temi davvero molto importanti ma non va oltre, non tocca quelle corde del cuore che invece ci si aspetta da romanzi di questa portata. Posso fare i complimenti per l'idea e per avermi fatto conoscere un mondo per me nuovo, ma spero che con il tempo l'autrice riesca a diventare più empatica.
Quindi a voi la scelta se leggerlo o meno, sul tema nulla da ridere ma quello che manca offusca anche questo.
Buona lettura!
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Una telefonata di speranza
Quel che affidiamo al vento di Laura Imai Messina è un libro che coinvolge le emozioni e i sentimenti. Scritto da un’autrice molto giovane, ha uno stile di narrazione che non convince del tutto e che risente della scarsa esperienza. Un testo che ha la sua forza intrinseca proprio nella storia narrata.
Esiste in Giappone un giardino in mezzo al quale è collegata una cabina telefonica dotata di un telefono che permette di chiamare coloro che non ci sono più, che non sono più accanto a noi nel vivere quotidiano. Giungono in quel luogo moltissime persone che soffrono e vivono nel ricordo di qualcuno che non è più. Come Yui, trent’anni,e un ricordo incancellabile: lo tsunami che nel marzo 2011 causò la morte della madre e della sua figlia. Il dolore è qualcosa con cui vivere tutti i giorni, senza superarlo mai. Fino a che, proprio in quel luogo carico di emotività, incontra il dottor Takeshi, anche lui con una storia tutta da ascoltare. Cosa li accomuna? Cosa rappresenta la loro conoscenza? E’ ancora possibile amare nelle loro condizioni?
Un libro che parla con conoscenza approfondita del Giappone. Ma non solo: anche di amore, di emozioni e di sensazioni. Ci consegna:
“un mondo fragile ma denso di speranza, una storia di resilienza la cui più grande magia risiede nella realtà.”
Un libro che comunque non mi coinvolto emotivamente, forse anche per le descrizioni ambientali di un mondo che conosco poco. Storia mi ha lasciato anche poco convinta e non mi ha coinvolto, non ho purtroppo provato quella magia di cui tanto si va parlando a suo proposito. Peccato! Comunque un libro che offre una via di cambiamento, di resurrezione per chi ha tanto sofferto e non nutre grandi speranze nel futuro.
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Ciao, come va?
Meraviglioso incipit, e’ un libro che al momento giusto scalda il cuore, una storia d’amore che volta le spalle al dolore del passato e soffia dalle labbra un alito di futuro.
Scorrevole ma penalizzante la penna acerba dell’autrice che manca di profondità innata e di tecnica consolidata, essa rende evanescente una vicenda che avrei voluto piu’ incisiva.
Certa che tra me e questo racconto sarebbe nata un’intesa singolare, poi “da foglia cade foglia così l’Eden piombò nella doglia”, nel giro di qualche giorno tutto è stato stravolto ed i miei pensieri si sono fatti globali.
La morte ai tempi di Covid-19 e’ spietata, isolamento e solitudine sono imposizioni drammatiche che stritolano in una morsa di disperazione. Non oso immaginare l’orrore di chi se ne va da solo, ancora peggio le intere famiglie che vivranno nel rimorso di non avere assistito un congiunto che moriva soffocato, limitate al rapido estremo commiato almeno un metro più in là.
Quante volte il desiderio di parlare ancora con chi hanno amato per rimediare alle confidenze negate dall’epidemia, come e’ difficile trovare una dimensione di contatto. La preghiera aiuta i religiosi, eppure l’intercessione divina a me toglie intimita’: prego per te, non parlo con te. Dialogare pensando in silenzio e’ il metodo usato da altri, ma a me pare di essere su un palco a recitare un monologo imperfetto. Sognare sì, sognare è magnifico, ma ancora non sono capace di dirottare i miei sogni.
Poi ad ogni battito di ciglia, qualora mi distragga da questo mondo, quando mi abbandono al silenzio o sprofondo nel rumore, ogni volta che i passeri cinguettano, allora sento una voce che mi accarezza allegra con un Ciao, come va?!
E ‘ la voce di mia madre quando rispondeva alla chiamata, è limpida, squillante, reale. E’ qui, ma le mie mani non stringono il ricevitore.
Io so cosa vorrei, io vorrei un telefono in mezzo ad un prato fiorito e riparato agli sguardi con cui parlare con lei, anche se a conversare sara’ solo la brezza del mattino.
Nel nord del Giappone, ai piedi della Montagna della Balena - uno dei luoghi più colpiti dallo tsunami del 2011- un uomo collocò nel suo giardino una cabina telefonica. Al suo interno un vecchio telefono con il filo collegato a nulla, se non alle voci del vento. E’un luogo di pellegrinaggio dove si recano ogni anno migliaia di persone per parlare ai propri cari defunti, questo romanzo prende ispirazione da lì.
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Speranza
Yuj è una speaker radiofonica la cui vita è stata spezzata da quello tsunami all’interno del quale ha perso gli affetti più cari; madre e figlia. Takeshi è un medico che a sua volta si porta dietro il fardello di una perdita, quella della moglie. Entrambi, sopravvivono. Sopravvivono in questo mondo che li ha privati dei legami più forti, delle certezze, delle solidità, delle ragioni necessarie a vivere e ad andare avanti. Un giorno come un altro, durante la diretta della trasmissione radio, Yui scopre dell’esistenza di questa cabina del vento, una cabina posta in uno splendido giardino sito sul fianco scosceso di Kujira-yama. Come resistere al richiamo? Come non recarsi in visita presso quel luogo davvero esistente anche nella realtà e che forse potrebbe rappresentare una nuova possibilità, un nuovo inizio? Il viaggio è piuttosto lungo e nel suo cammino contempla le persone che trovano conforto in quell’alzare di una cornetta. Perché alla fine tutti abbiamo qualcuno con cui vorremmo entrare in connessione, qualcuno che non è più con noi ma che con noi è come se fosse sempre, qualcuno che ci ha lasciato fisicamente seppur con una ferita lacerante nel cuore.
Tuttavia, in questo primo viaggio, Yui non riesce. Non riesce ad alzarla, non riesce a mettersi in contatto con chi ha perduto. Forse perché non è ancora pronta ad andare avanti, forse semplicemente perché non è ancora giunto il momento. È in questo primo tentativo che incontra Takeshi, che scopre di quella figlia che ha smesso di parlare nel momento in cui la madre non ha più fatto ritorno a casa. L’uomo vorrebbe aiutarle entrambe, ma come? Sarà la cabina a riaccendere i motori, a rendere possibile la rinnovata partenza.
Quelle che sono racchiuse in queste pagine non sono però solo le storie dei due protagonisti, sono tante voci, tanti cori tra loro uniti da conseguenze diverse eppure tutte accomunate da questa grande voglia di ripartire.
Perché la cabina che destina queste parole al vento è sinonimo di speranza, è sinonimo di un ponte d’argilla tra chi parte e chi resta, tra chi c’è ancora e chi non c’è più. Perché la cabina è anche sinonimo di ritrovarsi.
Al tutto si somma una penna fluida, rapida, non particolarmente impegnativa, forse ancora un poco acerba essendo l’autrice molto giovane. Ad ogni modo una piacevolissima storia che scalda il cuore e che si fa divorare.