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Letteratura italiana

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Giovanni si risveglia dal coma nel luglio del 2017. Aveva vent'anni quando la sua vita si interruppe. L'ultimo ricordo, prima dell'incidente, è in piazza San Giovanni, il 13 giugno 1984. Insieme al padre e alla fidanzata sta partecipando al dolore collettivo per la morte di Enrico Berlinguer. Dopo oltre trent'anni la vita ricomincia. Giovanni rinasce, adulto. Tutto è cambiato. Si trova in un nuovo secolo, in un nuovo millennio. Non c'è più il mondo che ha lasciato: i partiti, gli stati, i personaggi. Il modo di vivere, di sapere, di comunicare è stravolto, per lui un universo ignoto. Giovanni è come un bambino cinquantenne. Deve imparare una vita inedita e conoscere, accettandolo, il destino di chi ha amato quando ne aveva venti. Ad aiutarlo a rinascere ci sono Giulia, la suora tormentata che l'ha accudito per buona parte della degenza, Daniela, la psicologa dalla malinconia sottile, e suo figlio Enrico, ragazzino saggio e disilluso. Quando non celebra solo la memoria collettiva di un'epoca lontana ma radicata nelle coscienze. E il racconto del presente, meraviglioso e terribile, riconosciuto con la nitidezza di occhi che lo incontrano per la prima volta. E il romanzo per ognuno di noi: per chi ha vissuto, senza mai sentirsi solo, la forza di un ideale oppure lo ha mancato per ragioni anagrafiche e ne avverte la potenza o il rimpianto. Quando è la storia di una vita rammendata, è un romanzo di politica e d'amore, scritto con leggerezza e passione.



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Quando 2021-01-06 12:02:18 mariaangela
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mariaangela Opinione inserita da mariaangela    06 Gennaio, 2021
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Dimmi che non è finito tutto, Giulia.

Il romanzo è alle prime battute e una fortissima emozione mi cattura e mi catapulta in quella stanza d'ospedale, nel reparto dei lungodegenti, tra Giovanni sospeso e suor Giulia annichilita.

Siamo a Roma, è il 13 giugno 1984 e Giovanni sta' partecipando, insieme al padre e alla fidanzata, ai funerali del segretario generale del Partito Comunista Enrico Berlinguer quando, a seguito di un "banale" incidente si addormenta, per risvegliarsi nel luglio del 2017.
Sono trascorsi 33 anni.

"Lui, ignaro e incurante della destinazione, sporgeva la faccia fuori dal finestrino, chiudeva gli occhi e gustava rapito lo schiaffo indolore del vento."

Il romanzo procede con piccoli capitoli, piccoli passi di un tempo che riesci a ritagliarti nella giornata e che sono uno sprone a leggere il capitolo successivo, perché in fondo, pur poche pagine possono arricchirti tanto.

Mi convince il modo in cui l'autore sceglie di pensare e raccontare di Giovanni, non segregato nel buio perenne ma rimasto fermo, in tutti quegli anni, nella soffitta della sua infanzia, illuminato da una luce chiara e sincera che penetra da l'unica finestrella, ed è sempre in un mattino assolato.

"Come un giorno che non scorre, resta fermo, rifiuta il tempo, si nega al buio. E invece Giovanni al buio non era."

Qualche cliché non manca, dal professore che pensa a come intestarsi e comunicare un merito non suo di un risveglio da un coma durato 30 anni, all'altra suora, quella che nutre sentimenti di noia e pregiudizi nei confronti dello strano malato.

Veltroni si sofferma sulla fame di notizie che abbiamo, e la contrappone alla propria ignoranza umana e culturale, alla mancanza di intensità, al voler sapere tutto senza avere la pazienza di capire e senza avere la capacità di ascoltare.

"Lui si avvicinò al suo ombrellone, lei sembro' non accorgersene. Erano tre anni che Giovanni aspettava questo momento. ... Ascoltare qualcuno che legge ad alta voce è molto diverso da leggere in silenzio. Quando leggi, puoi fermarti o sorvolare sulle frasi: il tempo sei tu che lo decidi. ... Lei sorrideva. Lo aveva visto arrivare. E sorrideva. Perché, forse, lo stava aspettando."

E poi c'è suor Giulia per la quale non è necessario, come diceva Kant "sospendere il sapere per far posto alla fede."

È strano come un racconto, probabilmente frutto di fantasia, riesca a farti riflettere su te stessa e sul tuo ritorno, sui tanti ritorni che quotidianamente avvengono verso noi stessi, ci allontaniamo, ma può succedere che attraverso un romanzo inizi ad analizzare te stessa.

Ci sono attimi di grande tenerezza che mi inducono a pensare alla dolcezza, alla protezione di una mamma per i figli. Così è suor Giulia con Giovanni, "vecchio" in un mondo nuovo troppo giovane per lui.
I pensieri sul rapporto tra fede e libertà di scegliere anche come pensarla mi commuovono, e li condivido pienamente.

Giovanni. Disarmato. Indifeso. Tanto tanto curioso, di una curiosità che da sola basterà a salvarlo, a ritornarlo alla vita. Che in quell'immenso ma non interminabile sonno non è mai stato solo. Chissà se lo sentiva di non essere mai solo e non riuscire a dirlo. È così rassicurante pensarlo. Nessuno vorrebbe mai sapere di essere stato solo.

"Io torno alla vita." Dal giugno 1984 "era risorto Giovanni."

Ritrovo Veltroni uomo di sinistra e uomo grato alla Resistenza quando ci narra di un padre, che racconta storie di uomini speciali a un bambino in ascolto prima di dormire.

Ho in mente tante domande, e ogni curiosità viene soddisfatta.

"In tutto questo tempo lui che aveva fatto? Aveva dormito."

È un racconto di una dolcezza infinita del Veltroni ex sindaco di Roma e non solo, che leggo in una luce completamente diversa da quella a cui sono abituata; lo vedo come uomo, come figlio, come fratello, come padre, come amante, come compagno, come amico.
Walter Veltroni marito, padre ma soprattutto umilmente uomo. E in quanto tale racconta una storia che mi fa riflettere.

"Meglio accendere una candela che maledire il buio." Lao Tse

Buone prossime letture.

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