Qualcosa di scritto
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
Saggio romanzato
Che librone che ho letto! Non nel senso di numero di pagine o di dimensioni, ma parlo del contenuto. Anzi, dei contenuti.
Sono sincera: ho letto un libro più grande di me, ma scritto egregiamente.
"Qualcosa di scritto" si dipana tra due generi: un saggio, che non vuole essere rigido, monumentale, nè troppo oggettivo, nè troppo interpretativo, (si rischierebbero dei fraintendimenti, si potrebbe dire qualcosa che non è mai stato pensato da nessuno) e la narrativa vera e propria, in cui l'autore Emanuele Trevi narra la propria esperienza personale e lavorativa trascorsa al Fondo Pier Paolo Pasolini, a Roma.
Tantissimi sono gli argomenti di questo "saggio romanzato": un'analisi approfondita di "Petrolio", il romanzo incompiuto scritto da Pasolini e pubblicato postumo, una vera e propria rivelazione, una rievocazione della letteratura passata, uno scandalo, una novità, un metaforico proseguimento di una vita irrimediabilmente perduta.
Si parla di Pasolini stesso, un genio artisticamente universale e innovativo in ogni campo, privo di malizia e pudore, incompreso e quasi emarginato dalla società di allora semplicemente perchè diceva le cose così come stavano, affermava l'indicibile uscendo dalla finzione perbenista e corrotta che ogni persona possedeva.
E infine, forse più di ogni altra cosa, si parla di Laura Betti, attrice, cantante, nonchè grandissima amica di Pasolini.
Si assiste alla visione di una Laura, allora direttrice del Fondo Pier Paolo Pasolini, sul viale del tramonto, ormai anziana, prigioniera della sua obesità e dei suoi vizi, ma sempre impavida e feroce come una tigre, senza peli sulla lingua, detentrice di un caratteraccio piuttosto irascibile, burbero e bisbetico che le conferirà il soprannome "La Pazza".
Eppure è proprio questa donna "l'erede" del compianto Pier Paolo, una specie di sua rimanenza al femminile, uno specchio che riflette qualcuno che non c'è più e al tempo stesso è onnipresente.
Scritto con un linguaggio piuttosto complesso e ricercato, con tutti questi contenuti spesso mischiati tra loro senza divisioni precise, "Qualcosa di scritto" trasporta il lettore in un altro tempo, quasi in un'altra dimensione. E'un viaggio tra cinema, letteratura, storia e arte, un viaggio "dentro" le persone, in un mondo ormai scomparso, ancora neonato e schiavo di una metalità chiusa alle innovazioni, eppure in qualche modo detentore di un'antica bellezza che ora non c'è più.
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L'anello mancante
Esperienza di lettura ibrida, come già con “Due vite”, anche se questo gli è antecedente, essendo risalente al 2012, in un certo senso pare anticiparne la fattura: un racconto a partire da un’esperienza personale che si tramuta in focus su un protagonista, qui Pasolini, o forse Laura Betti, lì Pia Pera e Rocco Carbone; al seguito riflessioni sparse dal retrogusto filosofico che avvicinano al senso della vita, o meglio al suo mistero.
L’esperienza personale tramutata in scrittura autobiografica è quella che vede il trentenne Trevi alle dipendenze di Laura Betti, ideatrice e direttrice del Fondo Pier Paolo Pasolini, nonché attrice, regista, amica dell’intellettuale friulano, decadente donnone, tracotante e triviale vocione che lo deride e gli dà della “zoccoletta”. Gran parte dello scritto filtra Pasolini attraverso il rapporto dispotico con questa donna che dirige, dalle stanze di un palazzo di Piazza Cavour a Roma, il lascito culturale dell’amico. Trevi ha il compito di ricercare materiali, soprattutto interviste, da far confluire poi in un saggio. Tutta la sua conoscenza di Pasolini trasfonde per osmosi in questo scritto e regala aneddoti e conoscenza diretta tramite “La Pazza” per poi virare verso l’esegesi dell'ultimo lavoro di PPP, “Petrolio”, il romanzo incompiuto, abbozzato, già letto come denuncia di misfatti dell’italica nazione. Per Trevi esso diventa semplicemente il simbolo del doppio, dell’estrema complessità della personalità dello scrittore, della sua intima essenza tutta derivata dall’eros che in tripudio finale dedicato ai misteri dei culti eleusini ci fanno sprofondare nel mistero dell’identità. Gradevole.
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Qualcosa di scritto
Perché “Qualcosa di scritto”? Innanzi tutto perché in realtà questa bellissima opera è inclassificabile (né un romanzo, né un saggio forse una commistione fra i due generi) poi perché è così che P.P.P. cioè Pier Paolo Pasolini definiva il suo ultimo lavoro “Petrolio” uscito postumo nel 1992.
Anche “Petrolio” è un’opera inclassificabile, soprattutto non è un romanzo nell’accezione del termine da noi oggi conosciuta; ce lo spiega benissimo Emanuele Trevi nel secondo capitolo di questo libro, nel quale fa l’esegesi di ciò che si intende per letteratura dalla metà degli anni ’80 in poi.
Ma andiamo con ordine: Trevi in questo romanzo (il termine è usato in copertina)prende lo spunto da un periodo passato in gioventù presso il Fondo Pier Paolo Pasolini a Roma per sviluppare il racconto dell’ultimo anno della vita dello scrittore-regista, per tratteggiare un ritratto impietoso ma a volte velato di ammirazione di Laura Betti che allora dirigeva il Fondo e raccontarci la genesi di “Petrolio”. Però non è tutto qui perché l’autore affronta numerosi altri argomenti (uno dei quali è i misteri Eleusini ai quali è dedicata un’appendice)e ci porta piano piano in quell’ultimo scorcio degli anni ’70 in cui Pasolini è morto e da cui tutto è cambiato; Trevi vede un parallelo fra Pasolini e Petronio, fra la morte e l’incompiutezza dell’opera –“Petrolio non è l’ennesimo libro sulla morte, ma una morte in atto”-. E’ come se Pasolini avesse vissuto il suo ultimo anno di vita mettendo in scena la sua fine tragica nel film “Salò” (bellissimo il racconto di quando Trevi e i giovani della FGCI nell’85 lo proiettano a Castel Sant’Angelo) e in “Petrolio”.
Indubbiamente è P.P.P. il protagonista di questo libro e rivive anche nel racconto che Emanuele Trevi ci fa di Laura Betti, la “Giaguara” (lui la chiama “la pazza”), musa, amica e vestale di Pasolini; come ho già detto il ritratto di lei è impietoso, Trevi non ci nasconde nulla del decadimento fisico e mentale di questa donna che ha cavalcato i mitici anni ’60 e vissuto i ’70 e gli ’80 sempre da libera protagonista, sempre scomoda e controcorrente. E’ però nel racconto del viaggio in Grecia che l’autore riscatta anche la figura di Laura e del suo talento e dimostra per lei ammirazione e stupore. Un altro ritratto, questa volta molto benevolo, che Trevi ci lascia è quello di Walter Siti, venuto anche lui in contatto col Fondo Pasolini e rimasto suo amico; a lui sono dedicati due brevi capitoli nei quali si racconta anche di un’intervista concessa da Siti all’autore.
Con Trevi, con la sua meravigliosa scrittura, con le frasi illuminanti che bucano la pagina, ci caliamo nel mondo di uno dei più importanti personaggi del secolo scorso, nel suo pensiero, ma anche in ciò che di lui ci rimane e che ci ha lasciato semplicemente vivendo la sua vita come arte; possiamo comprendere il nostro presente partendo da qui? Forse è questa la domanda che l’autore aiuta a porgerci quando fa disgressioni sulla politica e sulla letteratura e sulla vita contemporanee. Sono molto felice di aver iniziato l’anno con questo splendido e profondo libro che mi aspettava già da un po’ e che mi lancia una sfida che forse un giorno raccoglierò: la lettura di quel romanzo anomalo che è “Petrolio”.
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PPP= un gigante del pensiero italiano
Un libro che è un po' un romanzo, un po' un dossier
a mio avviso però è soprattutto un ritratto ben riuscito di un grandissimo del pensiero contemporaneo
cioe PPP = Pier Paolo Pasolini.
L'autore spazia dalle descrizioni della sua esperienza al Fondo Pasolini, alle digressioni riguardanti "La Giaguara" ossia l'amica di sempre di PPP , Laura Betti(detta anche bonariamente "La Pazza") fino a narrare con minuzia e precisione dell'ultimo romanzo di Pasolini, Petrolio.
L'alternarsi della varie storie sopra descritte non spiazza il lettore, anzi, a mio parere lo avvicina sempre di più a quello che era il modo di pensare e di agire dello scrittore friulano.
Trevi mette al centro del suo romanzo proprio tutta la vena innovativa, profetica e anche tragica contenuta tra le pagine dell'ultimo romanzo di Pasolini, Petrolio.
S'intuisce quello che è il fine di Trevi, cioè far capire ai suoi lettori che Pasolini abbattendo tutti i clichè degli anni '70, aveva ben intuito la fine che avrebbe potuto far(che puntualmente, sigh, si avverò)..ma non si tirò indietro, lasciandoci in dote un'eredità comportamentale,morale e letteraria difficile da eguagliare.
Molto bello
penso che avrebbe meritato lo Strega più di Piperno
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"Qualcosa di scritto" di E. Trevi - Commento di Br
“Qualcosa di scritto” di Emanuele Trevi è l’opera seconda classificata al Premio Strega 2012, distanziata per due soli voti dal romanzo vincitore (“Inseparabili” di Alessandro Piperno).
Al di là delle classifiche di concorsi dominati dall’egemonia della case editrici in un mercato – come quello dell’editoria italiana – che gli economisti definirebbero “oligopolio”, personalmente ritengo che un riconoscimento a Trevi avrebbe avuto un valore simbolico traslato: quello di onorare la memoria di un grande artista del secolo scorso. “Qualcosa di scritto” è infatti un'opera di critica letteraria sull’ultima produzione artistica di Pasolini (P.P.P.), con particolare riferimento a “Petrolio”, l’ultimo lavoro incompiuto di P.P.P. che tanto scandalo ha suscitato.
L’autore ha lavorato per la Fondazione intitolata al grande regista e dunque, grazie a questa esperienza giovanile e alla frequentazione di Laura Betti, scostante amica di P.P.P., propone la sua testimonianza e fornisce un’interpretazione piuttosto singolare della sensibilità visionaria di Pasolini.
Nel corso della trattazione sono rievocati alcuni momenti del pensiero e della vita di P.P.P.: su tutti, una vibrante rievocazione della terribile notte dell’1 novembre 1975, quella durante la quale, nella desolazione della periferia di Roma, Pasolini venne assassinato in modo spietato e con modalità che sembrano ricalcare una pagina di “Una vita violenta”. Con tutti i misteri che si adombrano sulle responsabilità di un ‘ragazzo di vita’ come Pelosi, detto “Pino la rana”.
Per il tema trattato, ritengo che l’opera sia particolarmente adatta a chi apprezza i saggi di critica, agli estimatori di Pasolini o a chi desideri approfondire la personalità di un uomo di cultura scomodo e originale. E tra costoro rientra anche …
… Bruno Elpis