Quaderno proibito
Letteratura italiana
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Rinunciare a sé per gli altri
Il quaderno proibito che dona il titolo al libro di Alba De Céspedes è il diario che Valeria tiene per circa sei mesi (dal 26 novembre 1950 al 27 maggio 1951). Valeria è moglie di Michele, mamma di Riccardo e Mirella. Vive a Roma e lavora in un ufficio. Non è per tutte le donne a quell’altezza cronologica ricoprire un ruolo di simile responsabilità. Di questo la stessa narratrice ne va fiera. A comandarla in ufficio è Guido, che si innamora di Valeria e i due abbozzano una relazione amorosa extraconiugale. La protagonista del volume è una donna senz’ombra di dubbio coraggiosa. È giunta a quarantatré anni, non si sente ancora anziana, anche se per molti lustri ha messo in secondo piano sé a favore della famiglia e soprattutto dei figli; si è spesa per gli altri, senza riserve, ha pensato alla casa e ha portato avanti la propria attività lavorativa contribuendo al bilancio familiare. Quando, tuttavia, Riccardo e Mirella diventano grandi e sono prossimi a loro volta a costruirsi una famiglia, Valeria perde i suoi punti di riferimento e vive un momento di sbandamento esistenziale. Questo periodo della sua vita coincide con l’acquisto del quaderno, che viene immediatamente etichettato come «proibito» dal tabaccaio perché è stato venduto la domenica e la domenica si potevano vendere soltanto tabacchi, null’altro. Entra nelle mani di Valeria in modo clandestino e clandestinamente continuerà a rimanerci. Sul quaderno emergono ansie e paure, desideri e piaceri di Valeria. Esce la protagonista: la moglie che non ritrova più le antiche sensazioni al fianco del marito e si chiede se ci siano mai state; la figlia che non si riconosce nella mentalità dell’anziana madre; la mamma disorientata di fronte alla crescita di Riccardo e Mirella; l’amante segreta di Guido. Pagina dopo pagina Valeria si compromette nella stesura di questo diario e nasconderlo dalla vista dei familiari diventa un obbligo ossessivo. Non soltanto deve nascondere l’oggetto materiale, ma deve ritagliarsi anche degli spazi per dedicarsi alla scrittura. Nessuno deve sospettare che tiene un diario, quindi toglie tempo al sonno per dedicarsi a se stessa; mente a Michele, a Riccardo, a Mirella pur di dialogare con il suo io più profondo. Il diario cambia Valeria e funge da specchio. La protagonista per tanti anni non si è mai fermata, non ha mai tirato le somme, ha sempre e soltanto lavorato per il bene della famiglia (emblematica è questa affermazione datata 1° gennaio: «Eppure la mia pace nasce proprio dalla stanchezza che provo quando mi stendo nel letto, la sera. In essa trovo una sorta di felicità nella quale mi placo e mi addormento. Debbo riconoscere che, forse, la determinazione con la quale mi difendo da ogni possibilità di riposarmi non è che la paura di perdere questa sola fonte di felicità che è la stanchezza»). Quando impugna la penna e si accinge a scrivere, avvia un’operazione che le richiede fatica e tempo. Scrivendo, le sue certezze si sgretolano e, come detto, cadono quelle che sono state le colonne portanti della sua esistenza. Nella debolezza si inseriscono Guido e le riflessioni relative alla crescita dei figli e ai rapporti con le amiche. Valeria è infatti differente rispetto a molte altre sue coetanee. Si è scavata nel corso degli anni un’incolmabile distanza tra lei e le sue amiche perché lei lavora e provvede ai bisogni economici della sua vita, le altre no. In questo senso Valeria è una donna estremamente moderna e per quanto sa esprimere in ogni ambito della sua vita è uno straordinario modello. Come lei, tante altre donne di ieri e di oggi conducono quasi nell’anonimato giornate doppie tra casa e posto di lavoro. Molto spesso questo viene banalizzato, dato per scontato: Valeria invece lo rimarca con forza, esaltando quelli che sono stati i suoi sacrifici per troppo tempo taciuti.
Alla fine, Valeria non riesce a liberarsi dalle catene di una vita che non la soddisfa più. Abbandonando e distruggendo il diario, si riconsegna alla cruda realtà. Le sue future giornate saranno «bianche, lisce e fredde», ma con una consolazione: quella di essere ricordata come la locomotiva di casa, colei la quale sotto traccia permette all’intero collettivo di funzionare. Per Riccardo rimarrà l’idea di una madre «santa». Si sacrifica ancora una volta, probabilmente in modo definitivo. Lo fa per la sua famiglia e pone una pietra suoi desideri, primo fra tutti il tanto sognato viaggio in Veneto, a Venezia, con Guido. Valeria è l’emblema di una generazione postbellica che ancora non può fare quello che invece proveranno a compiere i nati nella generazione successiva. È Mirella in tal senso a effettuare quel passo ulteriore che è mancato nel cammino della madre. Mirella si emancipa definitivamente, non bada al giudizio dei più tanto da impostare una relazione amorosa con un importante avvocato che si sta separando dalla moglie (il Cantoni). Decide di lasciare Roma per Milano, dove lavorerà come avvocato insieme al suo amato. Mirella è una ragazza che ha studiato e si è guadagnata con il sudore quello che voleva. Si è scontrata con la madre per posizioni generazionali inconciliabili, ma l’ha sempre fatto con una consapevolezza disarmante. Da ragazza è divenuta donna e la sua maturità non può lasciare indifferenti quando si legge questo libro.
Diverso il discorso relativo ai due uomini. Michele è il classico uomo di mezza età che fatica a trovare una nuova meta nel suo viaggio. Ripone tutte le sue speranze in un soggetto cinematografico che affida a Clara, amica d’infanzia di Valeria e per certi versi diversa dalla protagonista. È l’ultima chance per sentirsi ancora un uomo in grado di dire e dare qualcosa. Con Valeria il rapporto è ormai piatto e va avanti per inerzia; la moglie si è trasformata agli occhi di Michele nell’adorata mamma, tanto che ha iniziato a chiamarla «mammà». Riguardo ai figli resta un passo indietro, è come uno che insegue quello che accade e proprio per questo appare sempre in ritardo. Inoltre, anche il posto di lavoro in banca, quello consolidato ormai da anni, non gli dona alcun sussulto. Ecco quindi che la bocciatura del soggetto cinematografico si tramuta nella parola fine per Michele e la sua immagine non può che essere quella sulla poltrona intento ad ascoltare la radio (la stessa del padre di Valeria, ormai completamente estraneo a tutto quello che lo circonda perché non ha più nulla da offrire).
Riccardo, infine, è la sconfitta della generazione che avanza. È soppiantato da Mirella. Riccardo è un debole e la sua debolezza tende a suscitare pietà. Proprio quest’ultimo sentimento è quello che blocca Valeria nel momento in cui vorrebbe cambiare passo nella sua vita; la madre non riesce a realizzare quelli che sono i sogni impressi sul diario perché sente che suo figlio, già grande, già prossimo a sposarsi con Marina, rimasta nel frattempo incinta, ha ancora un estremo bisogno di lei. Non è in grado di uscire dal guscio materno. Prospetta la fine degli studi e inverosimili viaggi in Argentina, ma alla fine resterà (e Mirella è l’unica a dirlo forte e chiaro rompendo la vana illusione di Valeria) a casa sua, facendo accomodare negli stessi spazi la sua futura moglie. Lo scacco matto della debolezza, l’estremo tentativo di richiesta d’aiuto a Valeria, che non può esimersi, se non altro per essere ricordata come una «santa» dal suo Riccardo.
Indicazioni utili
Un piccolo diamante dimenticato
Ad una prima analisi la struttura del libro sembra ricalcare i grandi predecessori del genere diaristico, da “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo, fino a “Diario di una scrittrice” di Virginia Woolf. Indubbiamente, la scrittura come forma di terapia introspettiva è senza dubbio il primo elemento che si presenta agli occhi di un lettore che vuole scavare a fondo sul significato, o per meglio dire, sui tanti significati e i tanti messaggi che questo romanzo porta con sé fin dalle prime righe.
L’incipit del libro, infatti, è già di per sé travolgente. Nelle prime due pagine, grazie anche alla tecnica della scrittura privata, l’autrice, Alba De Cespedes, ci offre il nucleo primigenio del testo: il senso di colpa della donna che osa fare qualcosa per se stessa. (“Ho fatto male a comprare questo quaderno, malissimo. Ma ormai è troppo tardi per rammaricarmene, il danno è fatto”). Qual è il peccato gravissimo commesso? L’aver ceduto ad un impulso, apparentemente inspiegabile, di comprare un quaderno sul quale annotare i propri pensieri. Ma la colpa che la protagonista si attribuisce va anche oltre: aver ceduto anche al bisogno interiore di ascoltare se stessa anche a rischio di trascurare la casa e la famiglia.
Il tutto per colpa di un quaderno. Sì, perché l’oggetto proibito, come dal titolo si evince, nulla è che un semplice quaderno. Assistiamo, dunque, già dalle prime righe alla presentazione di una donna, Valeria Cossati, la cui anima è letteralmente plagiata da secoli di ancestrale condizionamento sociale e culturale. Ma allo stesso tempo, proprio questo peccato (orripilante ai suoi occhi ma assolutamente innocente in una logica oggettiva) le permetterà, man mano che si svolge la storia, di prendere coscienza della sua effettiva situazione.
Ed è sempre nelle prime pagine che la De Cespedes ce lo fa intuire. Infatti Valeria, appena tornata a casa, con il quaderno opportunamente occultato sotto il cappotto, si rende conto di non avere a sua disposizione nemmeno un cassetto nel quale nasconderlo. Il motivo? Tanti, ma uno di questi è il fatto che Mirella, la figlia di Valeria, apre spesso armadi e cassetti per prendere i vestiti della madre in prestito. Un elemento che è sufficiente a farci capire come, oltre a qualsiasi spazio fisico, Valeria abbia da tempo, ed inconsapevolmente, rinunciato anche ad una sua precisa identità. Lei è la madre, o per meglio dire “mammà”, il nomignolo che il marito, Michele, le ha dato poco dopo la morte di sua madre, la suocera di Valeria. Una coincidenza fin troppo chiara per esigere ogni spiegazione di tipo psicanalitico.
Ma è l’atmosfera tutta che appare impregnata di una diffusa sottomissione femminile: la fioraia consiglia proprio poco prima dell’entrata in scena del quaderno, di comprare dei fiori perché “gli uomini le guardano certe cose”. Non è dunque Valeria, ma tutto il mondo nel quale vive (siamo nella Roma del 1950), e dal quale proviene, a forzare la mano su un’educazione che impone alle donne di anteporre la cura della famiglia alla propria vita e a qualsiasi pretesa personale. Fosse anche un quaderno sul quale annotare i propri pensieri.
Ci troviamo di fronte all’Angelo del Focolare di cui Virginia Woolf ha spesso scritto, descrivendolo come il peggior nemico della donna. Di qualsiasi donna che volesse (o anche dovesse) conquistare e poi difendere la propria indipendenza intellettuale ed emotiva, oltre che economica. Ma il personaggio di Valeria appare meravigliosamente sfaccettato. Infatti, sebbene schiavo di alcune convenzioni sociali estremamente radicate nel suo modo di ragionare, in realtà è una donna che lavora.
Anche se il lavoro è stato scelto e vissuto non come una realizzazione personale ma come uno strumento per aiutare economicamente la famiglia. Ed è questa la vera chiave di volta di tutto il racconto perché si comprende come ogni cosa possa avere due facce. Se accorge anche la protagonista nel confronto con le sue amiche, le stesse che, parlando tra loro, danno l’idea di recitare una parte per sembrare sempre felici, ricche ed appagate all’interno di matrimoni che, in realtà, sono stato stipulati come una sorta di contratto.
Per loro, infatti, un marito è letteralmente una fonte di reddito, utile solo per riuscire ad avere denaro, villeggiature pagate e conti saldati a fine mese. Per avere questo, però, sono costrette a rinnegare loro stesse, a temere di venire scoperte, ad inventare scuse di tutti i tipi per riuscire ad avere dei soldi per le loro spese quotidiane. Sono loro a tremare per il timore di fare tardi nel rientrare a casa oppure di essere scoperte dai mariti ai quali avevano mentito per giustificare una visita fuori casa.
La vera donna libera, in questo gruppo, è Valeria. Paradossalmente quella compatita dalle amiche perché (“poverina”)è costretta a lavorare. Ma di questo lei se ne rende conto solo grazie alla scrittura e all’esame, attraverso le pagine del diario, della sua situazione. Ma questo punto offre anche un’occasione perfetta alla De Cespedes per raffigurare un meraviglioso triangolo generazionale, quello tra Valeria, sua madre e sua figlia.
La seconda, infatti, ferma nel suo tempo, compatisce la figlia per essere stata “la prima donna in famiglia” ad essere stata costretta a lavorare. La terza, Mirella, invece, perfettamente conscia della rivoluzione dei sessi già in atto tra le nuove generazioni, decide consapevolmente di studiare (su suggerimento della madre) e di lavorare. Sarà proprio questo, infatti, a permetterle di andare a vivere lontano, anche rischiando di infrangere le leggi morali perbeniste della madre. Ma lei di questo non ha paura perché ha pienamente coscienza dell’importanza dell’indipendenza lavorativa e, soprattutto, di quella mentale. Con lei l’Angelo del Focolare ha perso.
Solo in quest’ottica comprendiamo un’altra realtà dei fatti: Valeria è una donna dilaniata tra il passato nel quale è stata allevata ed il futuro con il quale si trova a vivere. A farle prendere coscienza di questa situazione sarà ancora lui, il quaderno, lo strumento diabolico che ha infranto tutte le sue illusioni, aprendole gli occhi. Lo stesso strumento, la scrittura, che ha dato la possibilità a molte donne, nella Storia, di capire e riflettere.
Chi invece sorprenderà tutti, in negativo, sarà Riccardo, l’altro figlio di Valeria. Giovane ed inesperto, con una visione estremamente maschilista della donna, sceglierà come fidanzata Marina donna caratterialmente sottomessa e apparentemente non molto brillante. La stessa Valeria, incarnando lo stereotipo della suocera, sospetta che Riccardo sia stato ingannato e che l’innocenza della ragazza, sia stata, in realtà, solo una messa in scena. Ma anche in questo caso non è necessario soffermarsi ulteriormente sul rapporto tra madre e figlio.
Per capire la reale natura della sottaciuta morbosità di Valeria, basta semplicemente la considerazione che lei fa nel momento in cui prende coscienza di un bimbo in arrivo. Il nipote, infatti, per stessa ammissione della protagonista, non sarà visto come di Riccardo e Marina, ma di Riccardo e Valeria. La prova arriverà sul finale, quando lei, Valeria, decide di ignorare la sua “ultima possibilità di essere giovane”. Una possibilità inaspettata che si offre a Valeria e che la De Cespedes traduce in un magistrale colpo di scena proprio nelle ultime pagine del libro. Ma anche in questo caso la donna deve piegare nuovamente la testa e rinunciare. L’Angelo del Focolare ha fatto la sua ennesima vittima.