Piccola osteria senza parole
Letteratura italiana
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Sulla fondatezza dei luoghi comuni
“Piccola osteria senza parole” di Massimo Cuomo è un divertente mix di commedia e mistero che per molti aspetti mi ha ricordato il “Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti” di Andrea Vitali.
La vicenda è ambientata in un paesino fittizio al confine tra le regioni del Veneto e Friuli, dove l’arrivo inatteso di un meridionale sconvolgerà le vite di diversi cittadini, portando le parole dove prima c’erano solo gesti e imparando a sua volta l’importanza di un semplice gesto, che spesso può sostituire interi dialoghi.
Il romanzo segue parecchie story line, saldato rapidamente dall’una all’altra, e questo porta ad una lettura rapida, quasi vorace del volume che ho trovato a tratti molto divertente. Peccato per i personaggi, che sono in buona parte il risultato di un lavoro di copia-incolla e, di conseguenza, anche le relazioni tra loro risultano tutte uguali; gli unici a risaltare un po’, ossia Tempesta e Malattia, vengono poi penalizzati dall’inspiegabile virata noir sul finale, che li snatura.
Lo stile è però il vero scoglio di questo romanzo (assieme allo squilibrio imbarazzante tra personaggi maschili e femminili), caratterizzato da virgole dimenticate e cambi continui di tempo verbale: il tutto dovrebbe trovare giustificazione nella premessa del volume, ma questa non spiega la descrizione di scene alle quale il narratore non è partecipe.
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il sotterraneo mutismo della provincia italiana
Piccola osteria senza parole di Massimo Cuomo parla di un uomo, palesemente meridionale, Salvatore Maria Tempesta, che sta cercando un campanile. E finisce a Scovazze, un paese immaginario, al confine tra Veneto e Friuli. A Scovazze capita in un bar osteria, il Punto Gilda, gestito dalla procace Gilda, appunto, appena rimasta vedova. E da qui passano, si incrociano, si scontrano, si amano, si odiano un po’ tutti i personaggi del libro. Che parlano poco, bevono molto, bestemmiano il giusto. Sono un po’ razzisti, all’italiana, ma si fanno voler bene. Sullo sfondo USA94 e come maestro di cerimonie Salvatore Tempesta che, fino alla fine, nessuno lo sa che ci fa da quelle parti lì. Sanno solo che è:
“il terrone che porta sfiga”,
che non le manda a dire, che beve lemonsoda e che piano piano, inesorabilmente, mentre cerca il suo campanile intorno al quale si dipana un mistero, manovra, conquista e stravolge la piccola realtà di Scovazze. Che è la “provincia italiana”: abbattuta dalla crisi economica, e sociale, e sostenuta da silenzi in realtà pieni di chiacchiere e pettegolezzi e drammi. Intorno a Tempesta e al suo mistero girano tutte le storie dei vari, meravigliosi, realissimi, personaggi: storie d’amicizia e d’amore, di dipendenze, debolezze e diversità. Il paroliere che Tempesta porta con lui, ossimoro della mancanza di parole, è la staffetta. Passando di mano in mano, sfiorando le vite di questi personaggi, aiuta a raccontarle e a trasformarle.
Piccola osteria senza parole si fa leggere velocemente, perché in accordo con il titolo, l’autore ha usato poche parole, quelle necessarie. Il risultato è, insieme ad uno stile spezzettato, periodi cortissimi e tantissimi punti, tutta una serie di scene brevissime che messe insieme fanno la storia. O meglio, le storie. Può anche non piacere. Può disturbare questa sensazione di non avere delle belle paginone piene zeppe di dettagli. Può far perdere il filo, la concentrazione… Ma io l’ho adorato. Un libro intelligente, spassoso, realistico nella sua originalità. Dei ritratti superbi. Accompagnati dalle storie parallele, ugualmente importanti, ci ritroviamo quasi inconsapevolmente a seguire un po’ in sordina il mistero di Tempesta e del campanile. L’autore ci distrae per poi darci il colpo di grazia. Ne consegue che le ultime pagine sono bellissime, fittissime e il finale non è per nulla scontato.
Un po’ giallo, un po’ commedia, Piccola osteria senza parole, è un libro molto bello. Da consigliare perché, senza banalità, racconta una parte del vissuto italiano che per molti è sconosciuto e per chi lo conosce, appunto, è banale, spento. Non è un libro buonista, dice la verità senza abbellirla troppo. Ci racconta dell’amore che ha molte facce, e della vita e della verità. Tutte cose che certe volte non sono bianche, né nere, ma grigie. E va bene così. Un libro che racconto con una “seria” e appassionata leggerezza la vitalità nascosta sotto il mutismo della periferia italiana.
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Paroliere, Piedone e Lemonsoda...
Chiudo il libro...e la prima cosa che faccio è cercare "Scovazze" su Google maps, perché vorrei che questo paesino tra il Veneto e il Friuli esistesse davvero, che esistesse davvero "Il Punto Gilda" con tutti i suoi variopinti personaggi: gente semplice, di poche parole (molte delle quali costituite da imprecazioni e bestemmie, rigorosamente in dialetto), apparentemente burbera, un po' razzista, legata alle proprie abitudini, sempre le stesse: il bar, le carte, il vino, le slot machine, le tette della Gilda...
A scombussolare questa quiete arriverà una ritmo decappotabile color amarena (siamo nel 1994!) con alla guida Salvatore Maria Tempesta...segni particolari: terrone.
Tempesta non si trova lì per caso, nessuno "capita" per caso a Scovazze.
Cerca un campanile...
E nel frattempo insegnerà (con il suo amato ed inseparabile Paroliere) l'importanza delle parole pronunciate, infonderà coraggio e intraprendenza in chi non avrebbe mai osato credere in se stesso, sfiderà il loro mondo chiuso e diffidente.
E beve lemonsoda.
"...sente di aver comunque già trovato qualcosa, tutto sommato, in quel posto dimenticato da Dio che si chiama Scovazze.
Storie e paesaggi, sapori e odori, persino degli amici...braci sotto la cenere.
Come le parole nascoste dentro questa gente silenziosa".
Un romanzo intelligente, spassoso, ironico, ma anche di una dolcezza disarmante.
In queste pagine trovi l'amore che non ti aspetti: credo di aver letto una tra le più belle e fiabesche storie d'amore, quella tra Carnera (il gigante che non dorme mai) e Silvana Rasutti (la pazza), descritta con una poesia e una sensibilità commoventi.
"Poi il sonno di mesi, il sonno di tutti gli anni che ha vissuto, affiora come l'acqua dalla cavità nella roccia, travolge, toglie ossigeno, annulla i pensieri e le intenzioni, lo annega di schianto in un mare languido, scuro.
Un mare di sonno profondo quanto la notte che non ha mai dormito."
Cuomo sa essere "profondamente leggero".
Bella l'idea di inserire se stesso, giovane scrittore, come avventore del bar e testimone diretto di tutti i pittoreschi avvenimenti.
Bello anche lo scandire delle vicende narrate con le partite dei Mondiali di calcio del '94 in America.
Quell'anno l'Italia non vinse, ma con questo libro Cuomo ha certamente fatto goal.
Nel mio cuore di sicuro.
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SCOVAZZE
Scovazze, una ridente località di campagna al confine fra Veneto e Friuli è il luogo in cui le vicende prendono campo, è la cittadina in cui fa il suo arrivo Salvatore Maria Tempesta. Subito vezzeggiato col termine di “terrone” dagli abitanti del luogo, Tempesta è un uomo non molto alto, robusto, dal carnato scuro e i lineamenti forti. Nessuno sa quali sono le ragioni che lo hanno spinto nel nord Italia, di fatto questo è costretto a fermarvisi a causa di un incidente che ha colpito la sua ritmo; sinistro che gli permetterà altresì di conoscere una realtà nuova, diversa da quella che potrebbe apparire.
Tanti i personaggi con cui il protagonista viene in contatto, tra questi non manca lo stesso autore che, seduto al banco del “Punto Gilda” scrive, annota, prende spunto per quella che è la sua storia, per quella che è questa storia. Totò si accorge della sua predilezione e nella finzione lo incita a portare avanti la sua passione. Altro elemento fondamentale della narrazione è il paroliere. Questo finisce per caso, prima nelle mani di Carnera, di poi in quelle degli avventori dello stesso bar, luogo in cui si tramuterà in una droga capace di staccare dalla “Sopravvisuta” e dalla “Magnaschei”, le due slot machine ivi presenti, anche il più assiduo ed instancabile giocatore. Ciascun individuo finirà con l’evolversi e con il raccontare di sé. Ciascuno cerca infatti il suo posto nel mondo. E come l’Avvocato, tra tutti colui che maggiormente lega con il forestiero, vivrà la sua mezz’ora di gloria con la donna al volante dalla chioma fiammante, come Malattia si riscoprirà perfetto allievo del “Maestro d’amore” meridionale, così Carnera, l’instancabile gigante buono, scoprirà l’amore con Silvana Rasutti, anche detta “la pazza” poiché forte sostenitrice dell’esistenza di marziani ed altre entità aliene in quel del cosmo. Il tutto, si snoda sulle note del Mondiale del 1994, sui “gooool” di Roberto Baggio, e su quel che è ed era la nostra Repubblica negli anni ’90.
Un romanzo semplice, senza pretese che è capace nella sua genuinità di far sorridere il lettore ma anche di farlo riflettere su molteplici tematiche, fra queste, senza dubbio, quella del pregiudizio. Piacevolissimo è osservare il mutamento delle singole personalità di fronte a questo straniero così temuto e così incompreso, o ancora meditare sul concetto di amicizia e di attesa del sentimento di amore, spirale in cui ogni uomo prima o poi incappa nella propria vita.
Stilisticamente il testo non è particolarmente erudito, si differenzia dalla massa perché diretto ed intriso di espressioni dialettali che se da un lato lo caratterizzano, dall’altro ne possono rendere più farraginosa la lettura. Nel complesso, un buon elaborato con cui trascorrere ore liete, con cui rilassarsi e da non sottovalutare.
« La brezza fresca sale dal fiume, il gusto del pesce gli punge la lingua e un rivolo di soddisfazione gli fluisce nell’anima: per come sente di aver comunque già trovato qualcosa, tutto sommato, in quel posto dimenticato da Dio che si chiama Scovazze. Storie e paesaggi, sapori e odori, persino degli amici, forse, sebbene sia complicato da percepire, piuttosto difficile da interpretare. Bronse cuerte le definirebbero qui: braci sotto la cenere. Come le parole nascoste dentro questa gente silenziosa. » p. 117
« Lo guarda dall’alto e anche lei capisce che il gigante sta parlando. Sta parlando senza parlare.» p.160