Padri
Letteratura italiana
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Oscar, Diego, Gaia, Clara
«Per questo – anche per questo – spegneva subito la luce. Per evitare quello stordimento che ben rappresentavano i rettangoli chiari di muro incorniciati da residui di scotch e intonaco scheggiato, anch’essi appena visibili all’ombra di un grandissimo chignon, e che niente poteva allontanare, neppure il dispiacere per le liti dei propri genitori.»
Dopo “Blu” (Fazi Editore) e “Guasti” (Voland) torna in libreria Giorgia Tribuiani con “Padri”. Questa volta a far da padrone sono i legami, i legami famigliari. Se infatti in “Blu” conoscevamo una protagonista, Ginevra, che cercava di essere vista e che ci portava in viaggio introspettivo fatto di specchi, ossessioni e ombre e se in “Guasti” conoscevamo un fidanzato morto amato dalla nostra eroina, qui conosciamo uno scenario diverso che ha inizio con una morte e una resurrezione. Perché Diego Valli è morto quando Oscar altro non era che un bambino, un bambino che cresce senza quel padre a cui affidarsi e chiedere consiglio e supporto. Tuttavia, all’inizio dell’opera, un uomo con la chiave sbagliata cerca di entrare in quella che è casa di Oscar. Diego, che quella porta cerca di aprire, non sa di avere davanti il figlio ma al tempo stesso non sa nemmeno da quanto tempo effettivamente manca.
Una storia, quella che ha inizio, dai tratti onirici ma che altro non è che uno strumento per descrivere i rapporti, appunto, tra padri e figli. Oscar sa che quello che ha davanti è il padre, ha ricordo dell’ultima sgridata, Diego dal suo canto pensa di essere stato via un giorno e non quaranta lustri. Gaia, figlia di Oscar, non ha dubbi: ha davanti il nonno. Clara, la madre della giovane e moglie del figlio del defunto, porta alla luce le falle di un matrimonio che è sempre più in crisi.
«Che una figlia, in un momento di sconforto, possa chiedere un padre capace di ascoltare e che allora gliene venga dato un altro; che le venga resuscitato un padre più sensibile, più dolce, che ami la poesia e suonare la chitarra – poco prima del suo arrivo, giusto in tempo per l’arrivo, ma Gaia, per favore, c’è qualcosa di cui non ti senti causa? E chi vuoi mai che ti creda?»
Oscar inizia da qui a cogliere le fragilità di Diego, fatica ad accettarla e non riesce a perdonargliele. Al contempo non riesce ad avere un rapporto con la figlia con la quale vi è incomunicabilità. Tuttavia sarà proprio Gaia a cercare di fare da collante, a cercare di ricomporre i rapporti tra “padri”, tra “padri e figli”, tra “moglie e marito”. Anche se questo non sarà semplice o scontato.
Giorgia Tribuiani torna in libreria con un libro pieno di intenti e una trama che per effetto ricorda l’impostazione di “Blu”. Questo anche dal punto di vista stilistico. Ed è forse proprio la sua pecca. Perché seppur si comprenda il messaggio, lo si faccia proprio e lo si custodisca, si fatica a leggere queste 194 pagine che sono frammentarie, un po’ confusionarie ma soprattutto disconnesse. Non sembrano avere una vera e propria uniformità e questo non consente al lettore di entrare davvero in sintonia con le vicende ma nemmeno in empatia con i personaggi. La lettura tende a perdere di incedere, il ritmo si intoppa e stoppa. Ed è un peccato perché “Padri” avrebbe tutte le caratteristiche per riuscire e conquistare un po’ come successo con “Blu” ma non vi riesce. Lo stile poco lineare e discontinuo stanca e per quanto la lettura si esaurisca in poco tempo lascia un senso di incompiuto, di inconcluso, un retrogusto amaro fatto di una dose di insoddisfazione.
«Eppure, continuava Diego, prima o poi i figli crescono e scavano e le trovano comunque, le tue debolezze. E ti odiano per questo: per esserti mostrato invincibile. Ho perdonato mio padre dopo avere avuto te; l’ho perdonato in nome di tutti i miei errori, concedendogli di essere umano. Ma tu, figlio mio, mi hai perso troppo in fretta per scoprire tutto questo.»
Indicazioni utili
- sì
- no