Otel Bruni
Letteratura italiana
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E così spero di voi...
Pur avendolo sentito spesso nominare e consigliare, non mi era mai capitato di leggere nulla di Manfredi, però avevo da diversi anni in libreria una copia recuperata un po' per caso di "Otel Bruni", quindi ho deciso di dare una possibilità alla sua prosa. Forse avrei dovuto essere più accorta nella mia scelta perché questo romanzo si è rivelato non solo una lettura dagli oggettivi problemi contenutistici, ma anche un genere di narrazione poco in sintonia con i miei gusti letterali.
La storia si ambienta nella prima metà del Novecento in un paesino della campagna emiliana e romanza la vita quotidiana della famiglia contadina Bruni, antenati dell'autore stesso. Seguiamo principalmente i figli e le figlie dei capostipiti Callisto e Clerice, vedendo come l'iniziale unità familiare venga progressivamente intaccata tanto dai grandi eventi della Storia quanto dai piccoli contrasti domestici. Sullo sfondo si intravede il cosiddetto Otel Bruni, la grande stalla di famiglia dove amici e viandanti trovano ristoro in caso di necessità.
E già qui troviamo il primo problema, dal momento che di questo Otel Bruni vediamo davvero poco: sembra rilevante nella scena d'apertura, ma poi diventa un'ambientazione come le altre, tanto che durante la Prima Guerra Mondiale viene completamente abbandonato mentre seguiamo le vicende dei giovani Bruni al fronte. Questo si collega alla seconda, grave mancanza del romanzo, ossia la scelta di raccontare o perfino riassumere una gran parte degli eventi anziché mostrarli direttamente al lettore. In questo modo si perde del tutto la premessa narrativa alla base del libro: non incontriamo quasi mai le persone ospitate nell'Otel Bruni, non vediamo i Bruni accogliere qualche sventurato, non percepiamo l'atmosfera di convivialità che questa propensione all'ospitalità dovrebbe creare.
Rimanendo sul piano oggettivo, altri difetti sono rappresentati dalla presenza di troppi personaggi, tutti carenti sul fronte della caratterizzazione. Reputo assurdo poi che figure teoricamente rilevanti -come le mogli di alcuni fratelli- non vengono neppure menzionate, mentre a caratteri estranei alle dinamiche familiari venga dedicato parecchio spazio. A livello d'intreccio abbiamo davvero poco materiale, tanto che nell'epilogo il caro Valerio Massimo sembra quasi colpito da un'epifania e, realizzato di non aver seguito una vera trama, inserisce un colpo di scena con cui tenta (fallendo) di chiudere un cerchio immaginario.
La prosa dell'autore crea inoltre uno scollamento tra le premesse narrative e la loro effettiva resa; un chiaro esempio è rappresentato dal capitolo dedicato alla lettera del notaio genovese: il lettore viene informato che questo evento sconvolgerà gli equilibri tra i Bruni, ma a fine capitolo Manfredi si premura di sottolineare di come nessuno si occuperà più della vicenda. In relazione allo stile va poi specificato che in più passaggi si ha l'impressione di leggere un manuale agricolo o un saggio storico anziché un romanzo, e mi sembra davvero strano dirlo (visto che di solito le mie lamentele virano nel senso opposto) ma avrei di gran luga preferito trovare meno Storia e più storia in questo libro.
Altre critiche personali riguardano la scelta di avere soltanto personaggi puri e buoni come protagonisti -perché tendo a preferire dei caratteri meno perfetti e più verosimili-, ed il sottotesto nostalgico e patetico che trasuda dall'intera narrazione: rimpiangere continuamente un passato idealizzato non fa proprio per me! Come non fa per me la retorica della disgregazione familiare, qui perfino priva di sostanza dal momento che, benché i Bruni abitino nel podere da almeno un centinaio di anni, non vediamo nessuno dei fratelli di Callisto quindi anche il loro nucleo è il risultato di una qualche sorta di scissione.
In barba alla negatività, voglio nominare anche qualche aspetto positivo del romanzo. Innanzitutto mi ha stupito non poco la scorrevolezza del testo, a dispetto dell'ampio utilizzo di dialettismi anche al di fuori dei dialoghi; dialettismi che hanno comunque il pregio di rendere la storia in linea con il contesto culturale. Pur non avendole apprezzate appieno, mi sento di menzionare (e lodare!) nuovamente l'accuratezza storica e l'ambientazione realistica, che permettono una buona immersione nelle vicende raccontate. Per ultimo cito l'elemento folcloristico, che si mescola ad una sorta di realismo magico e dona un tocco di colore ad una storia altrimenti in bianco e nero.
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Parte bene, poi s’inceppa
L’idea, non nuova, è interessante: parlare della nostra storia della prima metà del XX secolo attraverso le vicende di una famiglia contadina, i Bruni. Congiuntamente a questa intenzione, l’autore si proponeva, probabilmente, anche di dar vita a una saga familiare, evidenziando un mondo rurale ormai scomparso, una civiltà, insomma, quella contadina che con gli anni del boom economico è venuta meno. Dico subito che all’inizio l’opera mi ha avvinto non poco, nonostante le non poche lacune; del resto queste storie mi hanno sempre interessato, forse memore dei racconti dei nonni le cui origini erano contadine. Dagli inizi del del secolo scorso fino all’incirca alla sua metà si può così leggere delle vicende dei Bruni, in origine coltivatori a mezzadria di un appezzamento di terreno, una bella famiglia patriarcale con padre, madre e, circostanza frequente all’epoca, un bel po’ di figli. Se l’ambiente è reso bene, tuttavia si può notare già dalle prime pagine come sia approssimativa la caratterizzazione dei personaggi, circostanza che si accentua mano mano che passano gli anni con il naturale aumento dei protagonisti, poiché i figli e le figlie si sposano, e a loro volta hanno altri figli; questo, proprio per la carenza di caratterizzazione, fa sì che si possa ingenerare un po’ di confusione. Inoltre, l’autore sembra tendere a privilegiare più le vicende che gli indispensabili contorni ed è così che si sofferma a lungo sull’esperienza della prima guerra mondiale, peraltro resa bene, anche se, per uno storico come lui, è sorprendente il madornale errore che ha commesso quando scrive che alla morte dell’imperatore Francesco Giuseppe gli succede il figlio Carlo, ma quest’ultimo è tutt’altro, è un pronipote, e neanche in linea retta, ma collaterale visto che lo scomparso monarca era un suo prozio. Comunque, fino agli anni della guerra d’Etiopia il libro scorre bene e la lettura è anche piacevole, benchè Manfredi non vada a fondo negli eventi che contano, come il sorgere del fascismo. Più o meno dal 1936 la macchina narrativa comincia a perdere colpi, a incepparsi e si arriva in un attimo alla seconda guerra mondiale, di cui si parla poco, tranne quando, dopo l’8 settembre del 1943, inizia la Resistenza, anche questa trattata abbastanza superficialmente, peraltro con un tono da leggenda. Inoltre, é netta l’impressione che l’autore sia stanco e abbia fretta di finire il suo lavoro, o che comunque abbia perso il filo conduttore, visto che certi personaggi, a cui si era dato risalto, scompaiono senza che si sappia più nulla di loro, mentre ne entrano altri come se questi ci fossero noti e invece ci sono perfettamente sconosciuti, perché Manfredi non ne ha mai parlato prima. Anche il declino della civiltà contadina é appena abbozzato, tanto che viene da chiedersi perché sia poi finita, il tutto in presenza di una costante approssimazione che è lecito trovare nel caso di un autore alle prime armi, ma che non mi sarei mai aspettato da un narratore di lungo corso.
Per farla breve, ho iniziato il romanzo colmo di entusiasmo, entusiasmo che è andato scemando per essere sostituito da una perniciosa noia, tanto più che, mano a mano che mi avvicinavo alle ultime pagine, cresceva in me l’impressione di trovarmi di fronte a una telenovela. Le intenzioni dell’autore erano senz’altro buone, ma la realizzazione, purtroppo, è risultata inadeguata. Il libro comunque si può leggere, ma solo se si sorvola sulle molte lacune.
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Famiglia Bruni
Una saga familiare ambientata in Emilia, protagonisti una famiglia di contadini le cui storie, sia dei genitori, Callisto e Clerice, che dei 7 figli, vengono narrate con dovizia di particolari e facendo emergere le peculiarità di ognuno. Otel Bruni abbraccia come epoca dalla prima guerra mondiale alla fine della seconda, ed è punto di ritrovo sicuro dove il viandante sa di poter ricevere accoglienza e un minimo di conforto, proprio partendo da queste basi di solidarietà e ospitalità che si forma il carattere del più intraprendente dei 7 figli , cioè Raffaele detto Floti, a mio avviso il vero protagonista del testo. Concludo estrapolando un passaggio in cui Raffaele impegnato sul fronte, nel vivo della prima guerra mondiale mentre il Gen Cadorna viene sostituito da Diaz, ha un intenso scambio verbale col suo Capitano(p98):
...""So che cosa pensi, Bruni, e in parte hai ragione, ma tu non sai come stanno le cose e non puoi capire quello che gli italiani hanno patito per secoli a causa della perdità della loro libertà e indipendenza. Una nazione è un pò come una famiglia. Bisogna stare tutti insieme, e quando uno da fuori vuole entrare in casa nostra deve chiedere permesso e comportarsi come un ospite , non come un padrone, e il frutto del nostro lavoro deve restare qui da noi. E chi sta meglio deve aiutare chi sta peggio""Floti annuì senza dire verbo e Cavallotti concluse il suo discorso: "Lo so che abbiamo visto troppi morti, troppi...anche io no ci dormo la notte, non credere. I miei ragazzi non li mando allo sbaraglio e faccio tutto il possibile per non esporli inutilmente al pericolo" "" E fa bene signor Capitano" disse Floti facendosi coraggio, " perchè le loro madri mica li hanno comprati al mercato, li hanno fatti e partoriti e vegliati la notte quando erano ammalati , e nutriti con quello che avevano di meglio perché crescessero e vivessero il più a lungo possibile. Speriamo che questo generale la pensi come lei"". Cavallotti chinò il capo in silenzio per qualche istante, poi andò a controllare le postazioni. Prima di sera lo nominò caporale""
Particolare
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COINVOLGENTE
Il testo racconta delle vicende della famiglia Bruni nel periodo che intercorre tra lo scoppio della prima guerra mondiale e la fine della seconda, ponendo il lettore davanti alla devastazione che i due conflitti portano nelle vite dei protagonisti.
Bella soprattutto la figura di Floti che tanto mi ha ricordato il mio bisnonno anche lui combattente nella prima guerra mondiale e poi costretto, durante il periodo fascista, ad abbandonare il suo paese d'origine.
Ho trovato dolcissima l'immagine di Fonso che, una volta tornato dal lavoro, leggeva a voce alta, appogiato al comò della camera da letto, facendo risuonare la casa "delle parole di Dumas o di Tolstoj".
Molto crude sono, invece, alcune immagini del periodo della resistenza che colpiscono il lettore come un pugno allo stomaco.
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STILE
Ho appena terminato Otel Bruni,non nascondo che all'inizio ero un pò scettico sul tema proposto dal libro, non per mancanza di fede verso le capacità storico/narrative del Professor Manfredi, ma più per gli anni in cui ambientava la storia, da me non molto amati, ma che pultroppo fanno parte della nostra storia recente. Oltre ad essermi ricreduto, ho divorato il libro in 2 sole sere,è stato magnifico,a tratti triste ed angoscioso per le disavventure che dovevano affrontare i Bruni, ed ho avuto un vero tuffo nel passato, mi sono ritrovato completamente immerso nelle storie che mio nonno mi raccontava quand'ero piccolo, e che oltre a non dover essere dimenticate, vanno tramandate, soprattutto per il periodo storico in cui stiamo vivendo. La scrittura forse doveva approfondire alcuni particolari lasciati un pò in secondo piano, ma non hanno scalfito l'opinione che mi sono fatto di Otel Bruni.Un libro magnifico che sto consigliando a tutti. Grazie veramente Professore,mi ha riportato bambino.
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Bello, ma non un capolavoro.
Questo romanzo aveva tutte le potenzialità per essere un capolavoro, ma così non è stato.
L'autore caratterizza bene certi personaggi ma non tutti (per esempio Dante), le vicende della prima guerra sono incentrare su Floti, Gaetano, e Checco, ma non sugli altri.
La superstizione iniziale della capra d'oro, meritava forse una continuazione nel corso della lettura, invece sembra essere stata introdotta per sostenere un finale un po' forzato.
Detto ciò, il libro si legge tutto d'un fiato e la vicenda della famiglia Bruni, si dimostra interessante, anche perchè attraversa un periodo storico, fra le due guerre, che ho sentito testimoniare direttamente dai miei nonni.
Triste è l'abbandono della famiglia della fattoria, con l'incapacità della matriarca Clerice di tenere unita la famiglia (anche a seguito dei lutti subiti) e di almeno uno dei figli a "reggere" il passaggio generazionale. Anche se il paragone non è dei migliori, in quanto metto a confronto la lettura dei libri, con la visione dei film, a "Otel Bruni" manca la poesia che si riscontra ne "L'albero degli Zoccoli" di Ermanno Olmi (palma d'oro a Cannes nel 1978) e la forza politica presente in "Novecento" di Bernardo Bertolucci.
Per essere completo il libro doveva forse contenere il triplo delle pagine, con un maggiore dettaglio narrativo , come ne "Mondo senza fine" o i "Pilastri della terra" di Ken Follet.
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L'albero degli zoccoli
Novecento
La neve nel bicchiere