Novecento
Letteratura italiana
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Fermo sul terzo gradino...
Quanta bellezza racchiusa in così poche pagine.
Una vita iniziata e finita in una nave, in 88 tasti di un pianoforte.
Una vita che non riesce ad andare oltre, che non riesce a scendere quei tre scalini che la separano dalla terraferma, dalla brulicante realtà con le sue strade, tante, troppe, così tante da non poterne immaginare la fine.
Troppe incognite, troppe variabili.
E allora Novecento rinuncia, si volta e torna indietro.
Torna alle sue note, che sono soltanto 7, ma con cui riesce a inventare infiniti mondi, uno per ogni passeggero del Virginian, uno per ogni sogno che non potrà mai realizzare, per tutte le donne che non amerà mai, per i figli che non potrà avere, per la vita che ha scelto di non vivere.
"Cristo, ma le vedevi le strade?
Anche solo le strade, ce n'era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una...
A scegliere una donna, una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire.
Tutto quel mondo,
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce,
E quanto ce n'è,
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla? A viverla…"
Lui è un uomo senza patria, senza famiglia, senza data di nascita.
Ufficialmente non è mai esistito.
Lui sa stare solo lì, sul transatlantico dove è nato e dove è stato abbandonato, dove è cresciuto suonando e dove vive i sogni e le passioni degli altri trasformandoli in musica, una musica unica, travolgente, una musica mai suonata prima.
La terra è una nave troppo grande per lui...
"La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò. Lasciatemi tornare indietro.
Per favore."
Novecento ha paura.
Novecento è la paura!
La paura di impattare nella vastità delle relazioni umane con tutto il loro carico di responsabilità, delusioni, difficoltà, sconfitte, dolori, nell'ignoto dei sentimenti, che sono tanti, troppi, infiniti...
Eppure Novecento non è poi così strano...
Chissà quanti di noi sono fermi, da troppo tempo, su quel terzo gradino... a guardare la vita scorrere da lontano.
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STORIA DI UN BAMBINO MAI NATO
Dopo la piacevole scoperta di Baricco con Seta, ho voluto leggere questo libro che per tanti è considerato un suo capolavoro.
Devo dire che, forse per le aspettative che erano parecchio elevate, sono rimasta abbastanza delusa.
Lo stile di Baricco è sempre piacevole, come in tutti i suoi romanzi.
Riesce a raccontare momenti drammatici e illogici con una grande leggerezza ma non ho apprezzato l’intercalare del monologo teatrale. Spesso mi distraevano e annoiavano rispetto l’evolversi della trama.
La storia l’ho trovata molto prevedibile (puntualizzo il fatto che non ho mai mai visto nulla di rappresentanto in merito ne film ne teatro).
Non c’è una storia vera e propria da seguire, tranne che la nascita e poi la fine di questo personaggio.
Forse il fatto di essere breve non aiuta ad appassionarsi. Penso che qualche altro capitolo per dare più colori oltre le scale del bianco e del nero sarebbero serviti per creare più empatia con i lettori.
Sembra un albero privo dei rami, visualizzato descrivendo solo il tronco della sua esistenza.
Proverò a leggere altro dello stesso autore e magari fra anni a rileggerlo per vederne spunti diversi a quelli colti nella mia prima lettura.
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MILLE NOTTI DI NOTE SULL'OCEANO
Ci troviamo a bordo del “Virginian”, una nave a vapore che a cavallo delle due guerre faceva la spola fra l’Europa e l’America, trasportando passeggeri di ogni etnia e ceto sociale; una volta saliti a bordo, sul ponte in prima classe, incontriamo il ricco industriale vestito di tutto punto mentre passeggia rilassato fumando un sigaro, oppure l’elegante signora appartenente a chissà quale nobile famiglia europea in vena di scoprire ogni mistero del Nuovo Continente. Scendendo in seconda classe vediamo uomini in cerca di fortuna o di avventura, gente qualunque o gente particolare, seduti a conversare o con lo sguardo perso all’orizzonte, ognuno di loro in trepidante attesa di sbarcare verso una nuova vita o di riabbracciare una persona cara, mente tutt’attorno l’Oceano culla e sbalza e tutto questo vortice di sguardi, voci e sospiri ci risucchierà e ci farà precipitare rovinosamente negli abissi neri di questa città galleggiante, la terza classe, il girone dantesco gremito dagli ultimi, gli emigranti, centinaia di poveracci che salpano a bordo con tanti figli e rattoppi quante speranze riposte in un futuro migliore che potrebbe davvero trovarsi al di là del mare.
E proprio alla fine di uno di questi lunghi viaggi, con il Virginian ancorato al porto di Boston, ecco comparire un neonato abbandonato sul pianoforte nella sala da ballo della prima classe, all’interno di scatola di cartone: il piccolo verrà chiamato Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, così pomposamente ribattezzato dal marinaio che lo trovò, Danny Boodmann per l’appunto, il quale lo crebbe amorevolmente come fosse il vero padre. Una notte come tante altre, il ragazzino si sedette al pianoforte e iniziò a suonare una melodia così intesa che pareva esser guidato della mano invisibile di Dio: fu allora che nacque la sua leggenda, quella di Novecento, lo straordinario pianista che non scese mai da quella nave. E nessuno mai seppe il perché.
Quest’opera fu pensata e scritta dall’autore sotto forma di testo teatrale, dal quale successivamente ne derivò uno spettacolo; è un libro in bilico fra una messa in scena e un racconto da pronunciare ad alta voce, fatto sta che l’ho letto tutto d’un fiato, immaginando di salpare a bordo del Virginian negli anni ’30, con il mio vestito ricco di orpelli e un baule carico di sogni, cullata dalle onde e dalle note suonate da un pianista unico al mondo. Un uomo che con la sua magnifica dote seppe incantare migliaia di persone e che attraverso di esse visitò quel mondo che mai volle conoscere perché consapevole di non appartenervi; mai come in qualunque terra si sarebbe sentito più straniero di quanto lo fosse in realtà e questa condizione finì per condannarlo ad una solitudine di sentimenti inespressi e di emozioni negate che come rondini in volo potevano assaporare la libertà solamente per mezzo della sua musica.
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Il Barone Rampante sulla nave
Alessandro Baricco è stile puro. Alcuni suoi lavori sono eccellenti (Oceano Mare, Catelli di rabbia), altri meno emozionanti, ma in ogni caso perfetti (Seta, tre volte all'alba, Emmaus). Molti recensori hanno definito questo autore come un affabulatore, forse condizionati dall'impegno nel campo del teatro, della musica, delle rubriche giornalistiche (Barnum) o informatiche (The game). Niente di più errato. Anche Leonardo da Vinci (mi si perdoni il paragone) non era certo solo inventore.... Credo che un critico oggettivo sia in grado di notare immediatamente l'estrema accuratezza che Baricco fa propria nella scelta dei termini, delle frasi, delle descrizioni. Il meccanismo è perfetto, quasi matematico. Non vi è lo strabordare quantitativo che connota molti autori (anche italiani) che in 400-500 pagine ci narrano ciò che con 150 massimo 200 potrebbero efficacemente trasmetterci. Questa sintesi nulla toglie all'efficacia emozionale e quasi magica della storia. Leggere Baricco è come tuffarsi nelle fiabe italiane di Calvino o ancor più indietro nell'Odissea. Ci coglie uno stupore e una meraviglia che solo i grandi scrittori riescono a trasmetterci. Quando ho letto Novecento (discretamente trasposto sul grande schermo) mi è immediatamente sovvenuta la figura del Barone Rampante, di calviniana memoria. In questa micro storia in poche, magistrali pennellate si snodano temi universali, l'amore, la solitudine, l'amicizia , l'arte, la consapevolezza di avere un posto nel mondo e nella storia, nella vita. La scelta di come siamo e di come vorremmo essere, l'inevitabilità della fine di uno che può essere l'inizio di altri. Leggere Baricco è come ascoltare una canzone a volte triste e a volte allegra, un susseguirsi di elementi emozionali spesso non definibili. Il senso generale è quello di aver assistito ad un fenomeno naturale connotato da bellezza, come un tramonto o una stella cadente. Baricco esce dai confini del libro come pochi altri (forse la Capriolo) rendendo tangibili le emozioni.
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Se non sali adesso, non sali più
Ho letto “Novecento” con curiosità e timore.
62 pagine sfogliate, recensite ed elogiate da un numero sterminato di lettori.
E ora lette da me, che mi sono sempre sentito allergico, non so neanche per quale motivo preciso, a Baricco.
Non è la prima volta che leggo qualcosa dell’ autore. Non saprei dire se questa sia grande letteratura. O se Baricco sia soltanto un grande affabulatore. Se sia apprezzabile che la vera letteratura abbracci la dimensione del grande pubblico o se questo sia il sintomo che per cercare quella, la vera letteratura, si debba guardare altrove.
Io non lo so se “Novecento” meriti il successo che ha avuto. Non sono un critico letterario. Sono soltanto un semplice, per quanto appassionato, giovane lettore.
E non ho ancora deciso se il modo di scrivere di Baricco mi stia simpatico o meno.
Ma credo sia oggettivamente doveroso riconoscere un grande merito del monologo. L’ universalità.
Parla di noi, tutti. Delle nostre storie.
Parla della paura quotidiana di staccarsi da quello che è sicuro, conosciuto, per abbracciare nuovi e imprevedibili orizzonti.
La paura, umana e terrena, di vivere un’ esistenza intrappolata nel nostro amato finito, sognando di gettarsi ad occhi chiusi verso un infinito che potrebbe essere migliore, ma che forse non si avrà mai il coraggio di raggiungere.
La paura di chi si rifugia nei propri porti sicuri.
La paura del mondo, delle persone.
Di non farsi trovare pronti al momento giusto.
Di non cambiare un lavoro che non ci fa sentire realizzati. O viceversa, di non cercare quello che davvero abbiamo sempre sognato.
Di non avere la risposta pronta quando servirebbe.
Di non saper staccare i cordoni ombelicali che ci tengono ancorati ad un’ infanzia e ad un’ adolescenza che in qualche modo a volte ci portiamo ancora dentro da adulti.
Di non fare quel viaggio che nella nostra testa abbiamo già immaginato migliaia di volte.
Di non compiere quei pochi passi che ci separano dalla donna che abbiamo sempre desiderato conoscere, nonostante gli sguardi si siano già incrociati almeno una volta di troppo.
Con il sincero augurio che quando sarà il nostro turno, sapremo scendere quei dannati scalini delle nostre navi, qualunque esse siano.
Quando un testo intercetta i sentimenti di così tanti lettori, non può lasciare indifferenti.
E allora forse ha ragione Dave Eggers, quando afferma che “ dovremmo gioire le rare volte in cui la letteratura entra nel mainstream, non rinfacciarle la popolarità”.
“La vita è una cosa immensa, lo volete capire o no ? Immensa”.
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Danzare con l’Oceano…
Questa è la storia leggendaria del pianista migliore al mondo, Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento, figlio illegittimo dell’Oceano, cresciuto, vissuto e scomparso nel ventre del suo transatlantico natio, il maestoso Virginian, senza mai aver calcato per una sola volta la terra ferma.
Novecento è un personaggio unico ed indelebile della narrativa: avvolto dall’aura intangibile del prodigio, racchiude in sé una profonda, struggente malinconia, legata ad una sua certa solitudine, in qualche modo propria del suo stesso straordinario modo di concepire il mondo, difficilmente condivisibile con il resto dei comuni esseri mortali. Lo stesso narratore, virtuoso trombettista della favolosa orchestra delle serate di gala sul transatlantico, per quanto affascinato dalla luminosa figura del pianista, e per quanto vicino possibile ad un rapporto di intima amicizia con questo strabiliante personaggio, non è mai completamente capace di decriptarne gli arcani pensieri.
Perché Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento è sovraumano, fatto non di carne ed ossa ma della materia dei sogni e degli ideali e per questo solitario nella sua dimensione celestiale, incantevole ed inaccessibile.
Novecento è un genio, ma questa è la sua condanna da scontare, lui non può mischiarsi agli altri e non può avere l’empatia di nessuno, lui suona la sua musica divina danzando con l’Oceano, viaggia in lungo e in largo col pensiero, ma non può scendere dal Virginian, perché tutto ciò che sta fuori è altro da lui. Eppure ispira una grande compartecipazione emotiva, perché in fondo ciascuno di noi rivive questa malinconica solitudine ogni qual volta si trova nella condizione di non riuscire ad esprimere le proprie sensazioni, i propri crucci, le proprie speranze.
Il racconto ha uno scorrere che rievoca in chi legge la danza sulle onde del Virginian, magico traghettatore di speranze umane per l’Oceano Atlantico verso la terra promessa dei desideri e dei miraggi. Il registro linguistico va dal volgare e colorito all’aulico e sublime, viaggiando tra i possenti motori del ventre della nave, tra gli afrori e la vitalità della terza classe fino al lusso della prima classe e i sollazzi della fastosa sala da ballo.
Alessandro Baricco è un narratore con pochi eguali, che certamente non si smentisce in questo piccolo capolavoro: ha la dote eccelsa di agganciare l’attenzione del lettore trascinandolo completamente all’interno dei suoi racconti, gioca con la sintassi e il vocabolario senza temere affatto di prendersi ogni tanto alcune licenze, regalando frizzantezza e dinamismo alla scrittura con tecniche ed espedienti che ne caratterizzano decisamente lo stile.
Novecento è uno splendido testo teatrale,
Novecento è un magnifico monologo,
Novecento è un intenso distillato di poesia,
Novecento è una storia eccezionale ed indimenticabile.
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Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento
Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento suona il suo pianoforte con quella maestria e libertà proprie di chi quei tasti li sente sulla pelle, di chi quella melodia l’ha scolpita nel cuore e nell’anima, di chi, già dalla prima battuta, si ritrova ad abitare un’altra dimensione, un altro mondo. Ed è sul Virginian, nave tanto amata quanto dimora provvisoria che da un momento all’altro può venire meno, che l’incanto della musica nonché della storia narrata dalla sublime penna di Baricco, ha inizio.
Nave che è sinonimo di “casa” in un mondo in movimento composto da uomini e donne dai mille colori, con vite che si incontrano e scontrano fondendosi in un’unica sinfonia. Mai è sceso a terra Novecento, egli il mondo di fuori lo osserva dal ponte, lo ascolta dai racconti e dalle chiacchere dei passeggeri, lo respira tra un profumo e l’altro della giornata. Quello scenario che si apre in lontananza ai suoi occhi è tanto estraneo quanto sconosciuto è, per chi non ha mai viaggiato in mare, l’Oceano. Non vi è scelta per Novecento, non vi è alternativa, prendere una decisione non sarebbe altro che una sofferenza, perché come si può scegliere quale nota suonare a discapito di un’altra? Come si può rinunciare a quella sinfonia che ci scuote dall’interno e che fa di tutto per uscire? Novecento è l’accordo vivente di una melodia infinita; egli riesce infatti ad accordare quello strumento che tutti abbiamo dentro ma che spesso, per circostanze e/o disarmonia, non riesce a produrre alcun suono, alcuna melodia.
Novecento è passione, è voglia di vivere, è poesia. Una delle prime opere di detto autore che ho avuto modo di leggere, e che è sempre un piacere rileggere, ogni volta con un nuovo spirito, ogni volta con una nuova e mutata consapevolezza.
«Io, che non ero stato capace di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio. Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio.
Non sono pazzo, fratello. Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci. Siamo astuti come animali affamati. Non c'entra la pazzia. È genio, quello. E’ geometria. Perfezione. I desideri stavano strappandomi l'anima. Potevo viverli, ma non ci son riuscito. Allora li ho incantati. E a uno a uno li ho lasciati dietro di me. Geometria. Un lavoro perfetto.»
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Pura poesia
Questo romanzo narra l’emozionante storia del pianista Novecento, mai sceso dalla nave “Virginian” dov’era nato. Viene trovato per caso da Danny Boodman, un marinaio di colore alla nascita che gli farà da padre fino all’età di otto anni, fino a che non morirà in una burrasca. Il bambino scompare misteriosamente nei giorni successivi alla morte di Danny e quando ricompare incomincia a suonare il pianoforte Così iniziò ad esibirsi tutte le sere sul piroscafo che portava gli emigranti in America; la gente saliva da qualsiasi parte del mondo per sentirlo suonare. Molto importante, la figura del narratore, il trombetista amico di Novecento e colui che ci racconta la storia.
Fu questa pagina ad avvicinarmi alla lettura di questo romanzo:
“A me m’ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c’è una ragione. Perché proprio in quell’istante? Non si sa. Fran. Cos’è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C’ha un’anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un’ora, un minuto, un istante, è quello, fran. O lo sapevano già dall’inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto fra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d’accordo, allora buona notte, ‘notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto: fran. Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli, un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all’Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: “A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave”. Ci rimasi secco. Fran.”
.....rimasi di sasso, per quant'era stupenda questa pagina. Non so era applicabile alla vita umana, a quello che stavo provando in quel periodo.
Uno dei migliori libri di Baricco, è inspiegabile come con passione egli riesca a descrivere questo personaggio e le emozioni che la sua musica suscita in milioni di persone. Nel romanzo viene sottolineata anche l’immensità del mare, scenario comune ai tanti migranti che salgono e scendono dalla nave. Altra protagonista è la musica, dalla quale Novecento non riesce a svezzarsi, non riesce a pensare ad una vita all’infuori di quella che conosce. Pagina dopo pagina riesce a conquistarti e catturarti e inizi anche a provare strane emozioni di commozione nei confronti di Novecento.
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Malinconica malinconia
Non avevo mai letto nulla di Baricco e non so se leggerò altro. Colpita dalla moltitudine di commenti positivi, ho cominciato la lettura ricca di aspettative.
Molto malinconica la storia, ma molto positivo il personaggio di Novecento, così legato alla sua nave da non abbandonarla mai.
L'ho trovato però un po' scarno, frettoloso come romanzo. Credo sia sicuramente meglio "assistervi" una volta messo in scena, i commenti di "scena" mi hanno un po' distratto dalla lettura e dall'essenza del romanzo stesso.
Consiglio comunque la lettura, perchè i libri da non leggere sono sicuramente altri.
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Sinfonie di mare, cielo e terra
Baricco con “Novecento” ci ha regalato una piccola grande opera. Le sue parole scorrono come la musica che Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento suona sul suo pianoforte, leggero come l’aria, sulla sua “terra” natia, la sua casa, il suo mondo, quella nave tanto amata, il Virginian.
Quella nave, residenza temporanea di un mondo in movimento, tramite quei suoi così diversi passeggeri, le cui vite sono una sinfonia unica diversa in base alla provenienza, all’esperienza, all’essere. Tutte quelle sinfonie unite in una, quella suonata da Novecento, che il mondo non l’ha visto ma l’ha udito dalle note dei suoi abitanti, abitanti temporanei di quella nave di cui in qualche modo Novecento rappresenta l’anima.
Dalla limitata grandezza della sua nave Novecento osserva il mondo di fuori, così estraneo a lui come lo è l’Oceano per noi, e ci vede una vastità di scelta impossibile da affrontare, come suonare una musica su un pianoforte dagli infiniti tasti. Come scegliere una nota a discapito di un altra? Dai suoi occhi innamorati della vita osserva nel mondo una musica potenzialmente infinita, mentre per noi spesso, nel mondo che ci appartiene, ci sentiamo come se non potessimo produrre un suono, come se di nota non ne avessimo a disposizione alcuna, quando in realtà ci rifiutiamo volontariamente di suonare, di vivere per davvero.
Eppure quel che abbiamo dentro è già di per sé una musica armoniosa, se riusciamo a mettere a posto gli accordi. Ogni uomo con la sua personale melodia, che unita a quella degli altri dà vita a una sinfonia unica che ci identifica, piccola goccia d’acqua nell’immenso oceano dell’universo.
Una piccola imperdibile perla.
“[...] d’improvviso, vedevi il mare. Non l’aveva mai visto prima, lui. Ne era rimasto fulminato. L’aveva salvato, a voler credere a quello che diceva. Diceva:" E’ come un urlo gigantesco che grida e grida, e quello che grida è: ‘banda di cornuti, la vita è una cosa immensa, lo volete capire o no? Immensa.’".”