Non è successo niente
Letteratura italiana
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Mai stato così male come da quando sto bene.
Avevo letto poche pagine di questo libro e siamo entrati in risonanza.
La prova? Sono andata a cercarmi anch’io un font che riproducesse quello della macchina da scrivere. Della MIA macchina da scrivere (non ci ho messo sei mesi. Io no. Però neanche sei minuti). E usavo il Times New Roman praticamente da sempre; mica era brutto. Ma così è meglio.
Il prossimo step sarà la tastiera che fa tik-tik. E magari “dlin” a fine riga.
Ho capito che era un incontro importante non solo per questo, ma per quella sensazione di “mettere a posto” che ho avvertito da subito.
La storia dell’incontro è breve: era fra le proposte di libro del mese nel gruppo di lettura piccolo e aureo, ma – as usual – non ha vinto.
Fra l’altro gli ho votato contro pure io. Per le ben note idiosincrasie. Appena parte la “campagna elettorale” io voto altro. A prescindere. Ha vinto l’ultimo di King e ben mi sta così imparo a non dar retta all’istinto e a farmi condizionare dalle campagne elettorali altrui.
Sleeping Beauties assolutamente dimenticabile, questo di Sclavi decisamente no. E per questo difficile da recensire e commentare. Facile da stravolgere e “macchiettare”.
Mi ha fatto ridere, dell’imbarazzante risata solitaria sul tram, già a pagina 25 con: “L'ANTIFURTO CON LE PALLE GIUSTIFICA GAETANO BRESCI". E mica solo quella volta lì. Che le battute da “segnarsi” si sprecano e – peraltro – dopo un po’ cominciano pure ad autogenerarsi spontaneamente.
Identificazione pressoché immediata con Cohan, con le sue idiosincrasie per la burocrazia, la posta, la mancanza di metodo del disordine altrui, i soldi, i conti, i rapporti umani, i viaggi, i gatti, i lavori in casa, la pigrizia, il risveglio, il fare le cose in anticipo, la famiglia, la Luci.
La Luci che è onestamente insopportabile, ma è anche quella giusta.
L’unica giusta, probabilmente (e il mio corrispettivo di Luci finirà per andarci da solo, a New York, che io manco dipinta, che poi uno non deve provare qualche piccola inquietudine di fronte alle coincidenze di un universo che – come dio – non è certamente pigro, ma è da trovare e da prendere a sberle).
E Tom. Che spezza il cuore di dolcezza e quando “ce la fa” o sembra che… be’ tu sei lì e gioisci per lui e la Vita e la bottiglia le mandi a stendere un po’ anche tu, ‘ste stronze. E Mauro e Mara. Che – come dice Holden – avresti solo voglia di averci il numero e di fargli una telefonata, ogni tanto. Perché sono i compagni, i colleghi, i fratelli che erano così belli e giusti, e chissà dove sono finiti.
E i vari Cesare e Ravasciò che di vice/genitori temo che ne abbiamo bisogno un po’ tutti, qualche volta.
E nascoste fra le righe, ma neanche troppo, pagine che fanno male. Anche troppo profetiche e precise sui malcostumi italici, sulla violenza inflitta, subita ed accettata, sulla dipendenza, sulla famiglia, sulla guerra.
E così, alla fine, capisci da dove son venuti fuori “Johnny Freak” e “Memorie dall’Invisibile”; metti a posto un altro tassellino – al posto giusto, non per brama di ordine, ma perché sia dove serve – e sei stato un adolescente fortunato e un adulto… contento no. Completo neanche. Giusto neppure.
Ma preferibile a molte delle alternative che ci si vede intorno.