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Niente caffè per Spinoza Niente caffè per Spinoza

Niente caffè per Spinoza

Letteratura italiana

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Lei gli legge i filosofi e gli riordina la casa, lui le insegna che nei libri si possono trovare le idee giuste per riordinare anche la vita. Perché lui è un anziano professore capace di vedere nel buio, lei una giovane donna che ha perso la bussola. E mentre il sole entra a secchiate dai vetri, mentre il libeccio passa «in un baleno dall’orizzonte al midollo, modificando i pensieri e l’umore», il profumo della zuppa di lenticchie si mescola ai Pensieri di Pascal, creando tra i due un’armonia silenziosa e bellissima. «Bisogna che io legga nelle cose piccole verità universali. Ma mi occorre la sua collaborazione», dice il Professore a Maria Vittoria. E non resta che dargli ragione, perché in fondo siamo tutti responsabili della forma che imprimiamo alla felicità, nostra e degli altri.



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Niente caffè per Spinoza 2019-12-24 10:39:07 zonauefa
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zonauefa Opinione inserita da zonauefa    24 Dicembre, 2019
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Filosofia (. . .poca) e quotidianità

Mi aspettavo di più da questo appena piacevole romanzo ambientato nella odierna Livorno, forse per via delle generose recensioni che avevo letto un pò dovunque.
Il libro sembra non decollare mai, dopo le prime 100 pagine i riferimenti filosofici sono minimi, la trama non è molto avvincente ed i personaggi non particolarmente indimenticabili.
Rimane una lettura leggera, molto descrittiva ma poco coinvolgente, l'argomento poteva essere originale e visto il genere non è paragonabile al fortunato " Il Mondo di Sofia" di qualche anno fa.
Consigliato a qualche livornese che puo ritrovarsi sia nell'idioma a volte utilizzato sia in qualche angoli di vita della propria città, ma lettura inutile a chi cerca un maggior approfondimento filosofico, le pillole di saggezza distribuite non lasciano il segno

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Niente caffè per Spinoza 2019-08-30 10:32:04 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    30 Agosto, 2019
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Un esordio piacevole

«Non riuscivo a capire come avessi fatto ad arrivare a quel punto. Quando avevo perso il mio lavoro nello studio medico non mi ero preoccupata più di tanto. Mio marito guadagnava abbastanza per entrambi, potevo stare tranquilla, e aspettare che le cose girassero meglio. O comunque così credevo. La verità era che il mio matrimonio stava in piedi come una capannuccia fatta con gli stuzzicadenti già da prima, ma io non mi ero accorta della velocità con cui perdeva i pezzi, nemmeno quando lui tornava la sera a cena e accendeva la tv a tutto volume, pur di non dover chiacchierare con me. D’un tratto m’ero ritrovata a chiedergli i soldi per la schiacciata o per la ricarica del telefono, e da lì a fare la fila per un posto di badante il passo è breve»

Il suo nome è Maria Vittoria Baroncini, detta Marvi, è una donna sui quarant’anni, dai capelli ricci ingovernabili, ed è in una fase della vita molto particolare perché oltre che ad aver perso il lavoro ha perduto anche le coordinate di se stessa.
Con sulle spalle un matrimonio ormai concluso con un marito alquanto deprecabile, indebitato fino al collo, pretenzioso, odioso ed esigente, la giovane è alla ricerca disperata di un impiego quando viene contattata dall’ufficio di collocamento per ricoprire il ruolo di dama di compagnia di un anziano livornese. Filosofo, ex insegnante, laureato due volte, riflessivo e attento ai dettagli, Luciano Farnesi, è un uomo di ottant’anni, di mezza statura, pochi ingovernabili capelli bianchi, ben dritto in piedi, tutto infagottato per il perenne freddo che gli attanaglia le ossa, malato tumorale e ormai affetto da cecità. Una cecità che non ha però offuscato anche la sua memoria, la sua mente. Tutta la sua lucidità si riversa nello studio, luogo in cui una finestra copre un’intera parete rivolta a ovest irradiando una luce così forte da illuminare tutta la libreria e tutti gli scaffali pieni di libri fino al soffitto. Perché per lui questi hanno un’anima, sono quindi indispensabili.

«Pensai che è come quando stai sulla battigia col mare mosso e arriva l’ondata lunga. Ti tira giù quel tanto che basta per riempierti di sabbia. Comunque è sabbia. Solo sabbia.»

Tra Marvi e Luciano la sintonia è immediata. Tra i due si instaura un rapporto forte, solido, fatto di caffè mattutini, passeggiate e letture. Passi di componimenti che salvano il cuore, che nutrono l’anima in quei momenti di grande difficoltà del vivere. Maria Vittoria non conosce il mondo della filosofia né l’universo del leggere, i suoi studi si sono interrotti troppo presto ma ne è comunque colpita. Inizia a far propri quei pensieri di Pascal, inizia a cogliere quelle stesse emozioni e quelle stesse sensazioni che erano proprie del Professore. Ben presto si rende inoltre conto di quanto queste siano capaci di aprirle gli occhi sulla sua vita, di quanto possano donarle il coraggio e la forza di andare avanti e di maturare. Conoscerà Angelo, conoscerà Elisa, conoscerà la Vally, conoscerà la brutalità dell’esistenza che oggi ci permette di esserci, domani chissà.

«Ma io l’annoio con questi discorsi? – No, professore, mi sembra che lei mi accenda come una lampadina.»

«Credevo di poter leggere i miei libri finché avessi avuto un filo di luce che filtrava dalle pupille, e invece a volte bisogna guardare, oltre che leggere. Sa? Non avevo considerato che la luce potesse servire ad altro.»

Anche quando l’uomo inizia a distaccarsi da tutto quel che ama il legame non ne risente. “Sembrava che si distaccasse dalle cose, in un modo più amaro e sofferto di quello delle Oblate. Le uniche cose di cui pareva non stancarsi erano i luoghi della mente, e il ricordo di qualche posto in cui conservava un’immagine sua”. Ed è proprio da quella libreria che il sintomo del distacco ha inizio. Il suo svuotarsi è un’emorragia di parole, di sentimenti, di desideri che parte esattamente da quella che è sempre stata la ricchezza principale.
Un componimento con tanti intenti è quello di Alice Cappagli, uno scritto in cui la protagonista riscopre che la filosofia può essere utile nella vita di tutti i giorni, un componimento in cui ogni lettura diventa, per lei, uno strumento per mettere a fuoco delle cose che fino ad allora le erano parse confuse e raccogliere i cocci di un’esistenza trascorsa ad assecondare gli altri. A far da cornice, Livorno con la sua Piazza Mascagni, il suo mercato, i suoi usi e costumi.
Per quanto però la morale dell’opera e gli intenti siano di tutto rispetto, purtroppo il testo non arriva completamente. In parte a causa di alcune inesattezze di tipo formale, in parte a causa di alcuni errori evitabili, in parte a causa di uno stile narrativo un po’ troppo lento, una penna non particolarmente erudita e a tratti un po’ troppo descrittiva, in parte a causa di un finale a cui si arriva con un ritmo pigro, fiacco mantenuto costante per tutto l’elaborato, ma che chiude il sipario in meno di dieci pagine. Piacevole l’uso del livornese in alcuni passaggi ma da toscana, non nascondo, di aver faticato a leggerli.
In conclusione, un esordio gradevole, che riesce a farsi apprezzare ma che presenta qualche lacuna e che a più riprese mi ha ricordato "L'eleganza del riccio" (con anche le dovute distanze).

«Tra le cose che esistono, le une dipendono da noi, le altre non dipendono da noi. Dipendono da noi: giudizio di valore, impulso ad agire, desiderio, avversione, e in una parola tutti quelli che sono propriamente fatti nostri. Non dipendono da noi il corpo, i nostri possedimenti, le opinioni. […] Le cose che dipendono da noi sono per natura libere, senza impedimenti, senza ostacoli. Le cose che non dipendono da noi sono in uno stato di impotenza, di schiavitù, di impedimento, e ci sono estranee. Ricordati dunque che, se credi che le cose che sono per natura in uno stato di schiavitù siano libere e che le cose che ti sono estranee siano tue, sarai ostacolato nell’agire, ti troverai in uno stato di tristezza e di inquietudine… […] Non dobbiamo volere con ostinazione che le cose vadano come desideriamo, ma desiderare che vadano come vanno.»

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Niente caffè per Spinoza 2019-08-03 17:19:15 Cecychan
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Cecychan Opinione inserita da Cecychan    03 Agosto, 2019
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Un romanzo dolce

Un romanzo dolce, a tratti divertente; una bella storia di rivincite, rinascita, di donare e ricevere. Maria Vittoria e il Professore instaurano un'amicizia delicata, fatta di letture di frasi dei grandi filosofi e patatine fritte, caffè e, a volte, squallide zucchine lesse. Lei si occupa di lui, ma lui le dona la sete di conoscenza, la voglia di riprendere in mano la vita e reagire per non soccombere all'idea che nulla può cambiare. Maria Vittoria smetterà di stirare camicie e comincerà a leggere aforismi di Epitteto; smetterà essere spettatrice della vita degli altri e inizierà a vedere con le mani, ad ascoltare con il naso, a toccare con le papille gustative. Intorno ai due protagonisti di questa storia, ruotano una serie di personaggi: Elisa, il Prigioniero, Aurora, la vicina KGB, la Vally e saranno, anzi saremo, anche noi lettori, tutti attratti dalla libreria del Professore dove i libri sono collocati secondo un ordine che solo lui conosce. Momenti critici durante i quali la cecità di lui prenderà il sopravvento si alternano con momenti di pura spensieratezza in una Livorno troppo afosa nelle lunghe giornate di agosto e fredda e ventosa durante le festività natalizie. Anche a noi lettori sembrerà di passeggiare con un libro in tasca nella terrazza Mascagni, "scacchiera dei ricordi". E come promesso dal titolo, il caffè, questo piccolo segreto tra Luciano (il Professore) e Maria Vittoria, farà talmente da protagonista nella storia che quasi sembrerà di averne sempre una tazzina sotto al naso. Con questo romanzo conquisteremo con la protagonista le vette dell'indipendenza e ci lasceremo cullare dalle parole di Sant'Agostino: "tardi ti amai, bellezza cosi antica e cosi nuova..."

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