Nel tempo di mezzo
Letteratura italiana
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Quando l'infelicità si attacca alla carne...
Questo libro si apre con il "raggio di sole" con cui si è chiuso "Stirpe", con Vincenzo, l'ultimo dei Chironi, colui che accende la speranza di una stirpe massacrata...
La prima parte del romanzo procede lentissima, un viaggio difficile e travagliato che il protagonista deve percorrere per giungere finalmente alla "vita", attraversando una terra cupa, aspra, difficile, selvaggia (seppur affascinante), carica di storia, di ferite aperte.
Poi, finalmente, qualcosa si apre...e ci ritroviamo di fronte a pagine e pagine di pura malinconia...si percepisce come una presenza ingombrante l'assenza di chi ha lasciato quella casa per non tornarvi mai più.
"Il tempo passa così dentro alla cucina Chironi, in una pallida imitazione della vita, di quel che è stato. Si sentono dei sopravvissuti, padre e figlia, dentro a un purgatorio immobile di gesti sempre uguali".
Ancora una volta sono sopraffatta dalla bellezza della scrittura di Fois, dalla poesia insita in ogni frase, dalla cura delle parole, mai messe lì per caso.
Ma se in "Stirpe" avevo trovato una grande forza incisiva, un carico emozionale schiacciante e che non dava tregua, qui mi sono ritrovata di fronte ad un opera più "nostalgica", quasi volesse vivere del ricordo del romanzo precedente e godere delle vibrazioni residue...
Il comune denominatore rimane comunque e sempre il dolore, che, nell'eterna battaglia con la felicità, risulta essere perennemente in vantaggio.
"...ma felicità e infelicità, anche quando non differiscono in nulla, mantengono la loro bella differenza quando si attaccano alla carne".
Il finale è molto forte, toccante, ripaga di un inizio un po' lento e dell'effetto "luce riflessa"...e ci apre la strada ad un altro componente di questa stirpe, Cristian.
E "va bene, si ricomincia".
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Nel tempo di mezzo di Marcello Fois
Inizia nel 1943 il viaggio di Vincenzo Chironi, di madre friulana e padre nuorese, dal continente verso la Sardegna, per ricongiungersi alla famiglia d’origine che non aveva mai conosciuto, così come mai aveva incontrato quel padre che pure gli aveva dato il suo nome prima di morire, ponendo in certo modo rimedio a una nascita frutto di un amore di guerra.
Il primo impatto con il territorio isolano è, per Vincenzo, fonte di sorpresa e stupore. “Piccole poiane saettavano sui picchi rocciosi, talmente vicine alle spiagge, da eliminare qualunque certezza …. che mare e montagna fossero inconciliabili.”
Ed è tutta la prima parte del romanzo che descrive l’asprezza e la bellezza selvaggia di quella parte dell’isola e ne mette in risalto il senso di solitudine. “Ogni rumore sembrava interrotto.” Un luogo che anticipa e spiega il carattere chiuso e dignitoso dei personaggi, la loro capacità di affrontare i colpi della vita, di farsi canne al vento, di essere duri, come la terra che non assorbe più acqua, come a rifiutare essa stessa la speranza. E il tempo qui, come in ogni realtà che sia legata indissolubilmente alla natura, è amplificato, lento, quasi sospeso, come lo sono i sentimenti, gli amori e gli odi che nascono e si nutrono delle incomprensioni che l’orgoglio ingigantisce. In questo contesto si spiega il personaggio di zia Marianna che rivive quotidianamente il suo dolore, un dolore che cresce in un silenzio dignitoso, con un’intermittenza di tregue costanti, che resuscita assenze che furono presenze e crea un’illusione in bilico tra immaginazione e realtà.
In questo mondo aspro e difficile, il nonno Michele Angelo conserva intatta la sua personalità dominante fino alla fine dei suoi giorni, per abbandonarsi negli ultimi istanti della sua vita, al ricordo delle opere più belle che egli stesso aveva forgiato lavorando il ferro, un materiale così freddo e duro, che pure nelle sue mani aveva assunto forme delicate e aveva evocato un’idea di fragilità e leggerezza.
Qui Vincenzo trova finalmente una famiglia, pone fine alle sue peregrinazioni da picaro novecentesco, qui trova l’amore, la felicità e la disperazione. Qui proseguirà la stirpe dei Chironi, col tramandarsi rigoroso delle tradizioni isolane.
Un romanzo coinvolgente, che riesce a portare il lettore dalla particolare realtà della vita isolana a quella più universale della condizione umana.
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Nel tempo di mezzo
Con questo romanzo Fois prosegue la narrazione della storia della famiglia Chironi, già protagonista dell'ottimo “Stirpe”.
Al cospetto della bellezza contenutistica e stilistica di “Stirpe”, questo secondo lavoro risulta davvero inferiore, tanto da apparire una mera forzatura.
O meglio, al termine della lettura si comprende che in realtà i due romanzi fossero un unico blocco, scisso solamente per scelte editoriali.
Per il lettore che abbia riso e pianto insieme ai protagonisti del primo romanzo, attraversando anni cruciali della nostra storia, queste pagine lasciano un senso di incompiutezza e di sbiadimento.
Manca la forza narrativa che ha infuocato le vicende precedenti, manca l'epicità, mancano personaggi vibranti e fantasiosi.
Se “Stirpe” vive di una propria compiutezza e indipendenza, lo stesso non può dirsi de “Nel tempo di mezzo”, che perde in comprensione agli occhi di un pubblico ignaro della precedente lettura.
L'esordio del romanzo è lento e si avverte la necessità dell'autore di creare un trait d'union tra la nuova storia e le gesta precedenti per fornire una minima consecutio.
La narrazione prosegue poi fluida, regalandoci qualche interessante spaccato del periodo che va dal dopoguerra agli anni Settanta, fotografando l'evoluzione dei costumi e del vivere sociale.
Ritengo Fois un grande narratore, ma talvolta alcune scelte non sono azzeccate.
Non ne sconsiglio in toto la lettura, ma raccomando di approcciarsi prima a Stirpe, per deliziarsi di un ottimo romanzo e per assaporare meglio la vicende dei discendenti della famiglia Chironi.
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Ogni uomo è in potere dei suoi fantasmi. W. Blake
Nel tempo di mezzo è il periodo che va dal 1943 al 1978, il periodo che sta in mezzo ad un secolo, è un periodo storico che vede la guerra, la morte per il colera e la ripresa economica-sociale della Sardegna. E’ in questo contesto che viene narrata la storia di una famiglia che ha alle spalle tragedie dolorose e che mette in ginocchio i superstiti consci della maledizione sempre in agguato. La maledizione è la morte, il rapimento, l’odio degli uomini, la consapevolezza del proprio fallimento e la debole coscienza e arresa alla vita.
La storia inizia senza dialoghi tra i personaggi, sono i loro gesti, la natura selvaggia, la macchia mediterranea a creare i contenuti fino a quando Vincenzo Chironi non termina il suo viaggio e arriva a casa del nonno e della zia Marianna e solo allora Vincenzo prende vita e sempre nel tempo di mezzo subentrano come dolori recidivi la morte dei figli mai nati e dei sentimenti respinti per via di un disegno crudele ben definito a testimoniare che i figli non rendono più forte gli uomini, ma li indeboliscono rivelandosi abissi di paure inimmaginabili.
Marcello Fois come un pittore spennella qua e la i colori con uno stile unico e “ineluttabile” e che per un caso fortuito, dalle tante nuance utilizzate, da vita a un affresco originale dai contorni ben delineati sulle sofferenze degli uomini del nostro tempo.
“Il dolore del mondo ora è una donna assopita, intorno a lei la quiete assoluta nel lutto bianchissimo della terra. Lo stupore dei rami che devono saggiare la loro resistenza. L’oscurità tombale del seme che anela alla luce tramite il germoglio. E’ una compieta dimessa, quasi una preghiera sussurrata, questa liturgia del dolore rifiutato…”
…semplicemente poesia…
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Marcello Fois: “Nel tempo di mezzo”
A me piacciono i libroni. Per questo ho appreso con un certo disappunto che, nei progetti, la saga della famiglia nuorese dei Chironi doveva essere un unico volume, poi spezzato in tre parti per esigenze editoriali. Il (blando) apprezzamento per la serialità si è così sostituito al Grande Romanzo Sardo, con la conseguenza che ci vogliono ottanta pagine per arrivare allo stesso istante in cui si conclude il precedente ‘Stirpe’. Della circostanza approfitta il destino – leggi: la sfiga – che se ne sta acquattato come i vietcong nella boscaglia per metà percorso prima di tornare a segnare la vita della famiglia protagonista, annunciato dalla ricomparsa di un tocco di soprannaturale comunque meno diffuso che nel primo libro della saga. Il ritorno in scena del fato rappresenta un netto cambio di passo nell’andamento del racconto che passa da una sorta di largo maestoso a un andante in lento crescendo che afferra il lettore allo stomaco e poi, giunto al culmine, scioglie di nuovo la tensione nel capitolo finale che prepara la puntata successiva. In ogni pagina, comunque, la scrittura densa di Fois – che richiede sempre un doveroso supplemento d’attenzione per essere penetrata a fondo – sa rendere con maestria i tratti sovente aspri della natura sarda, lavorando molto su colori e odori, nonchè i piccoli o grandi moti dell’animo che agitano l’umanità che la abita: il faticoso viaggio di Vincenzo verso la casa del nonno paterno, la costruzione del suo amore, il denso pathos dei momenti topici come il secondo aborto di Cecilia o la notte di Natale che rappresenta una fine ma anche un inizio. Gli uomini e le donne del romanzo, oltre a dover affrontare i problemi del quotidiano, si ritrovano a vivere un cambiamento epocale che, in meno di due decenni, li porta dalle miserie della guerra alle soglie del boom economico: gli sconvolgimenti culturali e sociali penetrano a fatica fra gli arcaici costumi locali mentre una strada ben più spianata trova l’illusione della ricchezza per tutti che si concretizza, essenzialmente, in una grande speculazione edilizia. E’ questo il vero ‘tempo di mezzo’ che racconta il libro di Fois, durante il quale i Chironi vedono narrato il segmento centrale della propria storia con il consueto impasto di fortune commerciali e traversie personali che però non possono impedire alla vita di continuare in un mondo nuovo: il romanzo conclusivo partirà dalla fine degli anni Settanta, quando nessuno dei personaggi finora centrali è ancora vivo.