Nel cuore della notte
Letteratura italiana
Editore
Recensione della Redazione QLibri
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We are lost, mistah.
Nel cuore della notte tutto può succedere, è in quel momento che l'esistenza di un uomo può prendere pieghe inaspettate.
E' come essere in bilico, in precario equilibrio, tra la luce e le tenebre, la speranza e la disperazione: si può sprofondare nel buio o scorgere i primi bagliori dell'alba.
La notte diventa metafora della vita e durante una notte si racconta una vita, quella di Anna e del suo uomo, il poeta.
Chi la racconta è proprio lui, il poeta.
O meglio, quello che ne resta del poeta.
Ora è uno sconosciuto, uno come tanti, barba incolta, abbigliamento trasandato, sguardo vuoto ed anima affogata nell'alcol, in viaggio su uno di quegli autobus che sembrano cadere a pezzi da un momento all'altro ma che miracolosamente ancora si muovono per le strade del terzo mondo, trasportando turisti avventurosi (o semplicemente sprovveduti) in zone disperse di quell'immenso continente, animati dalla promessa di assistere all'incanto di un tramonto dai colori boreali lungo il pendio di un vulcano.
Tra i turisti, seduto accanto a lui, c'è un giovane in viaggio con la sua fidanzata, italiani anche loro. Non ci vuole molto tempo prima che il giovane riconosca in quello sconosciuto il 'poeta', proprio colui divenuto famoso anni addietro in Italia su ciò che fu definito da tutti i media lo 'scandalo della poesia'.
E quell'uomo aveva un vulcano dentro che ardeva dal desiderio di buttar fuori lacrime, rabbia, parole a lungo trattenute: fu così che nel cuore di quella notte il poeta raccontò al giovane che lo aveva riconosciuto la storia della sua vita, della sua donna Anna, della notte che li aveva allontanati, del baratro in cui era sprofondato e da cui era riemerso, faticosamente, ricostruendo il suo legame con Anna e riconquistando la sua dignità di uomo ma, quando tutto sembrava volgere per il meglio, di nuovo la notte, il buio, la rovina.
Devo essere sincero, ero fortemente scettico su questo romanzo di Marco Rossari definito sulla quarta di copertina come una storia d'amore, sesso e politica, una storia per adulti, come lascia forse intuire la stessa immagine di copertina.
E sono rimasto piacevolmente sorpreso sin dalla lettura dei primi capitoli quando si è rivelato ben più articolato e coinvolgente di un banale romanzo a sfondo erotico.
La scrittura è attenta, sempre accurata nella scelta dei termini ma senza perdere leggerezza, scorrevolezza anzi magnetizzando l'attenzione del lettore sia nelle descrizioni di 'intermezzo' del paesaggio, della gente e delle abitudini di un popolo così lontano dalla cultura occidentale sia nello sviluppo della trama principale incentrata sulla storia di Anna e del poeta.
"Viaggiare in quei luoghi, pensavo con l'ingenuità dell'epoca, ti faceva tornare a quando la strada era davvero di tutti. La vita - degli uomini , degli animali, delle cose - traboccava dagli interni per rovesciarsi fuori. Se in quel momento esatto avessi dovuto indicare un simbolo della civiltà occidentale, avrei senza esitazione indicato una porta, ancora prima di un sistema fognario. La strada che entra nelle stanze dove vivi. E che ne esce di continuo: al posto delle porte, tende; invece che finestre, veli. Niente uscio, niente vetrine, tutto costantemente esposto."
Si conoscono ai tempi del liceo, lui era il classico ragazzo, figlio della borghesia bene di Milano, insodisfatto, insicuro, imbranato, ribelle contro la società, i ricchi, il capitalismo solo per sfogare la sua incapacità di agire, anzi reagire, di conquistare una propria dignità.
"Ero un figlio odioso e velleitario, che cerca nella poesia una chiave per il mondo, quindi non la trova. Restavo in quel limbo, in quell'ipocrisa vivente. Gridavo a mia madre che odiavo il cashmere e non sapevo di averlo addosso. Regalavo ad un barbone la paghetta che mi allungava mio padre , svoltato l'angolo, vomitavo per l'odore. Credevo in un comunismo emotivo, vacuo. Tifavo rivolta, ma non passavo all'azione."
Per questo si rifugiava nella poesia:
"Forse avevo solo bisogno di vendicarmi della mia viltà. Tutta la poesia in fondo non è che una grande forma passivo-aggressiva di autocommiserazione. Dal grande autore sino all'ultimo stronzo che declama in metropolitana."
Poi però intravede Anna, la ragazza col berretto rosso, che frequenta i comitati e le organizzazioni studentesche di ispirazione comunista. Per giorni percorrono insieme gli stessi tratti di strada senza mai parlarsi, a malapena si incrociano gli sguardi:
"prima lei davanti ed io dietro, poi lei dietro ed io davanti, poi diagonali, obliqui, sparsi. Il kamasutra dell'indifferenza e della timidezza: tutte le posizioni per dirci che eravamo soli."
Passa del tempo prima di una timida stretta di mano, un contatto, un segno, una parola. Dopo però l'amore scoppia violentemente, un fulmine nel cielo grigio di Milano e delle loro esistenze.
"Io, lei. Lei, io."
E nessun altro, sino alla nascita inattesa, non voluta, della figlia.
"Fare un figlio è una questione di geometria. Sai chi l'ha detto? Un poeta. Chi altri? Quando sei convinto che la vita sia piana, ecco che si aggiunge una terza dimensione. Profondità."
Ma quella figlia, quel piccolo corpicino, compie il miracolo: non separa, ma unisce e rafforza. Lui trova lavoro come aiutante in una piccola libreria di periferia (molto più remunerativo del lavoro da poeta) e lei si afferma come giornalista politica.
E chissà, avrebbero potuto continuare così per anni, per sempre, insieme e felici, se la notte non si fosse portata via la loro bambina, all'improvviso, 'fulminante' dicevano i medici del pronto soccorso, tutto nel cuore di quella notte.
Ciò che segue è il racconto della disfatta di un uomo, una discesa in caduta libera verso l'abulia e passiva rassegnazione, l'annullamento totale di ogni forma di rispetto verso se stesso e gli altri.
Trascorre le notti tra sesso ed alcol, dialogando senza alcun ritegno su chat pornografiche con donne sconosciute ma sole e perse come lui, oppure seduto allo stesso sgabello dello stesso bar circondato da bicchieri vuoti, piangeva senza piangere, moriva senza accorgersene:
"Bere è un continuo indietreggiare davanti alla morte, correndoci incontro. Ma bisogna bere da soli per capirlo. Devi stare con il decimo bicchiere di veleno a stazionare in un solo punto preciso del bar: tenere la posizione è un imperativo, devi essere il perno intorno al quale tutto gira."
E' la parte più cruda del romanzo: il linguaggio diventa volutamente volgare, i molteplici incontri a sfondo sessuale vengono descritti senza moderazione o parsimonia di dettagli, non c'è erotismo, a mio parere non c'è volontà di eccitare o stimolare l'immaginazione del lettore, è pura pornografia di milleriana memoria, sesso allo stato brado, selvaggio, disinibito, riflesso incondizionato della sua condizione di degrado interiore.
Lo so, molti potrebbero non gradire, molti potrebbero storcere il naso disgustati.
Ma non mi sembra che questa dell'autore sia stata una scelta dettata da secondi fini, esigenze pubblicitarie o di un mercato sempre più affamato di sesso.. 'Il vero volto del mondo era tra le nostre gambe'.
La definirei piuttosto una scelta 'stilistica' coerente con lo sviluppo della trama e con l'evoluzione (o, forse, meglio dire regressione) psicologica del protagonista.
D'altronde 'quale scrittore non è un pornografo? Quale scrittore non mette sulla pagina ciò che è osceno, ciò che è fuori, ciò che è parte dell'animo umano?'
E se, come nel mio caso, vi lascerete sedurre dal racconto del poeta sino all'epilogo finale apprezzerete ancor più il valore di quella scelta: in un mondo sommerso dal sesso, in un mondo in cui lo schermo diventa 'un buco della serratura attraverso il quale vedere il pianeta', paradossalmente è una poesia d'amore di un uomo verso la propria donna che diventa strumento di scandalo, che distrugge l'esistenza.
"E sai qual è la cosa tremenda, la cosa esilarante? Tragedia, farsa: avevamo retto alla morte di una bambina, ma non al video di un pompino in rete."