Narrativa italiana Romanzi Morte di un uomo felice
 

Morte di un uomo felice Morte di un uomo felice

Morte di un uomo felice

Letteratura italiana

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Milano, estate 1981: siamo nella fase più tarda, e più feroce, della stagione terroristica in Italia. Non ancora quarantenne, Giacomo Colnaghi a Milano è un magistrato sulla linea del fronte. Coordinando un piccolo gruppo di inquirenti, indaga da tempo sulle attività di una nuova banda armata, responsabile dell’assassinio di un politico democristiano. Una corsa e un’immersione pervase da un sentimento dominante di morte. Un lento disvelarsi che segue parallelo il ricordo della vicenda del padre che, come Giacomo Colnaghi, fu dominato dal desiderio di trovare un senso, una verità. Anche a costo della vita.



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Morte di un uomo felice 2015-05-19 05:48:43 pierpaolo valfrè
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pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    19 Mag, 2015
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Buona la seconda (lettura)

Alla fine mi è piaciuto. Parto da questa considerazione banale, che per me è anche l’arrivo di un percorso abbastanza travagliato.
Non mi è piaciuto subito questo romanzo vincitore del Campiello 2014: l’ho dovuto abbandonare dopo cento pagine, leggere qualcosa nel frattempo, riprendere vincendo lo scetticismo, ricominciare daccapo e farmi conquistare pagina dopo pagina, versando anche qualche lacrima nel finale, segno che emotivamente mi aveva ormai catturato.
Morte di un uomo felice è la storia di Giacomo Colnaghi, magistrato impegnato nelle indagini sul terrorismo rosso, nome di fantasia ispirato però ad alcuni casi realmente esistiti di uomini eroicamente normali, “eroi borghesi” per richiamare un titolo che ha aperto la strada a un filone affollato e fortunato a cavallo tra narrativa e testimonianza.
Giacomo Colnaghi viene assassinato nel 1981, lo stesso anno di nascita dell’autore, Giorgio Fontana. Non deve essere stato facile cercare di documentarsi su un periodo che non si è vissuto, ma del quale esiste ancora una memoria molto nitida e precisa in tante persone. Diciamo quindi subito che l’ambientazione è uno dei punti di debolezza di questo romanzo. Gli anni settanta possono essere descritti in tanti modi, ma non c’è dubbio che chi li ha vissuti si ricorda una caratteristica su tutte: erano anni iperpoliticizzati.
Tutto era intriso di politica, anche le cose che con la politica c’entravano poco o nulla: l’arte, il cinema, la musica, la letteratura, l’amore, lo sport, la scuola, la cronaca, l’economia, il lavoro, la religione, tutto.
Questo non emerge più di tanto nel romanzo, dove la nota che spicca è piuttosto il profumo di pulito e di ordine che si respira nelle case delle suore, semplicità, scherzi da prete, un po’ di noia, battute da sagrestia, Bernanos e riflessioni morali lontane anni luce dagli slogan virulenti e primordiali degli anni di piombo.
Colnaghi è un cattolico di sinistra, figlio di un partigiano ucciso dai fascisti, quelli veri, ma è anche un uomo che si interroga e vuole capire, partendo dalla sua storia di figlio, di padre, di marito, di cristiano praticante.
Il personaggio funziona, alla grande, e alla lunga si impone e fa scivolare il contesto in un secondo piano molto sfocato. Gli ambienti che frequenta, la sua storia personale, i suoi tormenti, la sua normale quotidianità sono un’alternativa valida, sana e pulita a percorsi molto più chiassosi e superficiali, che hanno goduto, e in qualche modo continuano a godere, di ampia popolarità mediatica.
Nel tentativo di darci una rappresentazione “viva” del protagonista, Fontana attinge forse un po’ troppo insistentemente alle proprie esperienze di studente fuori sede: le Ferrovie Nord (l’autore e il suo personaggio sono di Saronno), l’appartamentino a Lambrate, la bicicletta, la topografia minima dei luoghi dove si mangia “un panino stupendo”, la trattoria sui Navigli, le passeggiate notturne e solitarie nelle vie del centro, il bar di periferia.
Non riesce ad andare molto più in là, né ad immedesimarsi veramente nella psicologia di un uomo che si avvia alla mezza età: gli fa fumare la pipa (gesto totalmente fuori linea rispetto agli tratti del protagonista), gli crea dialoghi da sbadiglio con la moglie e un’astinenza sessuale prolungata. Stop. Funziona meglio con la madre, con il figlio e con gli amici, rapporti che il trentenne Fontana descrive in modo meno impacciato, trovandosi maggiormente a suo agio.
E allora perché funziona il protagonista e la sua storia? Vista dall’esterno, appare un po’ posticcia e stiracchiata, costruita su spunti un po’ scontati (il magistrato e il terrorista che partono dallo stesso ambiente sociale, frequentano entrambi l’oratorio e poi approdano a scelte di vita opposte) e su riflessioni non particolarmente originali (lo Stato che tradisce la Resistenza, i terroristi rossi che ne sporcano il nome e ne usurpano gli ideali) ma l’esterno non è il punto giusto dove posizionarsi. Ciò che inizialmente mi sembrava un ostacolo a proseguire nella lettura, successivamente l’ho interpretato come il segno di una scrittura ancora un po’ acerba, di una maturità ancora non raggiunta, nell’ambito di un’opera nell’insieme bella, utile ed efficace.
Il romanzo funziona nel momento in cui si capisce che non si tratta di un libro sugli anni di piombo.
Funziona quando si capisce che si tratta di una storia intima, che ci parla della difficoltà dei figli ad essere all’altezza dei padri, del paradosso per cui la normalità finisce spesso per diventare il vero eroismo, della difficoltà che le persone libere hanno ad esprimere se stesse, perché la loro indipendenza rischia continuamente di essere strumentalizzata da chi (la stragrande maggioranza) ha una concezione più tribale della vita, del lavoro, della società.
Da questa prospettiva riacquistano un senso i dialoghi scontati, i frammenti di piatta quotidianità che altrimenti sembrerebbero indice di scarsa fantasia e di scrittura esangue. Invece, silenziosamente e inaspettatamente, Giacomo Colnaghi e suo padre Ernesto, il partigiano Beppo la cui storia viene raccontata in parallelo a quella del figlio, riescono a conquistarti, ti ci affezioni, probabilmente li ricorderai bene e a lungo.
Il romanzo nasce da un interrogativo sulla giustizia, sul modo di fare giustizia, di essere magistrato.
L’autore lo dichiara nella nota finale: "questo libro forma un dittico ideale con il precedente Per legge superiore." Un dittico sulla giustizia. Applicare le leggi in modo cinico e notarile oppure spellarsi mani e piedi per cercare un diverso senso di giustizia, andare incontro a numerose frustrazioni e magari rimetterci la vita. Un interrogativo valido, importante, una grande questione su cui riflettere, ma anche il peccato originale del romanzo, che in certe parti risulta un po’ imbrigliato dai suoi stessi schemi.
In definitiva un’opera interessante, consigliabile, e uno scrittore da seguire nelle sue prossime prove.

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Consigliabile a chi non dispiacciono romanzi riflessivi, problematici e introspettivi. Sconsigliato a chi cerca azione, vivacità e colpi di scena in ogni pagina
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Morte di un uomo felice 2015-04-02 17:13:16 ferrucciodemagistris
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ferrucciodemagistris Opinione inserita da ferrucciodemagistris    02 Aprile, 2015
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"Eccezioni sempre, errori mai"

Il sostituto procuratore della repubblica, Giacomo Colnaghi, è un magistrato, sotto i 40 anni, che vive la Milano della fine degli anni piombo; siamo, infatti, nel 1981, quasi alla fine del recente periodo storico chiamato, appunto, “anni di piombo – strategia della tensione”. Il segmento temporale, anche se non perfettamente definito, che identifica tale periodo va dalla strage di Piazza Fontana del dicembre 1969 alla liberazione del generale statunitense James Dozier rapito dalle Brigate rosse nel gennaio 1982. Sono tante le sigle terroristiche che si diramano dalle storiche BR (Brigate Rosse), con le varie e famigerate colonne di fuoco tra cui quella denominata Walter Alasia, che, sebbene differenziate in formazioni combattenti “rosse” e “nere”, si prefiggono lo stesso fine: colpire lo Stato nella figura dei suoi più fedeli servitori e attuare la strategia della tensione con attentati terroristici che colpiscono nel mucchio e provocano decine di morti “casuali”.

In questo drammatico e tragico contesto, Giacomo Colnaghi segue con attenzione e duro lavoro di indagine le fasi che ritiene necessarie allo scopo di individuare i terroristi ma, principalmente, capire le motivazioni che inducono diverse persone ad agire in maniera cruenta e idealizzata; il suo pensiero, fuori da ogni schema stereotipato, lo convince che una volta capito il motivo basterebbe smontarlo con valide argomentazioni e, di conseguenza, ridurre drasticamente il fenomeno.

La narrativa romanzata si intreccia con i fatti realmente accaduti in quel tempo e con i nomi di giudici, politici, giornalisti e imprenditori vittime colpite all’improvviso e a tradimento; inoltre il protagonista rievoca mentalmente, con adeguate intervalli dal presente, la vita del padre, mai conosciuto, partigiano ucciso dai repubblichini fascisti nel 1944, raccontata dalla madre e dai conoscenti. L’epilogo lascia un po’ di amaro in bocca anche se intuibile sin dalle prime pagine.

La lettura è piacevole con dovizia di particolari che dà l’opportunità al lettore di ricordare/ripassare i vari e molteplici episodi inerenti il terrorismo politico degli anni ’70.

Un romanzo – cronaca ben scritto che fa riflettere sul perché della nascita di quelle formazioni e sulle contromisure adottate dallo Stato per fronteggiarle.

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Libri e saggi sugli anni di piombo
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Morte di un uomo felice 2014-11-19 19:56:08 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    19 Novembre, 2014
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La giustizia difficile

1981. In una Milano che non è ancora “da bere” – bensì da starci attenti come pochi altri capoluoghi italiani (Bologna e Roma su tutti) per non essere “bevuti” – Giacomo Colnaghi svolge il suo delicato lavoro: da procuratore della Repubblica indaga su un gruppuscolo di estrema sinistra che ha assassinato un politico democristiano di media levatura.
Nella città lombarda la “famiglia” di Colnaghi si riduce a quel paio di colleghi con cui condivide le indagini (Caterina Franz, di Trento, e Micillo, casertano, con cui forma un embrionale pool antiterrorismo). La moglie e i due figlioletti sono a Saronno, dove il giovane magistrato si rifugia in quei giorni del fine settimana nei quali gli è possibile tornare a casa.
La lontananza dalla famiglia concede a Colnaghi molto tempo per pensare alla sua funzione, al reale significato della giustizia (dal punto di vista di chi è convintamente cristiano), alla pena e al perdono, alla rabbia dei familiari delle persone uccise... e poi a suo padre, operaio addetto al tornio nell'Italia operaia, ma giovane e irrequieto oppositore del moribondo fascismo di fine guerra mondiale.
Due tempi diversi del Novecento (anni '40 ed anni '80), due modi dissimili di contrapporre le ideologie ma una direzione comune: la violenza...

L'opera seconda di Giorgio Fontana con l'editore Sellerio è uno spaccato di quella parte degli anni '80 generata dagli ultimi '70 (a loro volta figli “degenerati” del 1968): domina un'ostilità cupa, cieca, determinata al peggio. E domina la negazione delle istituzioni, anche quando si incarnano in un magistrato come tanti altri, votato esclusivamente a fare il proprio dovere.
Un'operazione storico-letteraria ambiziosa, per un giovane scrittore che nell'anno in cui è ambientato il romanzo c'è nato. Lo studio condotto sull'epoca è innegabile e lodevole, anche se poi la volontà di dimostrarlo pare perdersi in una sovrabbondanza di citazioni (si va dai riferimenti ai tanti gruppi autonomi di sinistra sino alle vecchie canzoni di Edoardo Bennato e a Jeeg robot d'acciaio).
Imperfezione che incide ancor di più sul romanzo sembra essere la disomogeneità: l'alternanza tra la dimensione pubblica (di magistrato) e quella privata (di figlio di Ernesto Colnaghi e padre dei piccoli Giovanni e Daniele) vive di sbilanciamenti per l'una o per l'altra a seconda della “fase” del romanzo in cui si è.
In ogni caso, un libro da leggere, soprattutto per chi intende ricordare le atmosfere di un periodo difficile della storia italiana, dove uomini delle istituzioni (citati per nome nel libro ma anche nella postfazione scritta dall'autore) furono sacrificati. Così come, nello scontro tra le varie cellule terroristiche ed uno Stato ancora impreparato alla escalation di violenza, finì per essere parzialmente sacrificato il concetto stesso di giustizia: un risultato che nel libro è simboleggiato dalle riflessioni del protagonista, come dai personaggi a lui contrapposti (palesi, in questo senso, le reciproche difficoltà ideologiche che emergono durante l'interrogatorio in carcere del terrorista Meraviglia, poco dopo il suo arresto).
Punto di forza del libro appare il finale, atteso ma ben scritto: non era facile mantenere la misura che Fontana dimostra, riuscendo nell'intento di ricongiungere le storie di un padre e di un figlio in un unico respiro.

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Morte di un uomo felice 2014-10-08 18:11:15 ant
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ant Opinione inserita da ant    08 Ottobre, 2014
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Giacomo, Milano e il terrorismo

Testo molto interessante, in cui a far da protagonisti sono la Milano dei primi anni '80 e soprattutto le indagini di un magistrato, che non solo vuol rendere giustizia alle vittime dei terroristi, ma allo stesso tempo è curioso e vuole capire il perchè tanti giovani abbian intrapreso una strada così cruenta e violenta da arrivare ad agire così.
Si intervallano nella narrazione non solo le vicissitudini riguardanti il protagonista, cioè il magistrato Giacomo Colnaghi, ma anche il vissuto del padre di quest'ultimo, Ernesto, attivo esponente della Resistenza negli anni '40, e spaccati piacevoli su Milano. Riporto dei pensieri di Colnaghi, elucubrazioni che evidenziano la voglia di capire il perchè di certe azioni e metodologie dei terroristi
..."" il problema del terrorismo è che rivela uno stato di adolescenza all'interno del vecchio corpo italiano. La Repubblica non ha gli anticorpi e dunque perde di credibilità.(Obiez. semplice e radicale : come fidarsi di chi ha messo in campo la strategia della tensione? Non si può. Quindi lotta a oltranza; quindi, rivoluzione)"""...
Questa invece è un'estrapolata di un dialogo in un interrogatorio tra Colnaghi e un terrorista
...."""il terrorista: "E quindi il problema come si risolve? Colnaghi alzò le braccia: "Parlando. Trovandoci a metà strada nei bar, nelle chiese, nelle piazze. Così finalmente ci si conosce, tutti insieme, e si capisce che siam in tanti a volere un'altra Italia. ..il terrorista: "Io penso che se il sistema è spietato, ho il diritto sacrosanto di esserlo anch'io; e colpendone i simboli posso indebolirlo fino a spezzarlo:Fine del discorso. ..Colnaghi: "So che la ns democrazia è piena di ombre, di errori spaventosi. Ma con tutte le sue ombre , se non altro può migliorare: può fermare l'onda dell'odio, può farla finita con i violenti, può combattere il male che porta dentro. Invece l'omicidio -di un uomo inerme, di un uomo colpito alle spalle - non si corregge; e non serve a nulla . Lascia solo una sofferenza incolmabile , una scia di domande che non trovano risposta"""
Intenso e Premio Campiello, a mio avviso, più che meritato

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Morte di un uomo felice 2014-10-06 05:11:43 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    06 Ottobre, 2014
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La legge del taglione, anzi no

Alla reazione istintiva di Luigi Vissani (“La vendetta è la prima soluzione che ci viene in mente. E’ ovvio e naturale: la legge del taglione, no?”), figlio di una vittima del terrorismo, Giorgio Fontana – in apertura di “Morte di un uomo felice”, romanzo vincitore del premio Campiello 2014 – oppone la razionalità di Giacomo Colnaghi, “un magistrato brillante, che si occupava di lotta armata da tre anni: ancora giovane, aperto al dialogo e democratico, e per di più molto cattolico”.
Costui, prima di essere paziente e meticoloso professionista (“il sostituto procuratore Giacomo Colnaghi, del Tribunale di Milano”) che combatte lo stragismo (“infinite bande che cercavano d’imporre la propria linea, che ognuna considerava la sola e sacrosanta”) e cerca di comprenderne le cause, è stato studente modello (“Lui era la dimostrazione che anche in Italia ce la si poteva fare: che anche il figlio di un operaio ammazzato dai fascisti, quelli veri, poteva studiare e diventare qualcuno”) e figlio orfano di Ernesto, giovane operaio dissidente ucciso dalla violenza fascista.

All’interno del pool del quale fanno parte anche Micillo (“il sostituto procuratore, rampollo di un’antica famiglia di giuristi casertani”) e Caterina Franz, (“il giudice istruttore friulano…”), Colnaghi riesce – grazie alla collaborazione dei pentiti (“Anna Berti era una brigatista di ventisette anni che aveva accettato di collaborare con la giustizia”) – a individuare e catturare il responsabile dell’attentato a Vissani, tra eventi reali e immaginari che sezionano gli anni di piombo sfiorandone i principali misfatti (“Ti ricordi di quando le Br hanno rapito Sossi?”).

La vita familiare e professionale di Giacomo, il passato e l’assenza del padre ribelle (“il suocero beveva molto ed era amico del podestà, gli zii erano dei paolotti schifosi”), i conflitti generazionali (“Tempi in cui i padri e i figli si mettevano in guerra. Tempi brutti, si disse. Tempi orrendi”), le amicizie, gli impulsi culturali opposti (“Forse era quello il comunismo? Lasciare che le cose tornassero al loro stato naturale?”) si fondono nel sincretismo del cattolicesimo convinto del protagonista in una dimensione personale (“Non capisco come fai a essere così contento”) che alla fine prende il sopravvento narrativo sulla ricostruzione delle dinamiche storiche.

Nel finale (“29 luglio 1981… c’era il matrimonio di Lady Diana d’Inghilterra”) – collocato simbolicamente nell’anno di nascita dell’autore – confluiscono i destini tragici di papà Ernesto e del figlio Giacomo, quasi a significare l’imperscrutabilità di destini diversi, sempre uguali nella molteplicità delle passioni, drammaticamente impigliati agli enigmi socio-esistenziali.

Bruno Elpis

Nella sezione “interviste” di www.brunoelpis.it trovate la mia intervista all’autore.

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Morte di un uomo felice 2014-09-02 12:55:22 silvia71
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    02 Settembre, 2014
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Milano 1981

L'anno 1981 ha una doppia valenza per Giorgio Fontana; è il suo anno di nascita oltre ad essere la collocazione temporale del suo romanzo “Morte di un uomo felice”.
Senza dubbio promette buone cose questo giovane autore a giudicare dalla scioltezza narrativa e dalle buone caratterizzazioni dei suoi personaggi.
Il tema affrontato è importante e amaro come lo può essere la triste e abietta piaga del terrorismo; anni veramente bui e melmosi da scandagliare e da interpretare col “senno di poi”, destreggiandosi tra intrighi politici, figure dubbie e ombre.
Tirando le somme, lo spaccato di quel tempo fornito da Fontana è semplice, in quanto la storia ruota attorno ad una manciata di personaggi, eppure il clima del periodo lo si percepisce abbastanza netto.
L'autore accende il focus della narrazione su un magistrato direttamente impegnato sul fronte terrorismo; Giacomo, un uomo onesto che si impegna ogni giorno perché crede nel proprio impegno e lavoro, un uomo che ha tratto linfa vitale da un padre altrettanto combattivo in nome di ideali quali la libertà.
Ernesto e Giacomo, un padre ed un figlio che si tramandano un innato spirito di sacrificio per ottenere ciò in cui credono.
Le due figure più belle ed il connubio più autentico che la penna di Fontana realizza e che meritano di essere conosciute attraverso la lettura di queste pagine.
Il protagonista si mette a nudo ed in discussione sia come uomo sia come magistrato, esponendo idee e concezioni del tutto personali, di cui probabilmente anche l'autore che gli dà voce ne avrà coscienza; i pensieri di Giacomo non hanno la pretesa di assurgere a valore universale in quanto frutto di una personale formazione familiare, sociale, politica e religiosa, tuttavia interessanti e privi di artificiosità, anzi talora molto semplici, consoni ad un uomo comune e non pseudo-filosofici.

La prova di scrittura è buona e l'autore mostra di avere tutti i mezzi per poter crescere, per affinare l'intensità dei dialoghi e dei monologhi interiori, per cesellare il contenuto ed affidarlo ai suoi personaggi.
Non vuole essere romanzo di eventi, bensì di riflessioni e analisi sugli uomini ed è in questo senso che la penna di Fontana dovrà tendere e maturare.

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Morte di un uomo felice 2014-08-28 15:13:12 annamariabalzano43
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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    28 Agosto, 2014
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Morte di un uomo felice di Giorgio Fontana

Un romanzo in cui la narrazione procede su due diversi livelli, pur conservando una sostanziale unitarietà. L’autore alterna capitoli dedicati alla storia del giudice Giacomo Colnaghi a capitoli in corsivo che rievocano la storia del padre del magistrato, l’Ernesto. Le due vicende, molto diverse per il periodo storico a cui appartengono, quello degli attentati delle Br negli anni 80 nel primo caso, e quello della lotta partigiana del dopoguerra nel secondo, hanno, tuttavia, molte analogie per lo meno per ciò che riguarda le conseguenze dolorose che porta con sé ogni lotta armata.
Lo spunto è offerto dall’ormai noto luogo comune che voleva assimilare l’azione delle Br a quella dei partigiani. L’argomento è già stato ampiamente affrontato negli anni successivi al terrorismo, ma qui l’autore vuole, io credo, porre l’accento soprattutto sulla questione morale che investe i giudici e la giustizia.
Giacomo Colnaghi viene descritto come uomo integerrimo, cattolico, democristiano convinto che ama il suo lavoro e lo fa con coerenza e onestà, portando con sé in ogni momento l’immagine del padre, morto eroicamente per mano fascista.
Un uomo felice, apparentemente. Tormentato da dubbi e incertezze in realtà. Ed è proprio la sua fede che pone degli interrogativi di fondo a cui non ci si può sottrarre. Come conciliare il concetto di pietà e misericordia predicato dal cristianesimo con il dovere di amministrare la giustizia degli uomini senza tentennamenti o debolezze?
Interessante, a questo proposito, il dialogo tra Colnaghi e la Borghi, insegnante di teologia all’università di Genova. Se, dunque, amministrare la giustizia non è mai semplice, ancora più problematico può esserlo per chi debba fare uno sforzo aggiuntivo per separare la sfera della fede da quella propriamente laica.
Il personaggio Colnaghi-giudice non può in nessun caso essere considerato separatamente dal Colnaghi-uomo che porta con sé l’immagine eroica di un padre che non ha conosciuto, immagine che non può e non vuole in nessun modo associare a quella di un terrorista della sua epoca. Il suo lavoro sarà ulteriormente motivato da questa esigenza morale che lo porterà a un confronto diretto con uno dei brigatisti arrestati.
Un romanzo nel complesso interessante, che nella seconda parte, tuttavia, pecca di originalità, nella misura in cui privilegia temi cari al buon senso comune.

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