Mille anni che sto qui
Letteratura italiana
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le storie di tutti
Un affresco leggero e genuino di 150 anni della nostra storia di paese attraverso e vicende di una famiglia calabrese che, in fondo, riassume tratti che sono essenza di ogni famiglia italiana. Al centro del racconto ho trovato interessante l'emergere della figura della donna sempre attrice principale anche se, da sempre, costretta a vivere dietro le quinte. Da madre a figlia si mescolano sogni e speranze, amori ed odi, voglie e repressioni fino ad arrivare a non capire più cosa significhi il termine emancipazione! il frigo pieno e la testa vuota? o il frigo vuoto e la testa piena?
Lo consiglio vivamente anche perché lo si legge in due giorni con una piacevolezza unica!
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Un titolo e un libro a metà tra "Cent'anni di soli
“ Candida parlava e faceva andare l'uncinetto senza nemmeno guardare le maglie, perché ormai non vedeva quasi più e aveva le mani deformate dall'artrosi. Solo l'esperienza suppliva a tutto.
Fin dalla mattina, quando entrava nella camera di Gioia, iniziava a raccontare, come quella volta che da piccola le avevano tolto le tonsille. Lo zio Mimmo e le parolacce che aveva detto sull'altare, la nonna Concetta e quant'era buona coi poveri, quella signora di Milano, i barili di don Francesco ... Storie che Gioia aveva sentito migliaia di volte, ma in quegli anni non ci aveva più pensato. Adesso, riascoltandole, le sembrava che si mettessero tutte insieme, come i disegni di quei centrini che all'inizio erano solo maglie piene e vuote, archi di catenelle, rombi e colonnine, ma poi a lavoro ultimato formavano un disegno più grande che non significava proprio niente, se non tutto il tempo e l'amore che erano stati messi per farlo”.
E’ racchiuso in queste poche frasi il senso del romanzo di Mariolina Venezia, classe 1961, che nel 2007 ha vinto il premio Campiello: Mille anni che sto qui, ed. Einaudi.
Nessuno può prescindere dalla propria famiglia, che come un grande, unico organismo, vive attraverso i singoli componenti, fa circolare il sangue di generazione in generazione mutando predisposizioni individuali attraverso evoluzioni e ripensamenti, ritrovandosi unito nelle tragedie e nelle feste memorabili.
Amore, vita, morte, tradimenti, alterne fortune economiche, rancori e ribellioni che sembrano non seguire un filo logico, ma alla fine si ricompongono in un unico, epico disegno.
Mi ha fatto venire in mente la teoria delle Costellazioni familiari di Bert Hellinger, secondo la quale eventi come malattie o fobie altrimenti inspiegabili possono essere ricollegati al destino di chi ci ha preceduto.
Ognuno dei componenti di questa saga familiare di cinque generazioni sembra essere diverso dagli altri, eppure i riferimenti culturali sono sempre collegati agli avi, alle tradizioni e ai paesaggi lucani che la scrittrice sa descrivere così bene, utilizzando spesso il dialetto.
Forse lei stessa, scrittrice e sceneggiatrice nata e Matera, trasferitasi a Roma presumibilmente per lavoro, ha sentito a un certo punto il bisogno di riappropriarsi della sua identità più profonda, scavando nei propri ricordi e nei luoghi che l’hanno vista nascere.
Ho visto Mariolina Venezia alla presentazione del suo ultimo libro e i suoi occhi scuri e antichi, di una mobilità esasperata, vagavano incessantemente sul pubblico costituito prevalentemente dai membri di un’associazione culturale lucana. Tutti davano l’impressione di avere un fortissimo senso di appartenenza, e, indifferenti alla sua ultima fatica letteraria, insistevano per conoscere nuovi particolari riguardanti “Mille anni che sto qui”.
Lei rispondeva, esauriente e collaborativa, consapevole di essere “una di loro”.
Certo questo libro non è “Cent’anni di solitudine”,ma può essere considerato un buon surrogato nostrano. Ho fatto fatica ad affezionarmi ai personaggi, e a volte mi sono persa nei passaggi generazionali, ma alla fine questa soria mi ha toccato qualche corda, e mi trovo qui a scriverne.
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...e che nessuno ti porti via, va là!
Sì. Merita la sufficienza.
Mi è piaciuto; non ho fatto i salti di gioia, non lo rileggerei ma ho apprezzato lo sforzo della Venezia di mettere per iscritto la storia della famiglia. Anche perché, io decisamente non saprei fare di meglio.
Di fatto il tema è trito e ritrito; ognuno ha però qualcosa da dire di sé e della Sua famiglia: ovvero non è un libro originale, spettacolare, di quelli che ti vien voglia di regalare, ma è piacevole anche se talvolta – mea culpa senz’altro - mi sono persa in questo lunghissimo secolo narrato attraverso le vicissitudini della famiglia Falcone. Bello soprattutto lo spaccato di vita offerto della Basilicata in tutta la sua tradizione, regione tratteggiata dalla scrittura contaminata dal dolce dialetto del luogo.
Tutti i personaggi dal capostipite in avanti, si piazzano indisturbati sulla scena del libro e ad ognuno di loro viene data importanza e dignità.Ma come in un sogno evanescente, poi, scompaiono pian piano, l’uno nella storia dell’altro, nel passato futuro di nipoti e figli…
E’ tutto un susseguirsi di vita, di tradimenti, di attese inattese e di decessi sperati, di fiamme che si accendono qua e là ora per cose ora per persone, crescendo e crescendo fino al ritorno al paesello natio dove tutto ha inizio e dove tutto – sorpresa!!! - ricomincia.
In una spirale di tempo che abbraccia il passato guardando al futuro.
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Una vecchia storia
Grande capacità di affabulazione, di attrazione verso il lettore, soprattutto se quei paesaggi, quelle atmosfere sono le stesse che conosci da una vita o da mille anni.
Un Sud vero, vivo, quello della Venezia, che riesce a dare un'anima talmente profonda ai personaggi da farceli immaginare di fronte a noi, e poterne osservare i gesti, sentire l'odore, ascoltare la voce.
Finisce qui la magia di Mille anni che sto qui.
La trama, il motivo della saga familiare, con una predominante presenza femminile, l'elemento magico e superstiziono fanno del romanzo qualcosa di già letto, quasi un esercizio di stile per emulare scrittori latino-americani di fama più radicata.
Il che non sarebbe un limite, se un finale troppo scontato, da manuale, non conferisse alla storia quell'aura di artefazione che ne fa perdere gli aspetti più realistici.
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Troppi richiami e similitudini gettano ombra sull'originalità del romanzo.