Narrativa italiana Romanzi Mi limitavo ad amare te
 

Mi limitavo ad amare te Mi limitavo ad amare te

Mi limitavo ad amare te

Letteratura italiana

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A volte essere strappati all’amore è l’unico modo che abbiamo per sopravvivere. Nella primavera del 1992, sopra l’orfanotrofio di Sarajevo, il cielo è di lamiera. Omar ha dieci anni e, nonostante sia una cosa pericolosa, passa le giornate alla finestra sperando che sua madre torni: da quando una granata l’ha sottratta al suo abbraccio, non sa più se è viva. Di notte il fratello gli strofina il naso sulla guancia per fargli il solletico, ma non riesce a consolarlo. Soltanto Nada, con i suoi occhi celesti, è diventata per lui un desiderio. Ha sulla fronte una vena che pulsa se qualcuno la fa arrabbiare, e un fratello, Ivo, grande abbastanza da essere arruolato. Per allontanarli dalla guerra, una mattina di luglio un autobus porta via i bambini contro la loro volontà. Se la madre di Omar è ancor viva, come farà a ritrovarlo? E se Ivo morisse combattendo? In viaggio per l’Italia, lungo strade in macerie, Nada conosce Danilo, che ha mani calde e una famiglia, al contrario di lei, e che un giorno le fa una promessa. Segnati da una tragedia che scuote l’Europa e manda in pezzi il loro mondo, questi tre ragazzi soli stringono un legame tormentato e imprescindibile, che durerà per sempre. Rosella Postorino ci consegna un appassionante romanzo di formazione, e un romanzo di guerra, sull’“inconveniente di essere nati”, sulla facilità di compiere e di subire il male, sulla lealtà e sul tradimento, sulla sconfitta e sul riscatto, su quanto sia incredibile la pulsione di vita che perdura a dispetto di tutto.



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Mi limitavo ad amare te 2024-02-28 09:52:38 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    28 Febbraio, 2024
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Solo comparse di una guerra

"La voce di Ivo era scabra, Omar la sentì scalfirgli la nuca, riempirgli il petto di angoscia come una richiesta d’aiuto, e cercò Sen, mentre sui vetri delle rare finestre ancora integre una nuvola sfilava lenta, immacolata nel cielo blu senza dolore, un paradiso digiuno d’inferno, una città qualunque, una città non bombardata, dove i ragazzi ascoltano a bocca aperta un amico cantare – ma hanno denti storti, seghettati, denti caduti senza alcun premio, e ogni tanto tossiscono, anche se è quasi la fine di maggio, e tirano su col naso, anche se l’aria è calda, un’aria da terremoto o da spari in agguato, tengono in tasca proiettili raccolti per strada, ne fanno la collezione, li scambiano come figurine, il freddo del metallo nel palmo, e seduti sull’erba di un’aiuola che nessuno ha rasato loro sanno di non essere ragazzi qualunque, e non sono fantasmi, neppure eroi, solo, canta Ivo, solo comparse di una guerra." Prendendo ispirazione da un evento tragicamente vero, cioè il bombardamento di un orfanotrofio a Sarajevo nell'estate del 1992, Rosella Postorino racconta una drammatica pagina di storia contemporanea vista attraverso gli occhi di un gruppo di ragazzini costretti ad espatriare per sfuggire alla guerra. Omar, Senadin, Nada, Danilo, nomi di fantasia, storie partorite dall'immaginazione della scrittrice ma molto più tangibili di quanto si possa credere. Come accaduto infatti nella realtà, i nostri piccoli eroi e tanti altri compagni di viaggio cui è toccata la stessa sorte, vengono caricati su dei pullman diretti in Italia. L'obiettivo è quello di allontanarli dagli orrori di un conflitto fratricida, sanguinoso e insensato come lo sono tutti. Omar e Senadin sono fratelli, vivono in orfanotrofio anche se la loro mamma è ancora viva, perché la donna, abbandonata dal marito, non ha la possibilità di mantenere i figli. Mentre Sen, il maggiore, vive questa situazione come una colpa della madre, rifiutando di vederla quando possibile, il piccolo Omar gioisce ogni volta che ha la possibilità di passare un po' di tempo con lei. Proprio durante una di queste uscite madre-figlio, i due vengono drammaticamente separati dallo scoppio di una granata. La donna viene data per morta, ma Omar non accetterà mai questa versione e continuerà a sperare di poterla riabbracciare. Nada è figlia di una prostituta e vive in orfanotrofio insieme al fratello Ivo, il leader degli ospiti dell'istituto, abbastanza grande da non potersi sottrarre alla chiamata alle armi. Con una madre assente, un fratello maggiore, unico vero riferimento, impegnato al fronte, la piccola con la passione per il disegno si trova ad affrontare i tragici eventi confortata soltanto dall'amicizia viscerale che la lega al piccolo Omar. Durante il viaggio della speranza verso il Bel Paese, la ragazzina conosce Danilo, figlio di una famiglia borghese, messo sul pullman dai suoi genitori come disperato tentativo di regalare, almeno a lui, un futuro migliore. L'ambientamento in Italia non sarà facile per nessuno, ma mentre Senadin e Danilo riusciranno a trasformare la sventura in opportunità, Nada e soprattutto Omar vivranno il distacco dal loro mondo, dalle loro radici, come una tragedia capace di creare un vuoto incolmabile. Reazioni differenti, nel caso dei due fratelli addirittura diametralmente opposte, raccontate con grande forza narrativa ed estrema sensibilità, in un romanzo corale coinvolgente e commovente, caratterizzato da un ottimo stile di scrittura. Chiaro ed inequivocabile atto di accusa nei confronti della guerra, il romanzo di Rosella Postorino punta il dito anche verso un sistema di adozioni superficiale, frettoloso, ipocrita, volto più a placare i bisogni e i desideri delle famiglie occidentali coinvolte che a curare la riconciliazione con quelle di origine, di cui nessuno si è veramente voluto occupare una volta terminato il conflitto. Il tema della famiglia rimane centrale per tutta l'opera, dalle prime pagine fino ad un finale proiettato vent'anni più avanti, affiancato da quello dell'amicizia, caposaldo della vita di ognuno di noi e ancora più necessario, se possibile, in situazioni drammatiche come quelle in questione, e da quello disperatamente necessario della pace e costantemente ineludibile della speranza. "Sei ragazzi a un chilometro dalle postazioni serbe, sali, parti, scivola scivola scivola bum, cappottato, bum, bum, cappottato, caduto, la neve è soffice, la fronte è gelida, per sempre gelida, la neve è rossa, lo slittino riverso.In italia hanno detto candidiamoli al nobel per la pace, i bambini uccisi dalla guerra, pare uno scherzo, l’ennesimo oltraggio, candidateli a un premio che non potranno ritirare, perché no, candidateli, lo hanno vinto perché sono morti di guerra, che bell’esempio di pace, basta poco per vincere, basta soccombere, scivolare su uno slittino in un quartiere assediato, ridere come ragazzi in un giorno di sole invernale, a gennaio dato che per la pace non fate nulla, ne lasciate la responsabilità ai nostri figli trucidati, ai frammenti dei nostri figli sparpagliati sulla neve, siamo stati noi a raccoglierli, il nobel per una cosa che non sapete quantificare, descrivere, una cosa astratta, un fatto solo nostro, “basta non ci sia la guerra”, la maledizione di essere umani, mortali, di avere figli, di essere figli."

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Mi limitavo ad amare te 2023-06-10 22:46:02 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    11 Giugno, 2023
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Nada, Danilo, Omar e Senadin

«”Ha detto che la prossima volta devi venire anche tu.”
“Ok. Ma tu quando lo capisci?”
“Che cosa?”
“Che dobbiamo stare qui.”»

Sarajevo, 1992. Una guerra, una città sotto assedio, bambini in fuga, bambini rifugiati in orfanotrofio in attesa di una madre che non tornerà e di un tempo sospeso di cui nulla è memoria. Non hanno più ricordo nemmeno di quello che era la loro vita del prima, sono ormai vittime e carnefici, prede e schiavi di un meccanismo che ruota interamente attorno ai proiettili. Proiettili che sono scambiati per figurine, proiettili che sono sinonimo di morte e di vita.
Omar ha dieci anni ma non ha amici. Senadin è suo fratello e cerca costantemente di dargli consolazione e conforto. Nada è una bambina senza anulare che però non smette mai di disegnare e ancora Danilo, che di anni ne ha quattordici, vive per quella promessa fatta a un tempo che verrà anche se ancora non c’è. Ma si può vivere senza la speranza che un giorno migliore arrivi? Che un futuro fatto di cose belle esista per tutti? No, non si può vivere senza coltivare questo bisogno.
Ecco allora che questi bambini si incontrano e che le loro vite si intersecano in una storia che li porterà a dover essere messi in salvo da quelle bombe in un Paese completamente estraneo a loro: l’Italia. È questo il luogo che potrebbe salvarli ma che al tempo stesso potrebbe strapparli inevitabilmente a vita dalla loro terra natia. Chissà se un domani avranno modo di tornare “a casa”, chissà se riusciranno a colmare quelle assenze e a ricomporre quel puzzle di identità e famiglia che è proprio di ciascuno di noi.

«Quando stava così vicino al suo corpo, la odiava come si odia un nemico [..]. Avrebbe voluto ucciderla, sua madre, per difendersi dal dolore di esserne il figlio. Avrebbe voluto torturare quel corpo, aveva fatto godere, quel corpo senza riserbo.»

Lo spostamento è proposto come un periodo limitato che poi però si trasformerà in affido e adozione. Non erano tutti orfani i bambini, alcuni le madri le avevano ma le donne, davanti all’inevitabile conflitto, non avevano avuto altra scelta, per salvarli, se non quella di darli in orfanotrofio. Era l’unico modo per proteggerli dal mondo di fuori. Questo non fa da scriminante, però, alla loro adozione.
Il focus si focalizza su Nada, Danilo, Omar e Senadin che partono in pullman verso il nostro Paese tra mille ostacoli e posti di blocco. Un viaggio della speranza che parte con una lacerazione che colpisce e taglia ciascuno di loro. Danilo è costretto a dividersi dalla famiglia che resta in Bosnia, Nada deve lasciare il fratello Ivo che è stato chiamato al fronte, Omar non riesce a non pensare alla sua mamma, una mamma che gli è stata strappata a seguito di una granata e della quale non conosce le sorti anche se spera che sia viva e Senadin ha il cuore pesante e invece non crede che questa sia sopravvissuta.
La struttura del libro, ancora, si divide in quattro parti che vanno dal 1992/1993 al 2010/2011. Un ventennio che vede crescere e diventare uomini e donne quelli che abbiamo conosciuto come bambini o adolescenti. Cosa ne sarà stato di loro?

«Dove vai?" Omar si lanciò su di lui, si aggrappò alla sua schiena, ma Senadin si scosse fino a farlo cadere. Non si fermò neppure per aiutarlo a rialzarsi. proseguì per la sua strada, probabilmente contento di essersi scrollato la propria storia di dosso.»

Rosella Postorino dona ai suoi lettori un componimento composto da tante storie e microstorie e da tante verità quanto tematiche affrontate. È una storia che parla di legami, di guerra, di perdita, di madri e figli, di esistere, di condividere, di amore, di famiglia, di affetti più cari, di sopravvivenza, di resilienza.
Un romanzo dai grandi intenti ma che è intriso di crepe come per un vaso rotto tenuto insieme dalla colla. La storia è ben scelta, l’idea è arguta soprattutto se si considera il target di riferimento per un libro come questo, tuttavia, alcuni argomenti e passaggi storici non sono affrontati con sufficiente approfondimento, vengono dati quasi per scontato o sono privi di una valutazione davvero oggettiva, è come se ci fossero delle falde che lasciano dei vuoti, e alcune sequenze, non sviluppati in modo omogeneo tanto da arrivare a scoppio ritardato e frammentato. Ma a prescindere dal dato storico l’altro grande cruccio di questo scritto è la prosa, lo stile. L’autrice non riesce ad essere davvero evocativa, fluida e a trattenere. Scrive un romanzo che finisce con l’essere ridondante, prolisso, faticoso da leggere e non emozionale. Non spicca per stile, l’evolversi non è fluente. Il lettore deve attendere per ricomporre il puzzle, si trova davanti a tante piccole microstorie che nei propositi vorrebbero dar luce a una fotografia più grande del tempo di allora ma che finiscono con l’essere percepite come decomposte, disomogenee, imprecise (alcuni aspetti non tengono conto dell’impossibilità concreta di alcune ricerche, ad esempio, o di alcuni dei molti meccanismi burocratici che si celano dietro all’adozione) e al tempo stesso inadatte nell’opera di ricomposizione.
Un libro che convince soltanto in parte, che risulta asettico per il suo frastagliarsi contro le onde. Un testo che sarebbe arrivato maggiormente con una impostazione diversa, magari con un’unica grande storia a far da collante al posto di tante piccole messe insieme e volendo anche con qualche pagina in meno. Un componimento che si fatica a leggere nonostante gli intenti e i buoni propositi.

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sì = a chi ama il genere e ha già apprezzato in passato la Postorino
no = a chi amando questo periodo storico ma preferisce una trattazione più contestualizzata.
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Mi limitavo ad amare te 2023-05-04 11:59:29 68
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68 Opinione inserita da 68    04 Mag, 2023
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Quale destino

Sarajevo, 1992, una città assediata sotto il tiro dei cecchini appostati, bambini ospitati in un orfanotrofio in attesa di una madre che non tornerà, un tempo sospeso di cui non si ricorda nulla, orfani alla ricerca di cibo, …” con proiettili in tasca che scambiano come figurine”…, …”immersi in un’ aria da terremoto”…, spari e bombe, che ..” non sono ne’ fantasmi ne’ eroi, solo comparse di una guerra in atto”...
Omar, dieci anni e nessun amico, Senadin, suo fratello, che cerca di consolarlo, Nada, una bambina senza un anulare che continua a disegnare, Danilo, quattordici anni e una promessa fatta per il futuro, vivono una condivisione casuale e necessaria, ciascuno con una storia, un viaggio della speranza che li sottragga a morte certa trasferendoli in un paese, l’ Italia, in grado di salvarli, una fuga da un luogo non luogo dove un giorno forse ritorneranno, assenze condivise e un desiderio che si è fatto legame ..

…” è che non ci siamo scelti, per caso sono stata testimone del suo dolore ed è bastato ad unirci”…

Bambini dentro la guerra che non hanno scelto di venire al mondo, una sospensione tra vita e morte indirizzata da amore, casualità, indifferenza.
Madri e figli, un legame forte e indiscutibile, due volte infranto, madri assenti, altrove, morte ammazzate, suicide, sacrificate, percosse, a loro volta figlie, un amore perduto, svanito, da riallacciare, il desiderio di rientrare nel grembo materno, la certezza di non avere avuto una madre, abbandonati ingiustificatamente, la rabbia e il risentimento nella propria solitudine altrove.
Ciascuno vive e racconta una porzione di storia, quella vita spezzata sul nascere, destino già scritto, percorso diverso, accettando o rifiutando il se’.
Omar sconterà l’ ossessione di riabbracciare una madre svanita nel nulla, Nada non ha mai conosciuto la propria madre, vive in simbiosi con il fratello Ivo che si trova al fronte, Danilo è partito sospinto dal desiderio di una genitrice che ha pensato alla sua salvezza.
In Italia saranno ospitati da un orfanotrofio in attesa che la guerra finisca, sperando in un ritorno più volte rimandato, anche quando saranno deposte le armi, un ritorno che non ci sarà o sarà diverso da come lo si credeva, che non avrà più niente da dare. E allora quella terra lontana sarà la propria terra, il presente e il futuro in una nuova famiglia, la scuola l’ inizio di altro, l’ accettazione della solitudine restituirà un senso perduto.
Che cosa sarà di questi bambini nel corso degli anni, che cosa rimarrà delle macerie della loro infanzia, dei luoghi della memoria, dei legami spezzati, dei sogni, della solitudine condivisa, orfani prematuri, sottratti a una famiglia che non è mai stata, ingoiata dalla crudeltà delle bombe, con padri altrove o semplicemente deposti?
Che cosa li ha resi quello che sono, passato, presente, traumi, ricordi, paura, rabbia, risentimento, emozioni, sentimenti, la dolcezza di uno sguardo, la tenerezza di un incontro, la condivisione di una sofferenza, il rifiuto di una nazione che non si sente propria, una solitudine acclarata, altri giorni e altri legami, una nuova lingua, come sopravvivere alla propria madre e crescere altrove?
Tutto e’ cambiato e in parte sopravvissuto a se’ stesso, alcuni traumi rimangono, c’è chi ancora attende e ha smesso di vivere, sopraffatto dalla rabbia ( Omar ), chi si è sottratto al passato, coltivando le proprie passioni e aprendosi a orizzonti diversi ( Nada ), chi ha accettato una nuova famiglia ( Senadin ), chi si rende conto tardivamente di quanto poco conosca di una vita infarcita di errori, indifferenza, banalità, estraneo ai sentimenti, ai sogni, alle sofferenze altrui (Danilo ).
Rimane quel sentimento condiviso, anche se oggi non è come prima, in primis dentro di se’, persone che appartengono a categorie diverse,…” separate da questa cesura”…, un affetto germogliato da bambini che permetterà di vivere insieme ma che non terra’ uniti. Contemporaneamente c’è una nuova madre che non è mai stata figlia, che lo è diventata quasi per caso, e un infante che non possiede tracce di memoria ma un presente e un futuro da scrivere….

“ Mi limitavo ad amare te “ è un romanzo stratificato che nasce da una guerra insorta in periodo di pace a tratti descritta in tutta la propria crudezza, un conflitto che genera altro, l’ affannoso protrarsi della sopravvivenza nel senso di una vita, scoppiata, persa, da ricostruire, capire, infrangere, metabolizzare.
L’ esistere, la condivisione, l’ amore, per una madre, per un figlio, per la famiglia, per gli affetti più cari, per se’ stessi, è destituito agli albori della vita medesima inseguendo i giovani protagonisti in un viaggio della disperazione e della speranza, un percorso del tutto personale, monco, ondivago, anche autodistruttivo, rigettando la vita medesima, o semplicemente non riconoscendola e non legittimandola, immersi nella fragilità di una mancanza definitiva, privati delle sue coordinate primarie.
È allora che diventa fondamentale la semplice testimonianza di un dolore condiviso, un legame che nasce e si mantiene in un percorso di sofferenza.
Il romanzo di Rosella Postorino non eccelle per picchi poetici e letterari, a volte la trama è spezzettata in eccesso e perde fluidità, ma è un testo che richiede attenzione, pazienza, attesa, pause, riflessione, un racconto di relazioni e archetipi relazionali, che privilegia microstorie e soggettività cangianti all’ interno di un’ unica voce e dei significati di un’ unica storia….

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Mi limitavo ad amare te 2023-05-02 12:56:13 marialetiziadorsi
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marialetiziadorsi Opinione inserita da marialetiziadorsi    02 Mag, 2023
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Scappare dalla guerra, e poi?

"Cosa facevo io mentre durava la Storia? Mi limitavo ad amare te." Izet Sarajli

La guerra in Bosnia, ed in particolare l’assedio di Sarajevo, fanno da sfondo a questo romanzo che ci racconta la storia ed il rapporto tra quattro ragazzini scappati da una Sarajevo nella quale risuonano le bombe.
Vivono tutti in un orfanotrofio e si decide di tentare di metterli in salvo facendoli scappare in Italia con un pullman che riesce superare tra non poche difficoltà tutti i controlli di sicurezza.
Tra questi bambini ci sono i due fratelli Sen e Omar, la cui madre li andava a trovare tutte le settimane e che Omar ricorda averlo incitato a scappare in occasione dello scoppio di una granata e che, da allora, è sparita. Omar non smetterà però mai di crederla ancora viva e di aspettarla.
Poi c’è Danilo, un ragazzo leggermente più grande affidato dalla famiglia al pullman nella speranza che si salvi almeno lui.
E infine Nada, niente, come dice il suo nome, con gli occhi azzurri e alla quale manca un dito di una mano. Orfana di entrambi i genitori, ha smesso di aspettarsi promesse mantenute dalla vita, una delle tante le viene fatta proprio da Danilo, durante il viaggio. Ha un fratello più grande, Ivo, che rimane in Bosnia per arruolarsi a combattere.
Tra i tre (Sen rimane sempre un po’ sullo sfondo) nasce un bel sentimento di amicizia, seppure diversamente declinato, che non si perde quando arriveranno nell’orfanotrofio in Italia.
La madre di Danilo verrà poi in Italia dalla Bosnia e lo porterà a vivere con lui, Sen e Omar verranno adottati. Nada, di carattere complesso, non troverà una famiglia disponibile ad adottarla. I protagonisti crescono e la storia procede con ciascuno di loro che seppur in modo diverso si porta dietro il suo passato.
E’ ben costruito narrativamente il diverso adattamento dei quattro (includendo anche Sen) alle vicende personali ed è proprio questa parte del racconto a mio parere ad indurci alla riflessione su quanto sia difficile coniugare il passato con il presente, gli affetti che non si vogliono abbandonare anche se non ci sono più e quelli nuovi che la vita ci offre. E anche quanto il passato incida sul presente.
Dobbiamo essere felici per forza o è un nostro diritto cercare chi ci ami come noi crediamo sia giusto?

E ancora: quanto un paese nuovo ed i suoi abitanti possono aiutarci a dimenticare il passato se noi vogliamo chiudere con la nostra storia una porta da non aprire mai più? O solo chi ha vissuto storie simili può davvero capirci e consentirci una giusta elaborazione del nostro tempo passato ed una serena accettazione del presente?
Le storie dei quattro protagonisti saranno alla fine tutte diverse. Il finale, che vuole riappacificare tutti pur in un nuovo equilibrio, mi ha lasciata insoddisfatta, forse mi attendevo una conclusione meno frettolosa, ma tant’è.
Ho inoltre trovato ben fatta la descrizione della famiglia adottiva di Sen e di Omar, così attaccata alla religione da renderla totalizzante, anche a scapito di chinarsi ad ascoltare le necessità dei figli che hanno adottato. Triste realtà purtroppo.
Il romanzo si inserisce nel solco delle riflessioni su adulti e bambini scappati dalle guerre, non è né il primo né, credo, sarà l’ultimo. Già allo Strega del 2022 l’argomento era rappresentato. Questo “Mi limitavo ad amare te” non rimarrà negli annali della letteratura, è tuttavia di piacevole lettura.

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Per tutti coloro che amano ragionare sulle famiglie separate dalle guerre.
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