Maruzza Musumeci
Letteratura italiana
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La Sicilia nel cuore
Quella tra Gnazio e Maruzza non è una semplice storia d’amore, perché i racconti di Camilleri non sono mai semplici racconti. Con la sapienza del grande maestro, l’autore riesce ad intrecciare a regola d’arte fantasia e realtà, storia e leggenda, amore e amarezza, trascinandoci in una favola dal gusto dolceamaro e incantandoci con il suo linguaggio vernacolare simpatico e frizzante. Sullo sfondo una Sicilia affascinante e tragica, dove la bellezza dei paesaggi si scontra con l’asprezza della vita, dove la limpidezza del mare e l’amenità degli uliveti e dei mandorli in fiore contrastano con la triste situazione di braccianti stagionali considerati alla stregua di pidocchi, “pirchì i pidocchi sunno come i braccianti stascionali, che macari Dio si scorda che esistino”. Proprio per sfuggire alla triste sorte di questo mestiere, Gnazio va a cercare fortuna in America, ma il richiamo della sua terra e delle sue radici è troppo forte ed il ritorno è inevitabile. Il bravo potatore, comunque, ha messo da parte un bel gruzzoletto e, rimesso piede sul suolo natio, può comprarsi un pezzo di terra che sia tutto suo, da coltivare con le sue mani, da riempire di animali, da arricchire con una bella casa e una numerosa famiglia. Trova la terra, la compra a dispetto di strane dicerie e storie raccapriccianti, la risveglia e la rende feconda. Compra gli animali, costruisce la casa. Quello che manca è una donna con cui mettere su famiglia, ma ad aiutarlo nella ricerca ci pensa la Gnà Pina, una vecchietta tutto pepe esperta di erbe medicinali e di tutte le cose del mondo. Ed ecco che nella sua vita entra una ragazza un po’ stramba, innamorata del mare e convinta di essere una sirena, ma di una bellezza disarmante: Maruzza. “Aviva dù occhi ca parivano palluzze di celu, la vucca doviva esseri russa russa comu ‘na cirasuzza. Il nasuzzo dritto e fino spartiva a mità ‘a miluzza frisca, appena cugliuta, ch’era la so facciuzza. I capilli le arrivavano sino a sutta i scianchi. La cammisa era a sciuri, e faciva ‘na bella curvatura all’altizza delle minnuzze. La vita era accussì stritta che lui l’avrebbi potuta tiniri tutta tra il pollice e l’indice della mano e dalla vita si partiva una gonna tutta buttuna buttuna che arrivava fino ‘n terra. Da sutta alla gonna spuntavano i piduzzi che addimostravano ch’era fimmina e no sirena. Doviva esseri quattro o cinco jita cchiù avuta di lui. Era meglio di tutte le fimmine che aviva vidute nella Merica.” Tra i due nasce un amore forte e intenso, fatto di passione e compromessi, che supera ogni difficoltà e ogni differenza, che genera figli e nipoti, che ci lascia incantati con il profumo del mare nel naso, il canto di una sirena nelle orecchie e la Sicilia nel cuore.
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Che bella favola
Che bella favola, che gran bella favola...
Che dire di quest'opera di Camilleri? Una perla un diamante una stella nel firmamento letterario. Scritta interamente in dialetto siciliano riveduto e riadattato all'inizio è spiazzante ma poi diviene più scorrevole che leggere l'italiano.
Per tutto il tempo dedicato alla lettura ho viaggiato lontano dai miei pensieri e problemi ed ora che la lettura dell'opera è conclusa mi sento irrimediabilmente e malinconicamente solo.
Gnazio, Maruzza, gnà Pina e tutti i personaggi del libro sono entrati di forza e con gentile irruenza nel mio cuore. Trattasi di una favola antica, misteriosa seppur prevedibile e conosciuta ma la sua forza sta nello stile narrativo di un Camilleri nel massimo del suo splendore.
Pieni onori a te o Sommo Dante Alighieri della Trinacria.
Buona lettura a tutti.
Syd
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Il canto delle sirene
Basta che Camilleri chiuda gli occhi “pi vidiri le cose fatate”, ed è così che la storia del contadino che sposa la sirena, ricordo della sua infanzia, diventa un racconto dal sapore arcaico, condito di ironia e sensualità.
Gnazio Manisco, contadino e muratore, torna a Vigàta, suo paese natale, dopo venticinque anni passati in America. Lo attende un destino insolito, perché insolite sono le due principali scelte della sua vita: la terra che acquista e la donna che sposa.
La prima, lo capisce al primo assaggio (“...pigliava ’na pizzicata di terra tra il pollice e l’indice e se la mittiva supra la lingua”), è terra buona, ma nessuno la vuole comprare: l'ultimo proprietario, svegliato una notte da un lamento, impazzì dopo un incontro ravvicinato con un mostro marino.
La seconda cruciale scelta si chiama Maruzza Musumeci, e forse perché nata su una barca in mezzo al mare ogni tanto crede di essere una sirena e sente forte il richiamo dell'acqua.
Glielo spiega la gnà Pina, vecchia un po' strega e sensale del paese, dopo mesi di proposte andate a vuoto ed un divertente siparietto di candidate.
“Stavota la cosa mi pare seria”.
Quelle dedicate alla gnà Pina, personaggio chiave del romanzo, sono pagine spassose e cesellate alla perfezione, tra battute salaci, proverbi antichi e cantilene magiche.
Le titubanze di Gnazio, che oltre ad odiare da sempre il mare teme di ritrovarsi per sposa una matta, svaniscono di fronte alla rara bellezza di Maruzza: “Era meglio di tutte le fimmine che aveva vidute nella Merica”.
E soprattutto: “Da sutta la gonna spuntavano i piduzzi che addimostravano che era fimmina e no sirena”.
Sirena o no, dal momento che l'amore si impossessa di lui nessun ostacolo gli sembra insuperabile e l'aura di stranezza che circonda la sua amata sembra accecarlo deliziosamente: “La vogliu”.
Maruzza canta in greco antico e la sua voce è un vento caldo che ammalia, annusa il suo pretendente e gli lecca la punta dell'orecchio: “Bono”, sentenzia, e ricomincia a cantare.
A certe sue stravaganze Gnazio si adatta facilmente grazie ad un matrimonio felice e alle gioie dei sensi: “Fimmina era, eccome se era fimmina! La natura fimminina era indove doviva essiri. Che minchiate gli contava Maruzza?”
Del resto, dal canto di una sirena che ama non c'è nulla da temere (la sua passionalità è anzi illimitata), ma da una che serba rancore è meglio stare alla larga.
Lo capiranno a loro spese due uomini, due “Aulissi” (lo scrittore strizza l'occhio al mito di Omero), contro cui occorre vendicarsi per un torto subito nella notte dei tempi...
La guerra e i bombardamenti arrivano alla fine della storia e turbano la quiete terrena, ma nulla possono contro quella ultraterrena. Basta accostare l'orecchio a una certa conchiglia per dimenticare il trambusto di mitragliatrici e cannoni, ascoltando un canto melodioso...
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Una fiaba per adulti
Può nascere amore fra una sirena, impastata di acqua di mare, ed un contadino che ama solo la terra e il mare lo aborre?
Camilleri pensa di sì e ci racconta questa favola per adulti delicata e poetica in cui gli opposti si attraggono e si completano.
Maruzza Musumeci è il primo titolo della serie dedicata alle Metamorfosi, che si completa con “Il Casellante” e “Il Sonaglio” di cui ho già avuto occasione di parlare.
La trilogia presenta tre caratteri di donne forti, amorevoli, ammaliatrici – la donna sirena, la donna albero, la donna capra – provenienti da una lontana tradizione classica (Omero, Ovidio), ma calate nella realtà siciliana dell'inizio del secolo scorso, con tutte le componenti di attualità legate al periodo storico: la mafia, il fascismo, la misera condizione di vita della popolazione in un territorio arretrato e ricco di tradizioni.
La favola di Maruzza è, fra le tre, quella che conserva maggiormente l'impianto della fiaba: c'è tutta la malìa del racconto nato per i bambini, ma con argomentazioni da adulti.
È una lettura che cattura e si esaurisce in un paio di pomeriggi e lascia in bocca il buon sapore della merenda che preparava la nonna e la leggerezza di cuore che nasce dal racconto di una bella storia d'amore.
Meno drammatico di “Il Casellante”, meno spiazzante di “Il Sonaglio”, “Maruzza Musumeci” è il titolo giusto con il quale iniziare la lettura (consigliatissima) della Trilogia di Camilleri.
[…]
“Ecco, vi devo diri che lei si credi d'essiri 'na cosa che non è. Ma io ne canoscio a tante di persone che si cridino d'essiri 'n'autra cosa di quello che sunno.” […] Pirchì Maruzza pinsava che come fimmina fagliava di una parti 'mportanti e perciò non era capace d'aviri a chiffare con un omo”.
“Nenti ci capii. Voliti spiegarvi meglio?”
“Diciva che lei non teneva la natura, che era nasciuta diversa, che aviva sì le minne, ma che non teneva lo sticchio.”
“Avà! Ma che mi vinite a contare!”
“Ve lo giuro”.
“E pirchì diciva accussì?”
“Pirchì si cridiva d'essiri un pisci”.
“Un pisci?”:
“Pisci pisci, no. 'Na sirena”.
Gnazio si sintì pigliato dai turchi.
“'Na sirena di papore? Quelle che friscano 'n partenza e in arrivo?”
“Ma che minchiate dicite! Ca quali papore e papore! Non lo sapiti che è 'na sirena?”
[...]
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Belle, le favole....
Da un pò di tempo pensavo di scrivere la mia opinione su questi tre romanzi, le Metamorfosi - di Camilleri, anzichè quelle di Ovidio- a cui certo il nostro scrittore si è ispirato.
Il primo: Maruzza Musumeci.
Storia di una donna- sirena: qui la metamorfosi.
Ero curiosa di vedere come se la sarebbe cavata il mio beniamino Camilleri, cambiando genere.
E poi le favole mi hanno sempre affascinata!
Il risultato dell'esperimento è per me eccellente.
Il romanzo si divide praticamente in due parti: la prima, in cui si narra la migrazione di Gnazio, e le vicende ad essa legate.
L'uomo torna a Vigata -la sua Itaca- ed invece di trovare ad attenderlo la sua Penelope, trova una grande solitudine, che deve presto colmare...
E cerca moglie.
Questa è la parte realistica.
Nella seconda avviene l'incontro con la bellissima -e un pò...strana- Maruzza.L'amore fulmineo .
Il matrimonio, i figli.
I compromessi , per lui che ha sempre odiato il mare, nell'accorgersi che la moglie è proprio il suo opposto, come ogni sirena che si rispetti!
Questa è la parte fiabesca, bellissima.
L'avere utilizzato il mito delle Sirene dell'Odissea per raccontarci questa favola, utilizzando il suo particolare ed efficace linguaggio, è secondo me un'ottima trovata. Pare quasi di sentirlo, Minico il contadino, che racconta il"cunto de li cunti".....
Nel romanzo, ad un certo punto, troviamo persino un certo Aulissi ( Ulisse), e poi anche Scilla!
Un felice connubio, quindi, tra realtà e fantasia , tra storia e mito, tra mare e terra.
Un riuscito esperimento, che proseguirà con altrettanto successo, nei due seguenti romanzi della trilogia!
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Sirene
Come dice lo stesso Camilleri è una favola che si è voluto riraccontare, scritta in una lingua siciliana più ostica del solito. Un romanzo fatato popolato da sirene sensuali ed assassine. Un libro che ad essere sinceri non mi ha convinta completamente... il buon vecchio Camilleri sa fare di meglio. Buona lettura:)
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Il canto muto della poesia
La storia del “ viddrano che si maritò con una sirena”, Camilleri la ascoltò per la prima volta dalle labbra di Minicu, il mezzadro di suo nonno, che con i suoi fantastici racconti, esortava lo scrittore, allora bambino, a chiudere gli occhi per riuscire a scorgere la magia insita nelle cose( pi vidiri le cosi fatate), quella che non può essere vista con gli occhi dischiusi alla ragione.
Camilleri ora ci invita a sua volta a farlo, regalandoci questa bellissima favola, questo poetico “cuntu” che, con il suo dialetto armonioso e incantatore, ci trasporta in un mondo dove mito, storia, scienza, leggenda e verità si abbracciano e ci abbracciano strettamente in una terra magica che ci rapisce e si fonde con la parte bambina della nostra intima essenza.
La vicenda inizia a Vigata, a cavallo tra l’Ottocento ed il Novecento e finisce con lo sbarco degli Alleati in Sicilia . Gnazio, il nostro antieroe, l’antiulisse per eccellenza, non volendo essere considerato un “pidocchio” come quello che, dimenticato da Dio e dagli uomini dovette nascondersi tra i capelli del Patriarca Noè per poter sopravvivere, parte per l’America in cerca di fortuna, attraversando un mare che lo impaurisce e lo sgomenta. Ma il suo sogno è tornare nella terra natìa: vuole vivere e morire là, in quella sua meravigliosa isola e come Ulisse agogna il ritorno alla sua Itaca. Vi rientra dopo 25 anni di assenza e compra una lingua di terreno incolto e circondato dalle acque nella contrada Ninfa. Nonostante la sua avversione per il mare che circonda la proprietà, Gnazio viene affascinato da un grande ulivo secolare accanto al quale decide di costruire la sua casa. Sotto le sue abili cure la terra rifiorisce. Passati i quarant’anni Gnazio decide di prender moglie e si rivolge alla ‘gna Pina, erborista e sensale, che gli fa conoscere la bellissima Maruzza Musumeci che vive con la sua enigmatica e conturbante bisnonna Minica. Gnazio ne rimane folgorato. Maruzza e Minica, nonostante le femminee sembianze, appartengono al popolo del mare; sono le creature dal canto ammaliatore che mai dimenticarono l’affronto di Ulisse; sono sirene che ormai vivono in mezzo agli uomini senza mai scordare i loro riti ed i loro impellenti bisogni che sempre le legano fortemente alle profondità marine. Sono esseri capaci di produrre splendidi canti che non hanno parole e soffiare dentro le conchiglie musiche antiche che raggiungono solo i cuori di chi conserva la capacità d’amare. Posseggono una memoria remota, parlano il greco rifacendosi ai grandi versi dell’Odissea e bramano l’acqua che regala loro una vita al di là del tempo e dello spazio, al di là della morte. Dopo essersi vendicate dell’onta di Ulisse, in un’aura di premonizioni, di sospette morti e sparizioni e dopo la celebrazione di un fatato matrimonio notturno non scevro di arcaici e spesso cupi e misteriosi rituali, Gnazio, accogliendo la diversità della sua sposa, inizia con lei una nuova vita basata sulla serenità e la concordia, in una totale fusione delle loro molteplici differenze. Nascono quattro figli. Il primogenito Cola, con la mente completamente rivolta al cielo e agli astri e che diventerà un astronomo famoso, ha tutte le caratteristiche del padre. La sorella Resina (anagramma di Sirena) è una novella sirenetta, come la madre. Gli altri due figli, Calorio e Ciccina, appartengono totalmente al mondo degli umani. Tra Cola e Resina si formerà un legame talmente indissolubile che scavalcherà la morte e si imprigionerà in uno spazio atemporale dal quale sarà possibile, ancora, ricevere un messaggio di vita e di speranza.
Una favola deliziosa questa di Camilleri, una favola che attraversa lieve tanti temi importanti della vita: un libro sull’amore, anche quello che sembra inattuabile, un libro sulla diversità che può unire invece che disgiungere. Un libro commovente, che contiene l’esplicito invito alla comprensione e all’accettazione dell’altro. Anche il lettore, non può che restare ammaliato dalla scrittura e dalla liricità del romanzo, che trasuda un sogno dai contorni sfumati di realtà, realtà che appare e scompare come onda del mare sulla risacca, lasciando dentro il dolce canto muto della vera poesia.