Mare al mattino
Letteratura italiana
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Mare al mattino di Magaret Mazzantini
Ogni romanzo di questa autrice è un mondo a sé, completamente diverso e indipendente da ogni altro, ma ugualmente interessante e profondo.
Lo stile è, come sempre, scarno ed elegante e la scrittura molto profonda e coinvolgente.
Qui ci troviamo di fronte alle storie parallele di due donne e dei loro figli: Angelina e Vito, Jamila e Farid. E’ una storia di profughi e di fuggiaschi, di chi ce la fa e di chi soccombe.
Uno dei protagonisti del romanzo è il mare, che unisce e che divide, che promette e non mantiene, che toglie (a Jamila) e che restituisce (a Vito) e che resta impassibile davanti alle guerre che vi si combattono.
L’autrice ci fa vivere il dolore di chi deve lasciare la propria patria per cercare la fortuna altrove o a causa di una guerra. Ci fa vivere il senso di disagio che provano i profughi in un paese nuovo, che li rifiuta e li considera solo un peso.
Jamila e Farid fuggono dalla Libia durante la primavera araba: il Rais vuole riempire il Mediterraneo di disperati, per fare tremare l’Europa (“E’ l’arma migliore che ha. La carne marcia dei poveri. E’ dinamite”).
Angelina e la sua famiglia, invece, vengono cacciati dalla Libia insieme alle spoglie degli italiani che vi sono sepolti e vengono accettati con riserva anche nella loro patria d’origine (“Ora sono loro i poveri. Poveri bianchi, sfollati. Hanno gli stessi occhi screditati di chi si è perso”).
La sua è una condizione “in sospeso”. Si sente straniera ovunque: sia in Libia, sia nella propria patria. Condizione, questa, che la spinge per tutta la vita a cercare una collocazione nel mondo
(“Il vero confino fu quello, la solitudine morale” e ancora “La gente privata di se stessa perde i confini” e infine “Non si trattava solo dei soldi. Volevano avere indietro un nome, un luogo. L’indennizzo era alla dignità. Alzare la testa e dire siamo stati rimborsati dal nostro paese. Siamo vittime della storia”).
I personaggi, come sempre, sono descritti in modo impeccabile e il fatto che i protagonisti siano donne e bimbi, pone l’accento sulla malvagità delle guerre, che fanno sempre stragi di innocenti.
Le frasi o le espressioni che mi sono piaciute:
“Il deserto è come una bella donna, non si rivela mai, appare e scompare”;
“E’ una scena di guerra, di ogni guerra. Umanità deportata come bestiame. Non ci si ferma a pisciare”;
“Dio nel deserto è l’acqua e l’ombra”;
“Il petrolio è la merda del diavolo, non ti fidare di quello che sembra una fortuna. Perché è peggio di una trappola per scimmie. E sempre quello che per i ricchi è una fortuna, per i poveri è una disgrazia;
“Sua madre un giorno gli ha detto devi trovare un luogo dentro di te, intorno a te. Un luogo che ti corrisponda. Che ti somigli, almeno in parte”;
“La storia dell’uomo è la storia della sua fame. Di affamati che si spostano. E’ la fame dei poveri, dei coloni, dei profughi”;
“Ogni notte un nuovo barcone, letame umano, fuoriusciti per fame, per guerra”;
Il Dio dei poveri è uno solo. E ogni giorno affoga con loro”.
Bello, lo consiglio a tutti!
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La storia dell'uomo è la storia della sua fame...
“Solo allora Vito aveva capito cosa intendesse suo nonno Antonio quando diceva: La storia dell’uomo è la storia della sua fame. Di affamati che si spostano. E’ la fame dei poveri, dei coloni, dei profughi. E’ la fame avida dei potenti.”
"Mare al mattino" è una storia di profughi, esuli, viaggi, sofferenze, paura, coraggio, speranza...
Sono profughi Jamila e Farid, madre e figlio, in fuga da un paese in guerra. Lo è Angelina, nata in libia da genitori italiani, giuntivi durante l'occupazione fascista e costretta espatriata con l'incombere della dittatura di Gheddafi, ed è profugo di conseguenza anche Vito, figlio di Angelina, perchè esuli si rimane per sempre.
Jamila rappresenta tutti i profughi, i profughi di oggi, quelli dei telegiornali, dei barconi, degli scafisti. Lei che ha sacrificato tutto per il suo futuro, per il futuro del piccolo Farid. Come Jamila e Farid, sono tanti, troppi coloro che sono costretti a fuggire dei propri paesi, costretti ad affidarsi a uomini senza scrupoli, che, pensando unicamente ai propri profitti, li abbandonano su imbarcazioni di fortuna con meno dell’indispensabile. E sono tanti, troppi, quelli che come Farid e Jamila, non arrivano a raggiungere ciò per cui hanno sacrificato tutto. E ancora sono tanti, troppi, quelli che, giunti alla tanto agognata meta si vedono respingere, rifiutare, discriminare, rinchiudere nei famosi C.I.E. ( i Centri di Identificazione e Espulsione italiani, paragonati da chi vi è passato a dei veri e propri lager). Rinchiusi in prigioni che vorrebbero farsi passare per “centri di accoglienza”, in attesa di essere rimandati nei loro paesi di provenienza, più poveri e malridotti di quanto non fossero alla loro partenza. E i governi, “la gente” trova questa soluzione giusta. Altrimenti l’alternativa sarebbe bloccare le frontiere, lasciare morire tutti questi “fuggitivi” in mare, nei loro stessi paesi, logorati da guerre, fame, povertà. Ci sono paesi che hanno già adottato queste misure. E poi, infine, ci sarebbe la possibilità di accoglierli, ma non c’è lavoro, non ci sono soldi, non c’è interesse, non c’è abbastanza per poterli accogliere. E pensare che anche noi italiani, noi europei, noi che oggi rifiutiamo, respingiamo e di fatto spesso “uccidiamo” con le nostre scelte questi esuli in disperata di ricerca di un futuro, anche noi siamo stati un tempo profughi ed emigrati, solo che non vogliamo ricordarlo. Noi, come Angelina e i suoi genitori, abbiamo cercato una vita migliore fuggendo dal nostro paese, verso la Libia, così come verso l’America. Sì, è vero anche molti profughi italiani sono stati respinti, bloccati alle frontiere, sono scomparsi cercando una nuova vita, sperando, ma ciò non ci autorizza a ripetere errori che altri hanno commesso, e che ora stiamo ripetendo.
Ora c’è la crisi economica, il lavoro scarseggia, la povertà e la disoccupazione aumentano, i giovani vedono allontanarsi rapidamente le loro aspettative, il loro futuro. Basterebbe una “ripartizione migliore”, come afferma la Mazzantini in riferimento alla dilagante povertà. I potenti bramano sempre più potere, i poveri e i deboli, affondano sempre più nella loro miseria e solitudine. E’ sempre stato così nella storia, anche se, certamente, ci sono stati momenti in cui questo fenomeno è stato ridimensionato. Ma ciclicamente ricadiamo nei nostri errori, e questa situazione perdurerà all’infinito. A meno che non si riesca a capire, che ci sarebbero risorse per tutti, “basterebbe” che ognuno rinunciasse ad un po’ del proprio egoismo, *perché ancora una volta*, a cercare i responsabili delle guerre, della fame che portano tanti, tantissimi a emigrare, lasciare le proprie case,* non c’è che da guardarsi allo specchio. Ovviamente ci saranno alcuni più responsabili di altri* (rubo le frasi tra * e * al film V x vendettta che consiglio a tutti di vedere), ma è per l’egoismo di alcuni che molti si trovano costretti a fuggire in cerca di condizioni di vita migliori. Forse è utopico pensare che si possa trovare una soluzione, una soluzione equa per tutti, ma come si suole dire “la speranza è l’ultima a morire”.
"Mare al mattino" presenta una realtà, quella dei profughi dei migranti, con frasi dirette, fredde, profonde, cariche di significati e emozioni, come solo la Mazzantini è in grado di fare. Avevo già affrontato il tema dell’ immigrazione,in altri modi, altre circostanze, ma non in modo così diretto ed esplicito. Finita di leggere l’ultima pagina rimane un retrogusto amaro, come un senso di impotenza e di rimorso di fronte alle storie raccontate in “mare al mattino”. E’ questo senso di asprezza e quasi indignazione, si accresce a pensare che le storie di Farid, Jamila, Angelina non sono fantasticherie di un autore malinconico, ma sono reali, o meglio ciò che vivono i protagonisti, è vissuto da centinaia, migliaia di profughi in tutto il mondo. Poi l’indignazione che da principio mi aveva pervaso, lascia il posto allo sconforto e al rammarico e alla delusione. Perché io, io che sono rimasto inerte di fronte a queste tristi verità, non sono meno responsabile degli scafisti che hanno abbandonato una moltitudine di vite su un barcone malridotto. E non ci si può limitare a compiangere i morti, e ad addossare colpe, perché i primi a non agire siamo proprio noi. Questo è ciò che mi ha insegnato la lettura, questo è ciò che ho capito rapportandomi con realtà, che i media e i governi nascondo, non stessi spesso ci rifiutiamo di vedere. Per questo mi sembra oltremodo inconcepibile, che ci sia, oggi, chi riesce a pensare che sia giusto rispedire in mare questi profughi, “usurpatori di lavoro”, “ladri”. Quale lavoro? Sicuramente chiunque di noi farebbe la badante, passerebbe ore e ore a faticare in un campo, rischierebbe la vita in un cantiere abusivo, per una manciata di spiccioli, come accade spesso e volentieri a molti dei profughi che giungono qui in Italia. Perché molti non ne hanno neanche la possibilità, in quanto sprovvisti di permessi di soggiorno, sono costretti a elemosinare senza identità per le strade, o a tornare indietro da dove sono venuti.
Grazie a questa lettura sono riuscito ad avere un’idea della realtà dell’emigrazione. Ed è questo che ricorderò di “mare al mattino”, il sapore del mare in tempesta, il sale incrostato sulle labbra assetate, l’odore di cera nella fabbrica dei genitori di Angelina, il dolore, la sofferenza nell’abbandonare tutto per un futuro incerto, una meta indefinita, coscienti che dovunque sia meglio del luogo da cu si fugge. Ricorderò emozioni e sensazioni, che mi sarà difficile dimenticare, forse impossibile, che non mi hanno lasciato indifferente come spero non abbiano lasciato indifferente chiunque abbia sfogliato le stesse pagine.
Giuseppe
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Mare al mattino.
"La nonna disse chi ti risarcisce di quello che ti hanno rubato? Avevamo uliveti e amici. Avevamo una storia." "Suo padre diceva che Angelina era rimasta un'esule. Una persona che aspetta di ripartire."
Con la sua scrittura asciutta, diretta ed essenziale Margarat Mazzantini ci racconta di tutte quelle persone che vengono strappate alla vita di tutti i giorni, alle loro tradizioni e cultura perchè nel loro paese il "dittatore" di turno fa scoppiare una guerra e ben presto si vedono costretti a fuggire per cercare un mondo migliore che li accolga.
Ci racconta del dolore che provano, del non sentirsi più parte di una realtà, di un mondo, si sentono incompleti, vivono di ricordi e di profumi che ormai non ritroveranno più, soffrono e vivono sospesi a quell'attimo in cui tutto è andato perso, il mondo per loro si è fermato al giorno della loro fuga.
Sperano di trovare pace e un po' di fortuna nel paese che li accoglierà, per poter un giorno rivedere la loro terra nella quale cercheranno ciò che hanno lasciato, ma non sarà così il tempo passa e tutto cambia sia i luoghi che le persone.
Purtroppo c'è anche chi non raggiungerà mai la terra della speranza e che soccomberà in quel mare nero, così grande, immenso che è bello per chi lo vede per la prima volta, ma che sa essere così impetuoso, violento e crudele da divorarti in un attimo, soprattutto se affrontato con barconi di fortuna, vecchi e sfasciati.
Un libro che affronta un tema attualissimo visto ciò che accade ogni giorno a Lampedusa, che ci porta a riflettere e che mi ha fatto provare dolore, tristezza e angoscia.
"Angelina sa cosa vuol dire ricominciare. Voltarsi e non vedere più niente, solo mare. Le tue radici inghiottite dal mare, senza alcuna ragione accettabile. Angelina ha imparato a convivere con l'irragionevolezza umana. La sola immagine di quel dittatore (Gheddafi) col turbante e gli occhiali da sole la rendeva aliena, strana."
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ESULI DI LIBIA
Anche questa volta Margaret Mazzantini ha soddisfatto le mie aspettative scrivendo un racconto di donne che fa emozionare.
Anche se lo stile è carico di metafore e immagini anche eccessive il racconto trasmette forti emozioni e narra di una Libia a me parzialmente sconosciuta.
La guerra e la maternità accomuna le protagoniste che vivono in modo diverso la vita dell'esule e che ne subiscono terribili ripercussioni. Angelina vive la vita come una straniera in patria e anche al figlio e Jamila protegge il figlio fino all'ultimo respiro con amore e dolcezza.
I drammi dei tripolini negli anni 70 e il dramma dei profughi vittime degli scafisti di oggi sono ben descritti nel racconto e travolgono il lettore con forti emozioni.
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Travolgente
Autrice viscerale, osserva l'umanità dall'interno, scavando nelle anime e rappresentando le azioni attraverso la sensibilità dei protagonisti:ogni passo, ogni parola, riflettono un vissuto dell'anima.
I sentimenti non sono semplici, le storie mai banali; i personaggi hanno spessore emotivo e intellettuale e i fatti sono narrati con metafore potenti e uno stile asciutto e diretto.
Anche "Mare al mattino" come già "Venuto al mondo" e prima ancora "Non ti muovere", mi ha travolto e spiazzata, mi ha fatto soffrire e pensare, ma soprattutto mi ha incollata alla lettura dalla prima all'ultima pagina, senza fiato, avvolta in una sorta di piacere doloroso, come in uno stato di trance visionario.
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“La memoria è calce sui marciapiedi di sangue”
Se vi sentite pronti per rimanere sconcertati, disgustati, delusi, tristi, allora potete buttarvi nella lettura di questo libro, e adesso vi spiego perché.
Il libro si apre su un vasto background storico: la Mazzantini parte dalla conquista italiana della Libia, nel 1911; e parla di un argomento poco conosciuto: i primi campi di concentramento creati dagli italiani in Libia.
Si passa al Fascismo, e alle emigrazioni italiane di massa verso Tripoli, nel 1938.
Si arriva poi al colpo di stato di Geddhafi e, quindi, alla cacciata degli italiani da Tripoli.
Infine, la ribellione: la Primavera Araba, con tutti i profughi che si sono lanciati verso l’Italia, e la conclusione che conosciamo: la morte del dittatore.
Su questi fatti storici sbocciano le due storie parallele narrate in questo libro: da una parte la storia di Jamila e di Farid, madre e figlio; che durante la Primavera Araba decidono di imbarcarsi per l’Italia e devono affrontare un deserto diverso da quello che conoscevano: il mare, un deserto quindi non più di sabbia ma di acqua, che può essere fatale.
Dall’altra parte invece la storia di Angelina e del figlio Vito.
I genitori di Angelina erano emigrati in Libia nel ’38, e lei si sentì araba fino all’età di undici anni, quando fu costretta, con la famiglia, a tornare in Italia.
È di Tripoli che Angelina avrà nostalgia per tutta la vita; per questo tenta di insegnare a Vito di trovare un luogo che gli possa appartenere per sempre.
Due madri, quindi, e due figli; distanti ma al contempo uniti nel tempo dalla Libia e dall’immigrazione.
Un mondo di guerra; terribile, squallido. Un mondo in cui i poveri sono poveri e basta, nessun riscatto; nessuna fortuna.
Le storie fanno venire i brividi, il libro è emozionante e al contempo crudele.
Inizialmente, lo stile della Mazzantini mi ha ricordato Baricco; poi però ho capito che lo stile è diverso: la Mazzantini plasma il suo su un linguaggio diretto, con frasi brevi e metafore e similitudini meravigliose.
Ne risulta un piccolo capolavoro, sia dal punto di vista storico, che narrativo ed emotivo.
Non mi aspettavo tutto questo. Sono rimasta con un nodo in gola alla fine della lettura; un nodo amaro che però è giusto sentire: non è altro che disgusto, verso la guerra, verso l’umanita assetata di potere e di sangue.
Alla fine del libro è inevitabile porsi una pungente e martellante domanda: ma cosa insegna la storia…?
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Vite parallele
Questo romanzo mi ha colpito molto per le vite parallele che sono narrate al suo interno la storia di 2 famiglie ma soprattutto di due coppie madre figlio separate solo dal mare .Molto forti le figure di queste 2 madri che pur avendo vissuto esperienze diverse sono accomunate dail senso di protezione verso i loro figli .Le minuziose descrizioni della Mazzantini riescono a far sentire al lettore persino gli odori dei luoghi in cui si trovano i protagonisti molto intenso ad esempio il viaggio in quella barca carica di persone maleodoranti che si scaricano e vomitano di continuo smorzato pero' tutto d'un tratto dall'abbraccio di mamma Jamila che con le sue vesti copre suo figlio isolandolo per un secondo così dallo sporco e dal puzzo che gli sta intorno.Personalmente non ho apprezzato molto questo continuo cambio di scenografia a volte troppo repentino sicuramente una lettura impegnativa e consiglio da fare se si ha l'umore "alto".
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L'odore del mondo arabo
E' un piccolo romanzo, molto forte. Un concentrato di particolari, dove ai due bambini e alle due mamme protagoniste, si aggiungono il deserto e il mare. Il deserto appare e scompare, ha un volto che cambia forma e colore, vulcanico o bianco di sale, un orizzonte invisibile, che danza e si sposta con le sue dune. E' forte, in queste brevi e piccole pagine, l'odore del deserto, l'odore del mare, l'odore del mondo arabo. Colpisce il punto in cui viene descritto quando Farid vede il mare per la prima volta. Rimane impresso il legame di Angelina col suo sangue. Restano nel cuore le pagine in cui Farid muore. Resta nella memoria un insegnamento: "devi trovare un luogo dentro di te, che ti corrisponda, almeno in parte".
Orfani della propria terra
Senza attese e senza prologhi la Mazzantini ci precipita nei cuori di gente orfana della propria terra.
Il suolo natio da una parte e quello adottivo dall'altra.
Due mondi diversi, due vite diverse.
Il dolore per l'abbandono della propria terra rimane impresso nel cuore come una cicatrice indelebile, con cui devi convivere, ma che mai riuscirai a cancellare.
Come è possibile voltare pagina? Buttarsi alle spalle una vita intera, fatta di profumi, di colori, di affetti, di ricordi?
Come è possibile trovarsi catapultati in un nuovo mondo senza sentirsi sradicati, privati della propria identità e della propria linfa vitale?
Quanto è dolorosa la nostalgia?
Questo breve romanzo è un piccolo gioiello, è insieme un canto dolcissimo ed un urlo di dolore.
E' un narrare che si stacca dai consueti canoni per abbracciare la strada della poesia; la Mazzantini va oltre al romanzato per approdare al lirico, per approdare ad un'intensità descrittiva ed emozionale straordinaria.
Frasi brevi, anzi brevissime, flash folgoranti che danno voce alla tragicità del momento in modo nitido e senza ombre.
Uomini e donne, bambini e adolescenti ritratti nella pienezza e nell'intimo dei loro sentimenti, ritratti nel calore del loro nido oppure nel gelo di strade sconosciute.
Questa è una penna strepitosa che riesce a cogliere l'anima, la sofferenza e la speranza, il sorriso e il pianto; ti avvolge come un abbraccio e ti coinvolge emotivamente.
Queste pagine ti fanno affondare nelle infuocate e polverose strade libiche,
ti trasportano su miseri barconi attraverso un mare a tratti azzurro a tratti nero, un mare che dona la libertà oppure la toglie per sempre,
ti fanno raggiungere le sponde di una vita nuova che ti accoglie tra le sue sconosciute braccia, tenere e materne oppure aride e nemiche,
ti parlano di casa, di arrivi e di partenze.
Uno spaccato sul problema dell'immigrazione veramente toccante, uno splendido parallelismo tra il passato ed il presente, una galleria di immagini fortemente suggestive.
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Commento
E' un racconto sul posto che chiamiamo casa, sul luogo a cui sentiamo di appartenere, sui percorsi della vita che portano le persone lontano alla ricerca di un posto dove sentirsi liberi ma soprattutto dove sentirsi "uomini" e non solo disperati e carne da macello.
Da una parte una giovane donna e il suo bambino in fuga da una Libia in guerra durante l'insurrezione contro Gheddafi, dall'altra una donna italiana, esiliata da Tripoli dopo la presa del potere da parte dello stesso Gheddafi molti anni fa , che in Italia non si è mai sentita a casa, ha vissuto gli ultimi anni in un paese che l'ha ignorata e che lei ha fatto di tutto per ignorare, straniera sulla propria terra. Un sentimento di non appartenenza che ha finito per influenzare il giovane figlio, disilluso e spaesato in un luogo che non lo stimola e non lo affascina come facevano i racconti della nonna sulla terra di Libia.
Le due vicende restano in sospeso come i destini di tanti essere umani , è un romanzo breve, con pochissimi dialoghi ma un'infinità di sensazioni e ricordi che la Mazzantini descrive con frasi affilate che arrivano al cuore.