Malinverno Malinverno

Malinverno

Letteratura italiana

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Ci sono paesi in cui i libri sono nell'aria, le parole dei romanzi e delle poesie appartengono a tutti e i nomi dei nuovi nati suggeriscono sogni e promesse. Timpamara è un paese così da quando, tanti anni fa, vi si è installata la più antica cartiera della regione, a cui si è aggiunto poco dopo il maceratoio. E di Timpamara Astolfo Malinverno è il bibliotecario: oltre ai normali impegni del suo ruolo, di tanto in tanto passa dal macero per recuperare i libri che possono tornare in circolazione. Finché un giorno il messo comunale gli annuncia un nuovo impiego: il pomeriggio continuerà a occuparsi della biblioteca, ma la mattina sarà il guardiano del cimitero. Lettore dalla vivida immaginazione, Astolfo mescola le storie dei romanzi - per i quali inventa nuovi finali - con quelle dei compaesani, dei forestieri, dei lettori della biblioteca e dei visitatori del cimitero, dei vivi e degli estinti. A incuriosirlo è soprattutto una lapide senza nome e senza date: solo una fotografia, una donna dallo sguardo candido e franco, i capelli divisi in due bande liscissime e l'incarnato pallido. Per lui è da subito la sua Madame Bovary, la sua Emma. Attratto dal mistero racchiuso in quel volto, Astolfo si trova a seguire il filo che sembra dipanarsi dalla fotografia: tra i viottoli e le campagne di Timpamara, complice l'apparizione di una giovane sconosciuta nerovestita, prende forma a poco a poco una storia che mai Astolfo avrebbe saputo immaginare.



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Malinverno 2021-01-07 15:46:23 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    07 Gennaio, 2021
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Astolfo Malinverno

«Osserva sempre la gente con attenzione, Astolfo, fissa i particolari, che ognuno, la sua storia vera, non la porta stampata sulla faccia ma nascosta dentro pieghe invisibili della pelle.»

Astolfo Malinverno sin da quando ha memoria, ha memoria delle parole. Articolate dalla madre, narrate dalle voci, lette dai libri. Parole che sono balsamo per il cuore, moto per vivere la vita con quell’emozione mancata, sentimento, verità. Un po’ come lo stesso ricordo di quella madre che tenendolo stretto al petto oltre che a insegnargli ad ascoltare i battiti del cuore, gli insegnava a osservare le esistenze vicine e lontane. È nato con un difetto alla gamba, leggermente più corta, eppure, è proprio questo difetto che gli consente da adulto di diventare il bibliotecario di Timpamara e inaspettatamente, poi, anche il custode di quelle anime accomiatate nel suo cimitero.

«Con la bocca di mia madre che narrava e animava il mondo, come se il mondo esistesse solo nella parola e con la parola, conobbi la vita e imparai ad amare i racconti e a capire presto che uomini e libri narrano in fondo le stesse storie.»

Ed è dal momento in cui viene incaricato di prendersi cura anche di quel luogo ove sono custodite le spoglie mortali dei cari degli abitanti del paese, che la sua vita cambia. Seppur all’inizio egli prenda con confusione l’incarico attribuitogli, ne rimanga perplesso, sorpreso, stranito, di poi si rende conto che al contrario quel luogo è una casa esattamente come la biblioteca e che, come nelle più inaspettate delle sorprese, lo sente suo. È durante uno dei suoi giri di perlustrazione iniziali che l’occhio gli cade sulla tomba di una donna dai lineamenti magnetici, dall’assenza di alcun riferimento sulla nascita, la morte, il nome, le origini. Ella è un’anima che lo ha chiamato e da allora lui la chiamerà Emma come la Emma di “Madame Bovary” di Flaubert. I giorni passeranno tra sogno, immaginazione, desiderio di conoscere il vero e tanta introspezione perché Malinverno per mezzo di questa donna del ritratto comincerà a interrogarsi sul suo vissuto, sul suo essere, sui suoi legami. E tutta quella quotidianità ostinatamente e minuziosamente costruita negli anni verrà ulteriormente infranta da un’altra figura che subentrerà nella sua vita con un mistero a farle da cappotto.

«Ci sottovalutiamo. Pensiamo di non essere capaci di affrontare certi dolori ma poi, alla prova dei fatti, dai meandri inesplorati del nostro organismo emergono minute molecole di sopportazione che si mischiano alle piastrine del sangue e irrobustiscono il corpo e ci fanno sopravvivere, malgrado ogni tentazione di arrendevolezza, come se Natura sapesse quanti dolori può distribuire, conoscesse la portata d’ognuno e mandasse il dolore giusto, quello che colma le misure senza affondarle, che noi nemmeno sapevamo di essere così resistenti ma Natura sì, Natura sapeva.»

Ha inizio da questi brevi assunti l’ultimo lavoro di Domenico Dara, testo quello presentato, che è intriso di una malinconica dolcezza e che con grande sensibilità e semplicità ci porta a guardarci dentro, a porci a nostra volta delle domande. È un libro intriso anche di nostalgia ma anche di tanta umanità, una umanità che trasuda da ogni pagina per mezzo della voce non solo del protagonista ma anche per mezzo delle voci di tutti gli abitanti del paese. A far da cornice e a esser parte portante dello scritto è ancora la letteratura, prevalentemente – ma non esclusivamente – classica che passando dal Don Chisciotte a Moby Dick ricompone quello che è l’io di Astolfo. Quest’ultimo è un protagonista che naturalmente suscita empatia nel lettore, che entra nelle sue grazie, in parte per la sua sensibilità, dolcezza e gentilezza, in parte per la grande immedesimazione che suscita. Ancora, ad impreziosire vi è la curiosità di far luce sull’arcano, un arcano a mio modesto parere intuibile ma la cui intuibilità non inficia sul proseguimento della lettura perché a prevalere è il viaggio posto in essere dal lettore per mezzo della voce di Malinverno.
L’opera scorre tra le mani del conoscitore con ritmi diversi. Accelera, rallenta, accelera ancora. Scuote per quel carattere malinconico che la caratterizza, per quell’aspetto nostalgico di cui è impressa, arriva per quella dolcezza sottesa che l’accompagna eppure può suscitare due reazioni diverse in chi legge: può trattenerlo o può respingerlo. E questo a causa della prosa narrativa di cui è caratterizzato. Questo continuo riferimento alla letteratura è uno degli aspetti forti del titolo ma anche più deboli perché rischia di far perdere di vista quello che è il filone centrale della narrazione e rischia altresì di far scemare l’interesse che se all’inizio è onnipresente ed è mosso anche da questo carattere, a lungo andare ne risente, affaticando e appesantendo l’avventura. Ancora, a rischiare di respingere il lettore vi è il tema che viene trattato che non è dei più semplici e nemmeno dei più allegri. Se queste ambientazioni e queste argomentazioni non sono di vostro interesse, infatti, il volume non riuscirà a colpirvi.
Ultimo nemico è la logica. Logica e riscontro nella verità che può rendere fallace alcuni passaggi nodali dell’evoluzione delle vicende, soprattutto se nel corso della vita si è vissuto almeno una parte di quell’esperienza che è la realtà della separazione da un legame e la realtà cimiteriale. Ecco perché consiglio la lettura di “Malinverno” staccandosi dalla logica, staccandosi dal dato del vero a ogni costo.
“Malinverno” è una storia che va letta lasciandosi trasportare dalle parole, facendosi condurre per mano da Dara, senza porsi troppe domande e senza cercare troppe risposte. È un viaggio introspettivo e come tale va vissuto. E allora sì che arriverà con tutta la sua forza e tutto il suo contenuto. Viceversa, potrà subire delle battute d’arresto, essere vissuto come farraginoso.
Infine, lo stile. Domenico Dara è dotato di una prosa magnetica, evocativa, musicale. Incuriosisce, trascina, trattiene ma rischia anche di “andare fuori rotta” per le digressioni continue che possono portarlo a essere un po’ troppo prolisso. Il libro conta 329 pagine ma sarebbe arrivato anche con una cinquantina di queste in meno, o comunque con qualche piccolo taglio o limatura. Ciò rischia di renderlo un autore non per tutti. Cosa che non deve essere necessariamente considerata come un difetto, anzi.
Leggere “Malinverno” è una esperienza sensoriale. Lascia tanto e arriva durante la lettura ma soprattutto dopo questa, a distanza di tempo. Commuove, emoziona, palpita.

«Perché se il destino dei libri è morire come esseri viventi, anche gli uomini, quando smettono di respirare, non diventano che storie.»

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Malinverno 2020-12-29 20:09:17 topodibiblioteca
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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    29 Dicembre, 2020
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Tra biblioteca e cimitero

“Mi sembrò per un attimo che ogni cosa nel mondo – anche i pensieri, anche i sentimenti, anche i morti- avesse la sua giusta collocazione nell’universo. Anche io, Astolfo Malinverno, l’unico bibliotecario guardiano di cimitero che l’umanità abbia mai avuto”.

In questa sintesi è contenuto il romanzo di Domenico Dara, tutto incentrato su due luoghi apparentemente così distanti ma che in realtà rappresentano due facce della stessa medaglia. Perchè cimiteri e biblioteche sono luoghi metafisici destinati a conservare e perpetrare il ricordo dell’eternità, due luoghi in cui vita e morte si sfiorano, che si tratti di persone o di libri poco importa. In mezzo a queste realtà si erge la figura del protagonista Astolfo Malinverno bibliotecario per scelta e guardiano del cimitero per necessità su imposizione delle autorità comunali, in un piccolo paese di provincia, Timpamara, sede di un macero per vecchi libri. Un luogo magico nel quale i fogli di carta che il vento solleva dai mucchi accatastati in attesa di smaltimento, vagano per il paese come coriandoli e vengono depositati “In ogni angolo di Timpamara, su davanzali, panchine, portabagagli delle auto, sui sacchi della spazzatura e perfino sui cappelli delle signore”. Lungo l’asse biblioteca-cimitero che rappresentano i due “punti fissi” del piccolo mondo del protagonista, si muovono i compaesani di Malinverno che, a modo suo, diventa lo spettatore di uno spettacolo della quotidianità nel quale gli stessi abitanti condividono assieme a lui piccole grandi tragedie cariche di sofferenze e solitudini, spesso troppo pesanti da sopportare, ma che talvolta assumono un tocco di realismo magico che sa di eternità: perché solo a Timpamara ad es. può accadere che un matrimonio venga celebrato proprio nel cimitero tra due sposi innamorati nonostante uno di loro sia trapassato. Ma Malinverno passerà da spettatore a protagonista assaporando sulla propria pelle un amore avvolto da mistero e che ha tutto il sapore della letteratura, rispecchiandosi attorno all’intricata vicenda di una splendida donna deceduta, della quale è possibile ammirare il volto in una fotografia incastonata nella lapide ma la cui identità rimane ignota. Una donna ribattezzata dallo stesso protagonista con l’immaginario nome di “Emma”, in onore di quella Madame Bovary nei confronti della quale nutre una profonda passione (“Questa lettura tornava nella mia vita ogni volta che avevo bisogno di consolazione, quando avvertivo cioè la necessità di annacquare e disperdere la mia tristezza nella tristezza del mondo e sentirmi così parte dell’umanità illusa e dolente”) e che ha in un’altra donna, Ofelia, evidente richiamo letterario di shakesperiana memoria, il suo sosia vivente.

Malinverno è un romanzo intriso di malinconica dolcezza, di una dolcezza sconfinante in dolore che forse, a tratti, può anche apparire eccessivo ma che allo stesso tempo rappresenta tutta la tragicità della vita. Romanzo nel quale le vicende narrate vengono diluite da riflessioni sulla solitudine, sull’esistenza, sulla natura umana (“Perchè la vita che viviamo o che pensiamo di vivere avviene tutta nei pochi centimetri quadrati della nostra scatola cranica, che gli eventi memorabili e unici della nostra esistenza accadono nella nostra testa….Che noi non siamo quello che abbiamo vissuto: siamo quello che abbiamo pensato”). Ed anche romanzo che sancisce il potere dei libri come “luogo di rifugio” per lo stesso protagonista di certo non baciato da madre natura causa disabilità fisica (“Fosse per me ci abiterei tra i libri: attraversata la porta della biblioteca mi sembra già di non zoppicare più...come se lì dentro non esistessero uomini claudicanti….E’ più di un rifugio per me: una tana, la mia camera amniotica”).
Malinverno si diverte a giocare con i personaggi della letteratura, mischiando le loro esistenze e facendo ad es. innamorare don Chisciotte con Madame Bovary, oppure a immaginare il necrologio per altre celebrità letterarie, riscrivendo la loro dipartita, come ad es. per l’Ismaele di Moby Dick. o sempre per lo stesso don Chisciotte.

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Malinverno 2020-12-26 20:09:27 Chiara77
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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    26 Dicembre, 2020
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La morte e la vita immaginata

“Perché la vita che viviamo o pensiamo di vivere avviene tutta nei pochi centimetri quadrati della nostra scatola cranica, che gli eventi memorabili e unici della nostra esistenza accadono nella nostra testa, che la vita, quella che pensiamo di aver vissuto e che ci è concesso di recuperare quando giungono i tempi dei bilanci, quella vita è avvenuta nell’intimità dei nostri pensieri, sconosciuta agli altri e all’universo. Che noi non siamo quello che abbiamo vissuto: siamo quello che abbiamo pensato, immaginato, sperato, desiderato, dimenticato.”

Astolfo Malinverno è il bibliotecario di una fiabesca cittadina calabrese, Timpamara. Sicuramente per volere della forza potente ed arcana del fato, un giorno si ritrova anche a fare il custode del cimitero del paese.
Il nostro protagonista è zoppo, orfano dei genitori che ha amato e che lo hanno amato intensamente. E’ un essere solitario e profondamente buono, creato in ogni sua sfumatura dalla penna dell’autore con lo scopo di essere apprezzato da noi lettori. E in effetti non è possibile altra scelta, soltanto quella di prendere il povero Malinverno in simpatia e sperare che finalmente anche lui abbia la possibilità di vivere l’amore, perché lo merita davvero.

Fin dalle prime pagine del romanzo ci troviamo catapultati in una storia che si svolge in un indeterminato passato, in un luogo quasi magico, una storia che cerca di attirare il lettore in un’atmosfera sospesa, impalpabile e densamente segnata dai buoni sentimenti.

L’autore è senza dubbio profondamente colto e nel romanzo sono disseminate decine di citazioni e di riflessioni sulla vita, sulla morte, sull’amore, sul valore e sulla potenza della lettura e della letteratura.
In teoria quindi gli elementi per trovarci di fronte ad un romanzo solido, piacevole e stimolante ci sono tutti: una storia particolare, ambientata in un cimitero – anche se ultimamente forse, è un’ambientazione un po’ troppo frequentata- un protagonista che suscita tenerezza ed empatia, uno stile che si apre a molteplici riferimenti letterari e profonde considerazioni. Non a caso ho scritto “in teoria”. Perché purtroppo, nella mia personalissima esperienza di lettura, tutti questi elementi che dovevano garantire l’apprezzamento del romanzo, non sono riusciti a combinarsi e a fondersi in modo armonico. Come in una ricetta in cui gli ottimi ingredienti, per una qualche indecifrabile motivazione, non riescono a mescolarsi e dar vita ad un buon piatto.

Lo stile dell’autore mi è sembrato eccessivamente prolisso e dispersivo e le continue digressioni sulla letteratura e sul senso della vita non mi sono sembrate sostenute da una trama abbastanza forte e coinvolgente.

In conclusione quindi, un romanzo che sicuramente può piacere ed essere apprezzato – sul web ho letto soltanto recensioni positive- ma che con me non ha funzionato. La sua componente eccessivamente centrifuga rispetto alla storia principale non mi ha convinta.

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