Magnifico e tremendo stava l'amore
Letteratura italiana
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Luciana e Domenico
«Più veniamo spazzati come bianche carcasse di pesci morti dalla mano titanica e nuda dell'amore, più vediamo aree verdeggianti di noi, boschi mai esplorati, popolati di strane creature, affamate e dolcissime. […] L'anima che non parla, esprime con il corpo le sue urla.»
Maria Grazia Calandrone ci ha abituati con “Dove non mi hai portata” a un linguaggio poetico ed emozionale che ci conduce per mano e ci trasporta in universo fatto di legami e sentimenti che si intersecano con quelli che sono i bisogni, desideri e le aspettative di una figlia che mai ha conosciuto la madre. Con “Magnifico e tremendo stava l’amore” torna in libreria con un testo ben diverso, a metà tra il reportage e il memoir. Per la precisione ella ci riporta al 2004, anno in cui un fatto di cronaca sconvolse il grande pubblico: Luciana Cristallo, sposata giovanissima per scelta, per amore e per inesperienza, con un giovane uomo calabrese di nome, Domenico Bruno, più grande di lei e anche più scaltro, nonché divenuta da lui madre di quattro figli, si macchia del reato più grave; l’omicidio ai danni proprio del marito. Dopo anni e anni di vessazioni, violenze, soprusi e chi più ne ha, più ne metta, la donna a seguito di una discussione spropositata, lo uccide. Non conta il fatto che si fossero separati ormai da tempo, non conta il fatto che le loro vite ormai proseguissero su binari paralleli. Talvolta una miccia è tale da riportare a galla tutto il malessere vissuto e provato in anni e anni di vessazioni. Luciana Cristallo sarà assolta sia in primo che in secondo grado con la formula “il fatto non costituisce reato” ed è proprio nei due gradi di giudizio che narrerà la sua storia dall’inizio della relazione con Bruno sino alla conclusione della medesima. Ma perché Luciana è rimasta al fianco di Domenico? Cosa l’ha spinta a perdonare, a sopportare, a restare a casa o a tornarvi anche dopo gli allontanamenti che si erano resi necessari?
«Così l'amore, questione di frammenti che trasformano il caso in destino.»
Maria Grazia Caladrone narra la vicenda in modo molto minuzioso. Ricostruisce poco alla volta il vivere dei protagonisti, ricerca le sue fonti, si immerge negli atti processuali, rivive la vicenda anche per quelli che sono stati i più importanti servizi televisivi e da qui offre al suo lettore un testo maturo e capace di suscitare empatia. Cosa non facile quest’ultima se si considera che il testo è proprio strutturato come se si fosse davanti a un reportage con tanto di intervista, domande e ricerca di risposte dall’autrice verso la donna. Altra grande sua virtù è quella di saper tenere l’attenzione del conoscitore sempre vivida e attiva, soprattutto se si considera che si è davanti a uno scritto di cui l’epilogo è noto sin dal principio.
Non da meno sono anche le analisi che vengono poste in essere sulla figura di Domenico Bruno e il suo passato. Egli è figlio illegittimo di un padre notabile ed è nato dalla relazione di questo con la domestica stante che la moglie non sembra essere fertile. Il bambino cresce tra le attenzioni della domestica, le respingenze della madre “adottiva” e l’anaffettività del padre per il quale egli è invisibile. Alla morte della moglie il padre sposerà la domestica ma in ogni caso Domenico resterà il figlio illegittimo.
«[…] Quanta morte è nascosta nell'amore che crediamo di provare, quanta lotta di bestie preistoriche, che urlo primigenio dentro il sorriso che rivolgiamo a un uomo, il giorno stesso in cui lo scegliamo?»
La prosa della Calandrone è pulita, minuziosa e ricercata. Non vi è volontà giustificativa all’interno delle sue parole, né per Luciana, né per Domenico. A far da sfondo alla vicenda vi è la dimensione sociale del nostro Paese tra gli anni ’80 e gli anni ’90.
Per avvicinarsi a “Magnifico e tremendo stava l’amore” la prima cosa da fare è dimenticarsi di “Dove non mi hai portata” perché tanto a livello emozionale che stilistico siamo su due piani nettamente diversi così come lo sono le aspettative. Se si legge l’ultimo lavoro aspettandosi di ritrovarsi nella stessa dimensione del precedente, le aspettative saranno disattese e anche malamente. Qui si è davanti a un testo quasi giornalistico e per questo volontariamente “asettico” in alcuni passaggi.
Non solo. La scrittura della scrittrice, naturalmente poetessa, tende a collidere con il narrato e a risultare dissonante. Nulla osta sul fatto che ella abbia una buona padronanza della parola ma in queste pagine il suo scrivere è un po’ uno stridere. Forse, semplicemente, non era il tipo di scrittura adatto all’impostazione data al testo e questo incide sulla piacevolezza.
Una prosa narrativa poetica ed evocativa si confà a un testo dedicato alla madre, alla ricerca, alla speranza di trovare le risposte alle tante domande su perdita e abbandono. Tuttavia, cozza e si scozza con una storia vera, ove a tenere le fila è la morte, il sopruso e la forma del reportage.
Una prova riuscita soltanto a metà.
«Ci sono persone il cui respiro è commovente, perché si vede come in trasparenza la volontà di vivere del loro corpo.»
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Un caso di cronaca nera
Una storia vera questa raccontata da Maria Grazia Calandrone. Si tratta di un fatto di cronaca del 2004: una donna, Luciana Cristallo, sposatasi giovanissima e per scelta con un ragazzo Calabrese, Domenico Bruno, più grande di lei, e divenuta in fretta madre di quattro figli, uccide il marito dopo anni di violenze nel corso di una violenta discussione.
Si erano ormai separati ma ad un ennesimo incontro lei si rende conto che stavolta sarà l'ultima e che l'ormai ex marito intende davvero ucciderla e non lasciarle solo qualche livido. Trova sul tavolo a tentoni un coltello (paradossalmente quello con il quale la madre di Domenico tagliava i fiori) con il quale lo uccide. Con il nuovo compagno butterà il cadavere nel Tevere che restituirà il corpo tempo dopo. Entrambi allora confesseranno spontaneamente.
Luciana Cristallo verrà assolta sia in primo sia in secondo grado perché il fatto non costituisce reato (in pratica per legittima difesa) dopo due gradi di giudizio nei quali, in modo molto toccante, racconterà l'intera storia delle violenze subite sin dall'inizio della sua relazione con Domenico Bruno.
La storia è raccontata in maniera molto ricca di dettagli e di drammaticità e trova le sue fonti dall'intero processo trasmesso in televisione da un giorno in pretura e dai diari stessi della Cristallo.
L'autrice cerca di raccontarci in maniera piena i sentimenti della donna che sentiamo a noi molto vicina. I figli ci sembrano vittime di vicende ben più grandi di loro che verranno anche chiamati a raccontare al processo.
Addentrandosi nel romanzo il lettore si chiederà più volte perché la Cristallo non abbia lasciato il marito molto prima di quando si è decisa: si tratta tuttavia di un meccanismo caratteristico e purtroppo ricorrente nei casi di violenza domestica.
La storia è sicuramente appassionante, benché si sappia già da subito come sono andati i fatti; i personaggi sono ben raccontati.
L'autrice cerca di addentrarsi anche nella personalità di Domenico Bruno a partire dalla sua storia: Domenico è figlio illegittimo del padre notabile in Calabria e nato dalla relazione con una sua domestica visto che la moglie sembra essere non fertile. Il bambino crescerà tra le attenzioni della domestica e di quella che vorrebbe essere sua madre. Alla morte della matrigna il padre di Domenico sposa la domestica potendo quindi adottare finalmente e in modo ufficiale il bambino.
Cresciuto quindi in modo disarmonico, Domenico probabilmente teme l'abbandono in maniera patologica.
La Calandrone non ha alcun atteggiamento di giustificazione per Domenico, pur cercando di andare alla radice del male da lui inferto alla moglie Luciana.
A questo si aggiungono ampie parti del libro che ci raccontano da un punto di vista sociale e politico il periodo dalla fine anni '80, nel quale questa storia nasce e si sviluppa.
La Calandrone sa scrivere, sicuramente. Ha uno sguardo poetico e profondo, come nei suoi lavori precedenti. A mio parere però in questo caso si è lasciata un po' prendere la mano: è tutto troppo, ecco. Il romanzo perde la necessaria scorrevolezza e l'opportuno equilibrio nelle ripetizioni sicuramente ben scritte ma spesso eccessive. Lo sfoggio di bella scrittura non giova alla bellezza complessiva del romanzo.
Allo stesso modo forse la parte dedicata al racconto socio-politico di quegli anni sarebbe potuto essere più breve perché di fatto queste parti ne interrompono lo scorrere.
Dal mio punto di vista ho apprezzato molto di più il romanzo precedente della stessa autrice anche se questo mi ha mosso la curiosità di leggere e guardare i video disponibili sulla vicenda Cristallo.