Ma già prima di giugno
Letteratura italiana
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La mia palinodia divenne sorte
Patrizia Rinaldi torna “Ma già prima di giugno” e propone un nuovo modo d’essere romanziera, accantonando il noir di Blanca, per scrivere questa saga storico-familiare dai tratti originali.
Demandando alla sinossi il compito di fornire informazioni sul contenuto del romanzo, in questo commento preferisco giocare con il titolo, e prima ancora soffermarmi sulla bella cover, un ensemble di grazia femminile e gusto retrò, con il particolare vintage della radio d’epoca a valvole.
Giugno è mese di grande evocazione letteraria con l’incipit affidato all’Elio Pagliarani di “Inventario privato”: “Ma già prima di giugno/la mia palinodia divenne sorte”.
Nei particolari: “Porto sempre il telefono con me, anche se non è ancora giugno”.
Nelle speranze: “Quando la frattura si sarà ricomposta (inutile, sarà dopo giugno)”.
Nella rassegnazione: “Ma no, che devo morire a giugno, non ne vale la pena”.
Ancora nella rassegnazione: “Capirai il danno, non mi resta molto fino a giugno”.
Nell’attesa: “Quanto manca per giugno?”
Nella resa: “Va bene, confesso, ma in anticipo, non è ancora giugno”.
In un moto di ribellione: “Anche questo fatto di giugno è una bufala”.
Nelle bugie declamate al medico: “Gli recito … il limite del giugno che non afferra”.
Nel dubbio: “Non sono così sicura che morirò a giugno, lo sai?”
Una figlia vecchia (“Gli esercizi per la felicità invece li ho fatti per anni”), una madre giovane (“Sì ho studiato. Senza la guerra mi sarei laureata, ma intanto lavoravo. Ho un titolo finito di maestra. Una donna istruita. Hai fratelli? Uno piccolo, sta con noi, e tre sono prigionieri in Germania… Torneranno?”). Ci raccontano. Si raccontano. La madre per bocca della figlia. La figlia in proprio. Mentre scorrono in flash back eventi storici dei quali la mamma giovane (“Sono Maria Augusta, la moglie del tenente Augusto F.”) si è resa protagonista: la guerra in Jugoslavia (“La reazione sarebbe stata crudele: le parti peggiori di due popoli stavano per sposarsi con la benedizione della grancassa del sangue”), la fuga da Spalato (“A Spalato non si può più restare, i titini hanno dato inizio alle rappresaglie”), l’approdo a Brindisi tra i morsi della fame che inducono a rubar formaggio a un pastorello (“Il primo morso la fece cattiva e felice”), il ritorno a Napoli, la deportazione di tre fratelli (“La sua carriera da kapò fu veloce e brillante, al punto che poté ammazzare K.M.”), la morte del marito nelle foibe, il dopoguerra (“Maria Antonia, la guerra mia comincia ora. Quella che è finita era la guerra degli altri”), le contese legali per assicurare alla figlia Lucia l’eredità di una villa la mare, una scelta scandalosa…
Lo stile di Patrizia Rinaldi è una bella novità, nel suo modo di esprimersi è bello ricercare contenuti che giungono come ondate e ti sorprendono.
E questa frase, “Non possiamo andare a Nisida e voi lo sapete bene” non ricorda “La gita al faro”?
”… Se fossero andati finalmente al Faro…”
“Domani non andremo al Faro; e sentì pure ch’egli avrebbe serbato per tutta la vita il ricordo di quel rammarico.”
“Domattina no, rispose la madre, e promise: Però ci andremo presto, il primo giorno di bel tempo”.
Io, “Ma già prima di giugno”, vi ho colto lo stesso senso dell’attesa perenne che incombe sulle nostre vite.
Bruno Elpis