Lo strano viaggio di un oggetto smarrito
Letteratura italiana
Editore
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Opinioni inserite: 7
L'orso polare
In effetti questo libro può piacere molto, specie a chi cerca una bella storia edificante che ti riconcili con la vita. A me è sembrato troppo zuccherato, anche se è scritto bene. Parla di abbandoni e delle ragioni del cuore. Il cuore ha sempre ragione mentre la rabbia e il desiderio di vendetta di chi si sente abbandonato (il padre di Michele) trovano minor comprensione. Il libro va alla ricerca dell'orso bianco che è come la balena bianca. Pare un mito, un'illusione, invece forse esiste l'amore vero ed eterno.
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Interessante
Penso che questo sia uno di quei libri che o ti piace, o proprio non ti piace. È scritto in maniera abbastanza scorrevole, sebbene abbia dei momenti più lenti di altri che potrebbero portare un po’ alla noia.
A me il libro è piaciuto, mi ha ricordato l’Alchimista di Coelho per via di tutti gli incontri che il protagonista fa durante il suo viaggio e per l’argomento del “paradiso personale” che trovo sia un parallelismo alla “leggenda personale” del libro dell’Alchimista.
È un libro che parla di crescita, di cambiamento, di solitudine. Per leggerlo penso bisogni avere un determinato stato d’animo per poter comprendere tutti i vari messaggi sparsi nel romanzo.
Ci sono delle frasi e paragrafi molto belli e più importante della trama stessa c’è il messaggio che vuole mandare l’autore, a mio parere. La trama vera è la ricerca di risposte per non avere più rancore o rammarico, per poter andare avanti con la propria vita senza aver paura di uscire dalla propria zona sicura; trovare ciò che ci fa stare bene, e cioè il proprio paradiso che può essere una casa, un’automobile, un amore, una famiglia e così via.
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La sola idea di salire su quel treno
Lo strano viaggio di un oggetto smarrito descritto da Salvatore Basile è quello compiuto dal diario infantile (“Miniera di Mare, 1° ottobre 1991 – Diario segreto di Michele Airone”) di Michele Airone (“Era tornato a casa con lo stesso treno che lo aveva portato via, lontano, tanti anni prima”), un ragazzo che vive in solitudine nella stazione di Miniera di Mare, capolinea di un treno che ogni giorno percorre un unico viaggio di andata e ritorno verso e da Piana Aquilana (“… Pronto per la partenza del primo e unico treno. Aveva scandito la sua vita sui ritmi della stazione ferroviaria di cui era l’unico custode…”).
Michele ha un ricordo struggente della madre, che si è allontanata da casa quando il figlio era piccolo ed è svanita nel nulla. Nella sua solitudine, Michele coltiva la passione per gli oggetti smarriti rinvenuti sul treno (“Trovi gli oggetti, dopo quindici giorni li consegno alla polizia, come da regolamento, poi aspetto un anno… e se nessuno li ha richiesti… ho un conoscente all’Ufficio oggetti smarriti che me li spedisce qui prima che li smaltiscano…”) e patisce un’agorafobia (“Michele tremava. La sola idea di salire su quel treno e lasciare il suo mondo sicuro lo terrorizzava”) che gli impedisce di allontanarsi da casa (“Sentì l’elastico al centro della schiena tendersi con forza e il dolore fu lancinante”). Tutte forme di difesa (“Perché lo fai?… Non lo so…”), reazioni che hanno bloccato l’evoluzione della sua vita.
Grazie agli stimoli di Elena, una ragazza volitiva che capita per caso nella stazione e si innamora di lui, Michele decide finalmente di partire alla ricerca della madre, Laura Puglia, e intraprende un viaggio che lo porterà sulle pendici del Gran Sasso, dopo incontri svariati con personaggi originali (il greco Erastos, l’amico d’infanzia Antonio, mangiafuoco e fachiro…).
Quando crede di aver individuato ove vive la madre (“Ma non era invecchiata neanche di un giorno. Anzi, sembrava ringiovanita”), in realtà spalanca una porta che si affaccia su una realtà famigliare allargata e nuova…
Giudizio finale: itinerante, riduce ai minimi termini (in senso geografico) la traiettoria del racconto “Dagli Appennini alle Ande”, un po’ retorico ma pieno di buoni sentimenti e di trovate (su tutte, quella dell’orso polare sul Gran Sasso) che rendono gradevole la lettura.
Bruno Elpis
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Michele, Elena e il coraggio di crescere e andare
In quel di Miniera Mare quel solitario e unico treno che giornalmente compie ininterrottamente le sue tre tappe partendo all’alba e tornando al tramonto, scandisce la vita di Michele, trentenne ferroviere che ogni sera, al ritorno delle locomotive in viaggio, porta a termine il suo lavoro e procedere alla sua opera di salvataggio. Atteso che ogni passeggero sia sceso dal vagone, il giovane, sale e inizia a pulirlo da ogni carta, sacchetto, rifiuto ma inizia anche a raccogliere ogni oggetto dimenticato, abbandonato, smarrito. Una volta raccolto, ne dà denuncia ma nel frattempo procede altresì a catalogarlo e a custodirlo nella sua dimora sita all’interno della stazione stessa. Ogni sera, con la sua stracciatella, i suoi oggetti, i suoi ricordi. Perché Michele è solo. Il padre è venuto a mancare da poco più di tre anni, la madre lo ha lasciato che ne aveva appena sette portandosi via quel quaderno rosso, suo diario segreto.
Da allora egli vive con la sensazione di sentirsi un oggetto smarrito, da quei maledetti sette anni in cui ha visto partire sua madre con la sua valigia, il suo libriccino e una presunta promessa di far ritorno. Un giorno. Da questo momento per il bambino poi uomo, ogni attimo passato con la mamma diventa un ricordo sbiadito che perderà la sua intensità di emozione per condannarlo ad una vita vuota, priva di rapporti, legami, colori, sapori. Michele si chiude a guscio nella sua esistenza, si confina in una “bolla” a cui nulla e nessuno possono accedere: la sua vita diventa una routine scandagliata e precisa, meticolosa e chiara, intangibile e infrangibile. Le promesse sono solo parole senza significato e profondità, parole dette così tanto per dire ma senza un fondo di verità.
Eppure un giorno, un giorno come i tanti a cui si è assuefatto, un nome, una persona, una ragazza: Elena. Elena e il suo parlare ininterrotto, Elena e la sua bambola smarrita “Milù. Milù come la sorella perché entrambe così si chiamano”, Elena e il suo saper far breccia nel cuore di questo uomo così timido, spaventato, insicuro, chiuso in sé stesso, Elena e la sua capacità di trasmettere coraggio. Coraggio di chiedere cinque giorni di ferie per compiere quel viaggio in treno come passeggero, coraggio di aprirsi agli altri, di far fronte alla propria inadeguatezza, di vincere le piccole paure, di convivere con la propria ingenuità, goffaggine, fragilità, di accettare quel bisogno di calore, quegli imprevisti, quelle sorprese che la vita ci riserva e che di questa fanno parte. Per crescere, per afferrare quel che abbiamo faticosamente conquistato, per vivere e non soltanto sopravvivere.
Salvatore Basile ci dona con “Il viaggio dell’oggetto smarrito” un componimento delicato ma anche profondamente duro e riflessivo. Perché il percorso che è chiamato a intraprendere Michele, è un percorso che tutti noi siamo chiamati a solcare. Perché tutti abbiamo perso qualcosa, perché tutti abbiamo bisogno di credere in noi stessi, di imparare a camminare sulle nostre proprie gambe.
Al tutto si somma una penna lineare, fluida, che accompagna il lettore pagina dopo pagina invogliandolo ad andare avanti e a riflettere sul proprio io. Un piccolo gioiello.
«Ecco perché volevo farti vedere questo ulivo… perché è come te. Ha una ferita profonda che gli hann inferto quando era bambino. Però è cresciuto lo stesso. E continua a crescere, anche se, crescendo crescendo, la ferita diventa sempre più profonda. Anche tu sei cresciuto, nonostante la tua ferita. E ora hai deciso di cercare tua madre. Ma dimmi una cosa… Così speri di cancellare la ferita?» p. 102
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Siamo tutti oggetti smarriti
A Miniera di Mare c’è una piccola stazione e un unico treno, che parte all'alba e torna al tramonto con il suo carico di pendolari, stanchi e impazienti di raggiungere le proprie case. Ma è proprio quando il treno si svuota che il trentenne capostazione Michele comincia la sua opera di salvataggio. Ricerca con cura tra i vagoni ogni oggetto smarrito, abbandonato, dimenticato, per raccoglierlo e custodirlo.
Michele infatti sa fin troppo bene cosa significa sentirsi un oggetto smarrito. Lo sa da quando, a sette anni, ha visto la sua mamma partire proprio con quel treno, portando con sé una valigia, il suo diario di fanciullo e la vana promessa di un ritorno. Da quel giorno i colori del sole e del mare, il ricordo della tenerezza, il gusto di una cena preparata con amore sono via via sbiaditi nel suo cuore, e Michele si è pian piano arreso a una vita vuota di emozioni e di sapori, perché questo è il prezzo da pagare per non venire distrutti dall'inevitabile infrangersi della speranza. “Perché nessuno ritorna, anche se lo promette. Soprattutto se lo promette.”
Ma forse no. Forse anche un oggetto smarrito può ritrovare la strada verso casa. E, una sera, Michele su un sedile vuoto ritroverà proprio il suo diario di fanciullo e scoprirà così dentro di sé un coraggio nuovo. Quello di salire finalmente sul treno come passeggero, di andare incontro a risposte che terrorizzano, di indossare con dolcezza la propria disarmante goffaggine, la propria fragile inadeguatezza, di mettere allo scoperto il proprio bisogno di calore, e affrontare il mondo, con le sue persone, le sue sorprese, i suoi imprevisti.
Il viaggio dell’oggetto smarrito che dà il titolo a questa opera prima di Salvatore Basile è un percorso speciale, quello di un quaderno che ha perso il suo padrone, di un figlio che ha perso il coraggio di amare, di tutti noi. Perché tutti nella vita abbiamo perso qualcosa, un amore, un’amicizia, un’abitudine, la forza di credere in noi stessi. “Quando ti fregano, quando ti ingannano o ti tradiscono, sei tu che perdi qualcosa di importante, perché credi di perdere la fiducia negli altri, ma invece la perdi in te stesso.”
Allora è davvero emozionante e profondo immergersi in questa favola di buoni sentimenti, raccontata con tocco straordinariamente poetico e delicato. Perché parla di noi. Perché non possiamo non riconoscere nella corazza di paura e diffidenza di Michele quella di ogni essere umano smarrito. Non possiamo non sperare di incontrare, come Michele, una Elena che entri nella vita con la sua energia dirompente e colorata, capace di scalfire qualunque corazza. Perché tutti meritano di ricordarsi che la vita è bella, anche quando è lei stessa a ricordarti quanto riesce a essere dura, difficile, spietata.
“Le confessò di aver capito che tutti hanno il diritto di seguire un orso bianco, perché rinunciare a farlo vuol dire, semplicemente, rinunciare a vivere. E che la vita non è una bilancia che pesa i torti e le ragioni, ma un fluire di eventi che molto spesso non hanno spiegazione, oppure ne hanno troppe perché si possa individuare, alla fine, quella vera. […] Chi poteva saperlo? Questa è la vita.”
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Quando ci si sente come oggetti smarriti
tutti è capitato, dopo un abbandono, di sentirsi come oggetti smarriti: inutili propaggini di una persona che non c’è più. Qualcuno si trincera nella propria solitudine, qualcun altro metabolizza il dolore nell’impegnativo compito di cercare una nuova felicità.
Michele appartiene alla prima categoria, Elena alla seconda. Un giorno questi due mondi, all’arrivo del treno che Michele ogni sera ripulisce e da cui attinge la sua collezione di oggetti smarriti, si incontrano e la vita di entrambi cambierà per sempre.
Sarà Elena a spingere Michele a uscire dal suo sterile ma confortevole guscio, a cercare la madre che pare aver abbandonato il diario infantile di Michele su quell’unico treno che parte da Miniera di Mare, un piccolo sasso che dovrebbe ricondurlo a lei.
Una fiaba moderna, questo libro di Salvatore Basile, che ha la leggerezza della favola di Pollicino e la profondità del Piccolo principe di de Saint-Exupéry da cui è tratta la citazione che lo apre. È pure un romanzo di formazione, di tardiva crescita direi, e una bella storia d’amore che vorremmo continuare a seguire anche dopo l’ultima pagina.
Salvatore Basile, sceneggiatore prima di scrivere questo romanzo, ha dimestichezza con le trame e con le parole, e si vede; ha sincerità e ingegno, rimanendo autentico nel suo mondo inventato. Senti tra le pagine del libro la persona che l’ha scritto, e che io ho avuto il piacere di ascoltare: nel patto di felicità che Elena ha stretto con la gemella e nell’ostinazione con cui Michele insegue infine il suo sogno, nell’invenzione dell’ Orso polare e nell’attenzione verso i sentimenti degli altri, che è anche un po’ la curiosità dello scrittore di storie verso le vite e i pensieri che gli passano vicini. Non a caso, nelle sue presentazioni, Salvatore Basile non si limita a firmare dediche, ma chiede ai suoi lettori di lasciargliene una a loro volta.
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Vale sempre la pena tentare
La storia di Michele ed Elena ti entra nel cuore. Non subito. Non dalle prime pagine. Ma poi a poco a poco si assapora il mondo isolato di Michele. E d'altra parte il mondo di Elena: esuberante, vitale, a colori. E non si può più abbandonare questo libro. Ben descritti i personaggi, le sensazioni che provano, la loro vita. Il messaggio che dà l'autore con questo libro è provare sempre, non arrendersi. Michele parte alla ricerca della madre. E se all'inizio la scrittura può risultare un po' lenta e descrittiva, poi è tutto un crescendo. Bellissimo il colpo di scena verso la fine. In fondo c'è sempre un colore che può illuminare i nostri sogni...