Lo spazio bianco
Letteratura italiana
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“Non ho capito bene.” Irene.
Romanzo ambientato a Napoli, ruota intorno a Maria insegnante in una scuola serale, e Irene, la figlia che viene al mondo dopo soli sei mesi di gravidanza, così vicine ma costrette lontane da quello spazio bianco, che non è solo l’ospedale, che racchiude le loro momentanee esistenze. Intorno personaggi vari che faticano a mandare avanti la giornata e incrociano Maria nel difficile travaglio in cui si trova a dover lottare.
Partorire un figlio bisognoso di cure è l'incubo di ogni donna, quando si realizza metabolizzarlo è solo la difficoltà successiva, a cui ne seguiranno altre.
La Parrella non si prodiga in superflue descrizioni, i sentimenti certamente percepiti sono appena accennati, come se la scrittrice volesse scrivere solo per chi comprende anche senza tanto dire.
Il romanzo si snoda in un unico lungo capitolo, senza soluzione di continuità, forse perché è così che Maria vede la sua vita e quella della piccola Irene.
Il tema è complesso e non mi ha pienamente convinto, non perché volessi più morbosi dettagli, ma nonostante l'argomento trattato, non mi ha pienamente sollecitata come invece mi sarei aspettata, e questo lo imputo al taglio che al romanzo è stato dato, che io ho percepito troppo asettico. Stranamente e incredibilmente freddo, come le stanze dell'ospedale che le riempiono la vita. Uno "spazio bianco" di sospensione che tutti abbiamo prima o poi conosciuto, può schiacciarti o forzarti a procedere nel cammino. E' forse questo aspetto dei sentimenti che più mi è mancato e che ho cercato, nella mancanza, di immaginare.
Nel finire del racconto la narrazione dei primi biberon di Irene, quel gesto così naturale che può trasformarsi in un pericolo mortale per alcuni bimbi in determinate situazioni di salute, mi ha fatto pensare al dare la vita e al toglierla, ho percepito appieno la disperazione, da solo è valso per tutto il non detto.
E’ una lettura che consiglio certamente.
"Ho provato. Aspettando la metropolitana per l'ospedale, tutti i giorni, ho provato a leggere saggistica. I primi tempi ci sono riuscita, perché non avevo altro se non la mia testa. Ed era una testa molto esercitata sui libri.
Qualunque rancore i miei si rilanciassero da un estremo all'altro del corridoio, venivano assorbiti dal silenzio del tempo fermo. Io leggevo."
Buone prossime letture
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La fragilità della speranza
Ma dove sono stata io? A cosa pensavo in questi 8 anni (il romanzo è del 2008!), ignara dell'esistenza di un romanzo così intenso, doloroso e scritto magnificamente?
La Parrella entra di diritto, dopo questa lettura, nell'olimpo delle scrittrici che mi graffiano l'anima...
Lo "spazio bianco"...è quel luogo sospeso, fuori dal mondo, fuori dal tempo, dove una donna aspetta di sapere cosa ne sarà di lei, del suo amore per quella piccola vita che le è uscita fuori presto, troppo presto...e non sa ancora quale direzione prendere.
Sei mesi sono troppo pochi per venire al mondo.
E 42 anni sono troppi per avere la pazienza di aspettare...da sola.
Essere madre, ma non sentirsi tale...o magari percepirsi tale, ma con il terrore che questa condizione possa essere solo transitoria, così breve da sembrare illusoria.
"Il fatto è che mia figlia Irene stava morendo, o stava nascendo, non ho capito bene".
Lo "spazio bianco" è un tempo fermo, scandito solo dai "bip" dei monitor, dai segni blu che gli oblò dell'incubatrice lasciano sugli avambracci per il loro stesso peso, un tempo misurato dalla lunghezza di una manina minuscola che si aggrappa alla più piccola delle falangi di una mano.
Il dolore è raccontato in sordina, privo di sensazionalismo, come se la scrittrice avesse messo una lastra di vetro tra noi e quella sofferenza, già...proprio come il vetro di un'incubatrice, per evitare, forse, di farci toccare con mano un dolore fragilissimo e precipitare dentro il burrone di un'attesa che lacera.
Ma a me, quella lastra di vetro, non ha protetto granché...ci sono finita dentro quel burrone...e non perché io abbia vissuto un'esperienza simile e mi sia identificata, no, ma perché l'autrice è riuscita a farmi leggere anche il non scritto, il taciuto.
Chapeau.
"Non avevo mai conosciuto la sua presenza e ora mi toccava un'assenza che non sapevo riconoscere".
L'immobilità della vita nel reparto di terapia intensiva neonatale è in netto contrasto con la vita vera, al di fuori di quelle mura, in una Napoli piena di contraddizioni, in una scuola serale per extracomunitari e non, dove Maria, la protagonista, insegna italiano.
Uomini e donne alla ricerca di un riscatto personale nei confronti di una vita che ha scelto per loro.
Un arcobaleno di varia umanità.
Sul grande schermo Maria non poteva che essere interpretata (e molto bene) da una Margherita Buy in gran forma, capace di donarle tutte le sfumature che il suo personaggio si porta dietro: la lucidità, la forza...ma anche la fragilità, l'ansia e le nevrosi di chi ha anche paura di sperare.
La Comencini (Francesca) dietro la macchina da presa ha, secondo me, rievocato molto bene le atmosfere del libro.
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La non comprensione
Ho conosciuto la Parrella ( letteralmente parlando) nel periodo della mia vita che abitavo a Napoli, qualcuno mi regalò il suo primo libro “Mosca più Balena”, mi fu caldeggiato, ma io mostrai una ritrosia alla sola vista, non tollerai il titolo e la sua grafica per non parlare del suo significato (ancora ad oggi per me totalmente sconosciuto!). Ad ogni buon conto fronteggiando come una guerriera Ninja contro le mie lunaticità , presi il librino e lo lessi. Ascoltatemi ( il mio deficit mentale aumentò esponenzialmente) non l'ho capita e continuo a non capirla a tutt'oggi, il suo modo di scrivere, le sue intrinseche caratteriste da scrittrice non esistono oppure se esistono sono così piccole come i neutroni (ad occhio nudo sono invisibili, e non a caso ho usato ad esempio i neutroni), è una bolla mediatica, ma che in questo mondo di pazzi ha avuto fortuna. Scrivere è un'arte, una propensione dell'animo, un'attitudine, un dono, un miracolo che ci è stato concesso al nostro concepimento. Io non sono stata fortunata, ma la Parrella è stata più sfortunata di me dato che al suo concepimento le è stato sottratto anche il buon senso. Con “Lo spazio bianco” devo ammettere che l'idea di base del racconto è stata ottima, un argomento di cui pochi hanno scritto e di cui poco si sa, da questo punto di vista mi ha arricchito molto, ma manca, come al solito, l'elemento di base: “il cacao per fare la cioccolata”.
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Struggente.
Ho letto questo romanzo in un momento di relax, fuori programma. Poi, man mano che procedeva, non mi sono più staccata.
La storia di questa giovane autrice napoletana trasuda emozioni di ogni genere...
La vicenda procede su due binari.
Il primo: l'attesa di ciò che sarà , per la bimba la cui vita è appesa ad un filo..i momenti di visita..i piccoli progressi verso la vita, l'amicizia con altre mamme di prematuri.
Il secondo. La sua vita "esterna" , di insegnante in una scuola serale , dove un'umanità desolata e sommersa di guai cerca di conquistarsi la licenza media fuori tempo massimo....extracomunitari di varie etnie, collaboratrici domestiche, maturi padri di famiglia....
E , intorno, Napoli. Con le sue contraddizioni. La vita, la morte, la speranza, la paura, la gioia, il dolore.
Il finale si percepisce, ma lascia intravvedere la vittoria della vita. E l'esito positivo del famigerato esame di licenza media.
Un romanzo serio, amaro, ma con l'happy end.
Ho saputo dopo che da questo romanzo è stato tratto un film (omonimo, credo) dalla Comencini. Anche se ho già espresso la mia diffidenza su film tratto da libro, andrò a vederlo.
La storia lo merita.
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come fasci di luce che non riscaldano
Evidentemente il momento era propizio per gli scrittori napoletani e il libro "doveva" uscire, ma come esordio mi aspettavo qualcosa di meglio. Ho apprezzato molto di più "Vendetta" della stessa scrittrice, sia per contenuto che per stile. "Lo spazio bianco" sembra fatto di tanti fasci di luce gettati quà e là su vari aspetti della vita della protagonista, ma che non riscaldano, infine, nessuno di questi.
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Lo spazio bianco
Ho seguito sin dagli esordi Valeria Parrella. Questa scrittrice, che mi aveva stupito con "Mosca più balena" pubblicato con Minimum Fax, era una delle più grandi promesse della letteratura italiana. Non a caso ora ha fatto il grande salto con Einaudi. Purtroppo questa sua nuova opera non è all'altezza degli esordi. Lo stile è buono, la storia dura e realistica, però manca quella sensazione di coinvolgimento che rende speciale un libro.